Nazionale

Rugby femminile, la lunga marcia dei diritti delle donne nello sport

L'Uisp accolse per prima le ragazze che volevano praticare rugby ed organizzò un Campionato nazionale. Come scrive anche Wikipedia

 

“Quella sporca ultima meta, non è più una faccenda da maschi”: titolava così l’Unità il 19 maggio 1988 con un articolo di Monica Lanfranco, che incorniciava un evento importante, finalmente la Federazione Italiana Rugby riconosceva il rugby femminile.


Oggi la situazione è diversa, il rugby non è più considerato uno sport “virile” per definizione nello statuto Fir, come avveniva allora. Così il 9 ottobre inizierà la serie A del Campionato e a novembre partirà l'Eccellenza. Ma soprattutto, l’Italia si appresta a sostenere le paladine azzurre della palla ovale, sbarcate da poco in Nuova Zelanda per i Campionati mondiali, dopo l’importante vittoria con la Francia.


La lunga marcia dei diritti delle donne nel rugby iniziò proprio con la Francia, grazie ad un’epica partita che si svolse il 18 giugno 1985 a Riccione, nell’ambito di Uisport, la festa nazionale multisport dell’Uisp che in quegli anni animava la Riviera. Già, perché fu proprio l’Uisp, sfidando i regolamenti federali di allora, che dall’inizio degli anni ’80 accolse le prime giocatrici di rugby e le organizzò nel primo Campionato nazionale, come ricorda anche Wikipedia.

E’ utile ripercorrere alcuni passaggi di quella storia, proprio oggi che tutto sembra scontato e i percorsi vengono spesso dribblati. Eccola, grazie alla cronaca che ne fece l’Unità: “Non c’era il pienone, ma diversa gente prese posto sulle tribune. Sicuramente suscitammo almeno curiosità”, ricorda Isabella Doria, ragazza milanese, allora responsabile della neonata lega del rugby femminile all’interno della UISP (Unione Italiana Sport Per tutti), federazione alla quale si affiliò il movimento in rosa, prima del riconoscimento ufficiale della FIR – che in quegli anni, un poco come succedeva in tutto il mondo, non solo non appoggiava lo sport delle ragazze, ma persino diffidava i direttori di gara federali a dare il loro contributo arbitrando match – avvenuto solamente nel 1992”.


Eravamo negli anni ’80, quelli che videro nascere, grazie all’Uisp, la Carta dei diritti delle donne nello sport: “In quegli anni è nato il Coordinamento Donne Uisp – scrive Manuela Claysset, responsabile Politiche di genere Uisp nel libro “Terzo Tempo, Fair Play” - allo scopo di promuovere la pratica sportiva e i diritti delle donne nello sport, sia amatoriale che agonistico. In quegli anni la Uisp ha promosso la pratica sportiva femminile, riconoscendo le diverse discipline, come ad esempio il rugby femminile, che all’epoca non erano ancora riconosciute dalle Federazioni Nazionali. Grazie al lavoro e all’interesse di molte donne, sportive e non solo, la Uisp ha presentato nel 1985 la “Carta dei diritti delle donne nello sport”, una Carta che nel 1987 venne fatta propria dall’Assemblea legislativa europea.

"Questo documento - prosegue Manuela Claysset -  riportava alcune importanti raccomandazioni e principi, evidenziando le notevoli differenze tra lo sport maschile e femminile, che si manifestavano ad esempio nel riconoscimento economico, nell’accesso agli spazi e agli impianti sportivi, nelle sovvenzioni e sponsorizzazioni. Lo sport delle donne certamente aveva meno spazi e minori opportunità”. La storia dell'affermazione della Carta dei Diritti delle donne nello sport è raccontata da Gigliora Venturini, all'epoca coordinatrice del Coordinamento Donne Uisp, nel video "Capitane Coraggiose".

Quella del rugby femminile rischiava di essere la storia di un amore non corrisposto, e invece...l'Uisp seppe farne una storia di diritti. Che è proseguita nel tempo: Alice Trevisan, dirigente Uisp Trieste ed ex giocatrice della Nazionale, ha trasferito la cultura del rugby e le sue caratteristiche aggregatrici, nel progetto territoriale Uisp "Positivo alla salute", del quale è stata coordinatrice.

Torniamo alle parole di Isabella Doria, una delle prime rugbiste italiane. Se non sono parole d'amore queste! "Il fascino del rugby sta nell'essere aggressivo, ma non violento, giocato dalle donne - diceva nel 1988 - Ci vuole grinta, ma soprattutto bisogna sentire la squadra. È uno sport di contatto, nel quale si è obbligate a fare i conti con lo scontro fisico, ma anche con la necessità di mitigare il protagonismo, e sviluppare la solidarietà con le altre compagne. Andare in meta è il frutto di un lavoro collettivo". (Ivano Maiorella)

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