"30 anni di terzo settore. La solidarietà oggi è un lusso?". Questo il tema della celebrazione del 27 novembre organizzata a Roma dal Forum del terzo settore per ricordare i trent'anni dalla manifestazione che segnò la nascita del terzo settore italiano. All'iniziativa è intervenuto anche Tiziano Pesce, presidente nazionale Uisp, offrendo uno sguardo profondo sul contributo dello sport sociale alla nascita del terzo settore. Durante il suo intervento, Pesce ha analizzato il percorso fatto e le sfide future, ricordando i momenti salienti e le difficoltà storiche che hanno segnato questo cammino.
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"Torniamo oggi indietro di 30 anni - ha detto Pesce - ad un periodo che coincise con la crisi del sistema politico e dei partiti e che registrò una convergenza e una netta presa di coscienza: l’attivismo civico scese in campo perché messo di fronte al rischio della disgregazione dello stato sociale. La parola chiave “solidarietà” divenne allora aggregante di tante identità diverse, che acquisirono consapevolezza e comparse all’orizzonte una nuova frontiera: il terzo settore, appunto. Si partiva da un universo di sigle e di esperienze diverse che si autodefiniva non profit, volontariato. E poi i movimenti legati alla cooperazione e alla solidarietà internazionale, alla pace, ai diritti delle donne e dei soggetti più fragili, emarginati, esclusi.
Intanto l’Uisp, nata nel 1948, aveva maturato una propria piena soggettività nel panorama associativo italiano, affrancandosi dal collateralismo dei partiti, rafforzando la sua collocazione nel solco dei valori della Costituzione e dell’antifascismo. L’Uisp aveva di fronte l’idea dilagante dello sport spettacolo e dello sport commerciale, rappresentato dal modello Coni. Fronteggiava quel modello con i valori delle associazioni e delle polisportive popolari nelle zone delle periferie sociali ed urbane; con i valori delle pari opportunità, con la capacità di coinvolgere nuovi soggetti come le persone anziane, sino ad allora emarginate dalla pratica sportiva; con la forza inedita di portare lo sport sociale all’interno delle carceri, e poi, ancora, lo sport di base come terapia per superare pregiudizi e solitudini, coinvolgendo anche persone con disabilità fisiche e psichiche.
Nelle immagini del prezioso video della manifestazione del 1994 si vedono bandiere e striscioni Uisp portati da gruppi di anziani, con molte donne e ragazzi in tuta da ginnastica. Cultura del corpo, cultura delle differenze: questo era lo slogan dell’Uisp coniato in quell’epoca, accanto all’avvio di percorsi di cooperazione e di progettazione internazionale attraverso l’universalità del linguaggio dello sport e l’educazione alla convivenza.
Come non ricordare il gioco dei bambini palestinesi e israeliani a Gerusalemme e in tutta la Palestina. E l’avvio di Vivicittà, manifestazione podistica internazionale, messaggera di pace, che nel 1995 si corse anche Sarajevo, ancora sotto il fuoco dei cecchini. Intanto si affacciava una nuova stagione, quella dei diritti, dell’ambiente e della solidarietà da coniugare ad una nuova idea dello sport, lo sport per tutti, così come l’aveva immaginato e proposto Gianmario Missaglia, modificando il nome dell’associazione da popolare in per tutti e spingendo l’Uisp nella sua rete naturale di collaborazioni, fatta di associazionismo democratico e progressista.
Erano gli anni in cui era facile incontrare Gianmario Missaglia sfilare al fianco di Tom Benetollo, presidente Arci, di Franco Passuello presidente Acli, e di molti altri come Luigi Ciotti, Giampiero Rasimelli, Nuccio Jovene.
Dopo 30 anni, siamo qua, ormai prossimi agli ottant’anni di vita, tanta strada è stata percorsa ma quanto, sotto certi aspetti, resta tutto tremendamente attuale, quanto cammino c’è ancora da compiere! Le diverse connotazioni delle crisi, che si sono susseguite dal 2008 in poi, sino ad arrivare alla tremenda pandemia e alle successive emergenze hanno impoverito ampie fasce di popolazione del nostro Paese, le hanno rese più fragili, vulnerabili, spesso hanno addirittura distrutto irreparabilmente legami sociali. La pesante eredità lasciata da un modello di sviluppo non sostenibile, rappresentata da disuguaglianze crescenti, fra persone, generazioni e territori, sta determinando trasformazioni che chiedono di essere accompagnate da una cultura del cambiamento che metta davvero al centro le persone, le comunità, i loro diritti.
Di fronte alla crisi della democrazia, all’astensionismo elettorale sempre più diffuso, alla sfiducia, alle paure e sempre in più occasioni alla rabbia manifestata dalle persone, nonché al peso esiguo della rappresentanza, la politica, le istituzioni, i decisori, devono trovare la chiave per dare risposte, per sapersi reinserire all’interno di questo contesto e non restarne distratti, lontani, al di sopra.
Tutti i dati relativi alle crisi, economico-finanziarie, sanitarie, belliche, ambientali, ci dicono che siamo davvero all’ultima chiamata. La politica assuma allora il ruolo concreto di facilitatore dell’attivazione diffusa dei cittadini per condividere una comune visione di futuro. Dia centralità e agevoli i corpi intermedi, agenti responsabili di cambiamento, che si organizzano ogni giorno per cercare, con le proprie forze, di rispondere a quanto indica l’articolo 3 della nostra Costituzione.
C’è ancora tanta strada da fare, occorre un pieno riconoscimento, non più rinviabile, della pari dignità dello sport sociale nel rapporto con tutte le altre politiche pubbliche. Ovvero, l’attivazione, come diciamo noi dell’Uisp, di una vera e propria “transizione sportiva” che apra un processo di piena emancipazione dello sport di base come diritto di cittadinanza, che ne valorizzi significativamente l’impatto prodotto sul benessere delle persone e sulla qualità della vita delle comunità e che lo legittimi a tutti gli effetti come componente attiva e proattiva del vasto mondo dell’economia sociale.
Tutto ciò sancito e richiesto anche dal parere di iniziativa del CESE, il Comitato Economico e Sociale Europeo, “L'azione dell'Unione Europea per il periodo post Covid-19: migliorare la ripresa attraverso lo sport” adottato all’unanimità nella 568a sessione plenaria del marzo 2022, al termine di un percorso che fu avviato proprio nel e con il Forum del Terzo Settore, attraverso il coinvolgimento di parlamentari europei e rappresentanti delle parti sociali, sindacali e datoriali; primo parere d’iniziativa sui temi dello sport e della cultura motoria, ad essere promosso da organizzazioni della società civile.
Fare emergere l’importanza che lo sport, superata ormai la sua dimensione meramente ricreativa e dopolavoristica, rappresenta nel rilanciare la crescita economica, l’innovazione, la coesione sociale, la rigenerazione territoriale, è fondamentale per promuovere il potenziale dei valori europei, perché contribuisce ad accompagnare una ripresa intelligente, sostenibile, inclusiva.
Dal settembre dello scorso anno, attraverso decisione unanime del Parlamento, la Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme e lo fa attraverso il settimo comma dell’articolo 33 della Costituzione. Non ci si può però fermare ad un semplice, seppur importante “riconoscimento”.
Il Parlamento, il Governo, le amministrazioni pubbliche a tutti i livelli, concorrano per darne piena attuazione, per affermare pienamente una nuova cultura sportiva e motoria, con al centro le persone, in tutte le fasce delle età della vita, che possa essere generattiva (uso la doppia t) di valori e pratiche che si pongono il raggiungimento di obiettivi di civiltà.
Tutto questo all’interno della cornice delle due riforme legislative di riferimento, del terzo settore e del sistema sportivo, che rappresentano una grande opportunità per lo sport sociale. La prima ha riconosciuto l’organizzazione e la gestione di attività sportive tra le attività di interesse generale per il perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, promuove esperienze di amministrazione condivisa e sussidiarietà circolare.
La seconda ha finalmente recepito nell’ordinamento giuridico italiano la definizione di sport del Consiglio d’Europa e ha posto le basi per il superamento di un modello per decenni incentrato soltanto sullo sport di vertice, sulla ricerca esasperata del risultato agonistico.
Tante sono però ancora le storture, gli inciampi, i disallineamenti normativi da superare per riconoscere piena agibilità e ruolo a questo ambito, alle decine di migliaia di associazioni, alle centinaia di migliaia di associati, di dirigenti, di operatori, volontari, che non dimentichiamolo continuano a rappresentare ben un terzo dell’intero sistema del non profit del nostro Paese, di questo straordinario terzo settore, autentico giacimento di cittadinanza attiva e democrazia, costruttore e manutentore continuo di benessere sociale e di comunità".