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Sport per tutti: in Norvegia è una realtà e porta medaglie

Risalta il primo posto norvegese nel medagliere olimpico di Pechino, come accaduto a Pyeongchang 4 anni fa: da dove arrivano questi successi?

 

Con la chiusura dei Giochi olimpici invernali di Pechino e l’ufficializzazione del medagliere salta all’occhio il primo posto della Norvegia con 37 medaglie, una conferma dopo le 39 di Pyeongchang. Sicuramente il paese scandinavo ha alcuni vantaggi legati alla geografia, che la favoriscono negli sport invernali, ma come mai gli altri paesi della penisola non raggiungono gli stessi risultati? Inoltre, si tratta di un Paese con 5 milioni di cittadini, numeri che equivalgono alla metà della popolazione lombarda, quindi un bacino potenziale di talenti imparagonabile a Stati Uniti, Canada, Russia ma anche Giappone o Cina. Infine, pur essendo uno dei Paesi più ricchi al mondo, tra olimpiadi estive e invernali al Comitato olimpico destina un budget di 15 milioni di euro, un decimo di quello estivo del Regno Unito (150 milioni di euro). Quindi la domanda resta: come fanno con relativamente poca popolazione e un budget olimpico non faraonico i norvegesi ad eccellere negli sport invernali? 

La risposta è nelle parole di Tom Tvedt, presidente del Comitato Olimpico Norvegese, in un’intervista al Guardian: più ragazzi praticano sport e più è statisticamente possibile trovare quei talenti che poi diventeranno atleti di livello internazionale. Il 93% dei bambini e delle bambine norvegesi pratica almeno uno sport, in Italia il 40%. Quindi si può dire che in Norvegia lo sport è sostanzialmente uno stile di vita, agevolato dalle strutture a disposizione, che il Paese può economicamente permettersi, ma scelto con convinzione da  bambini e adulti, anche in forme non strutturate e libere. A questo va aggiunto che il tasso di abbandono sportivo degli adolescenti è uno dei più bassi al mondo: negli Stati Uniti è il 35% degli USA, in Italia il 43%, in Francia il 17% e in Norvegia il 22%.

Negli ultimi 20 anni sono stati numerosi gli studi che hanno cercato di individuare le cause del drop out sportivo e il punto in comune a tutte le ricerche è la specializzazione precoce, cioè l’allenamento tecnico specifico per l’acquisizione precoce di abilità finalizzate al raggiungimento della migliore prestazione possibile. Invece in Norvegia, fino all’età di 13 anni bambini e bambine, ragazzi e ragazze, praticano sport senza nessuna forma di classifica, podio o premio. L’obiettivo è fare in modo che lo sport sia parte del loro sviluppo psico-sociale, che sia una forma di divertimento e socializzazione e che li faccia crescere come degli adulti maturi, e non come il decenne più forte al mondo. Inoltre, fino all’adolescenza ragazzi e ragazze continuano a praticare sport nel loro piccolo club locale, anche se sono talentuosi e vivono in un remoto villaggio.

"La nostra visione è lo sport per tutti - afferma Tvedt - Prima dei 12 anni dovresti divertirti con lo sport. Quindi non ci concentriamo su chi è il vincitore prima di allora. Invece siamo molto concentrati sull'inserimento dei bambini nei nostri 11.000 club sportivi locali. E abbiamo il 93% di bambini e giovani che pratica regolarmente sport in queste organizzazioni”. Come spiega Tvedt, questo avvantaggia tutti, perché più le persone amano lo sport da bambini, più ampio sarà il pool di talenti che le loro squadre d'élite avranno in seguito. “Tutte le nostre medaglie sono arrivate da atleti che hanno iniziato nei club locali. Se un atleta è bravo, lo porteremo poi all'Olympiatoppen, il nostro centro sportivo d'élite, dove entra in gioco la scienza dello sport di punta”.

Quindi è da un approccio allo sport inclusivo, socializzante e ludico che si arriva a mettere in campo campioni, cresciuti in club legati al territorio e alle comunità di appartenenza: ma in questo modo anche chi non diventerà un campione mantiene un legame con l’attività motoria e sportiva, continuando a praticare per piacere e per la ricerca del proprio benessere psico-fisico.