Nazionale

Politiche ambientali

Il 2016 è stato l’anno più caldo sulla Terra dal 1880, cioè da quando si ha disponibilità di dati.
L’Antropocene avanza e si afferma con il depauperamento delle risorse, la desertificazione, la siccità, gli eventi metereologici devastanti, l’aumento dei livelli del mare, lo sconvolgimento di equilibri naturali e preoccupanti impatti sociali ed economici che gravano in particolar modo sulle popolazioni più vulnerabili. La crisi ambientale con i suoi effetti sociali ed economici, secondo il Global Estimates, costringe ogni anno 28,5 milioni di abitanti a migrare dai loro territori, 19,2 dei quali a causa di calamità naturali e 8,6 a causa di conflitti e violenza. L’Oim (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) prevede 250 milioni di profughi ambientali al 2050. L’esodo inizia abbandonando le campagne verso la città o dalle regioni periferiche verso la capitale e poi in un viaggio infinito tentano la via dell’estero.
La popolazione mondiale cresce e si prevede un picco di 9 miliardi a metà del secolo per poi presumibilmente raggiungere nel 2100 la cifra di 11 miliardi. Inoltre, dal 2015 il risultato degli effetti dell’esodo delle popolazioni dalle campagne verso le aree urbanizzate ha generato la concentrazione del 50% della popolazione mondiale nelle città, e ciò sta avendo come effetti immediati: un aumento degli edifici, delle infrastrutture, dei beni di consumo, automobili e quindi per risultato più degrado urbano, più rifiuti, più aumento delle emissioni e maggiore richiesta di materia ed energia.
Sul fronte degli accordi internazionali in materia di clima purtroppo il risultato degli Accordi di Parigi che tanto aveva fatto sperare in una inversione di tendenza da parte delle nazioni più inquinanti vacilla davanti alle dichiarazioni del presidente degli Stati Uniti d’America che nega tali accordi e mira ad una politica nazionalista.
Una situazione che rappresenta una sfida che l’umanità non ha mai affrontato in passato.
Ma mentre aumentano le richieste di energia ed il consumo di materia e si assiste al calo di quella del petrolio e delle altre fonti fossili, cresce la produzione di energia rinnovabile. Inoltre, negli ultimi anni la crisi climatica ha stimolato l’innovazione e si registra l’irruzione di nuove tecnologie che abbinate alla pervasività della rivoluzione digitale ed alla produzione di energia da fonti rinnovabili stanno incidendo profondamente sull’economia, sul lavoro e sull’ambiente; un esempio chiaro lo sono la produzione di LED, l’uso del fotovoltaico ed il car sharing.
Secondo Jeremy Rifkin, economista statunitense, “Siamo agli albori della Terza rivoluzione industriale”, un percorso che potrebbe trasformare un futuro minaccioso in una riconversione ambientale del sistema economico e sociale con il recupero degli equilibri ecologici e la riduzione delle diseguaglianze sociali.
Per un nuovo paradigma. La soluzione per salvare il pianeta c’è, ma passa dalla realizzazione di un nuovo paradigma, dalla riconversione dell’intero modello sociale, ed ha bisogno di:
1. un piano di azione per il clima che tocchi tutti i settori per la riduzione delle emissioni di gas serra (energia, industria, trasporti, agricoltura, edilizia). La decarbonizzazione deve essere un obiettivo integrante ogni altro obiettivo;
2. una economia circolare che risponda a criteri di efficienza produttiva, alla scarsità delle risorse del pianeta, al rispetto dell’ambiente. Un’economia che parta dalla riduzione dell’uso di materie prime non rinnovabili e che si fondi sulla raccolta differenziata e su impianti di riciclo e riuso della materia;
3. una transizione energetica, abbandonando le fonti energetiche fossili e sviluppando le fonti di energia rinnovabile;
4. una mobilità sostenibile: l’auto elettrica, l’uso dei mezzi collettivi, il trasporto su ferro, l’uso della bicicletta e degli spostamenti a piedi;
5. la centralità di territorio e agricoltura, favorendo tecniche di coltivazione e modelli rispettosi dei processi naturali;
6. la protezione e l’implementazione dei territori di grande valore ambientale: foreste, mari, aree protette, parchi, riserve, mettendo a sistema la salvaguardia dell’ambiente e lo sviluppo economico di quelle aree e popolazioni;
7. la trasformazione dei centri urbani verso una ecologia urbana.

Ma prima di ogni altra cosa c’è bisogno di un gesto collettivo di responsabilità e condivisione delle sorti del mondo. Perché ciò avvenga è necessario lo sforzo di tutti, con responsabilità diverse ma con un unico obiettivo. Ogni governo, organizzazione, forza sociale, partito, associazione, comunità e singoli, come anche i vari settori della produzione, della distribuzione, del consumo, della comunicazione, della formazione, dell’infrastrutturazione sociale, sono chiamati ad una rivoluzione epocale, che è prima di ogni altra cosa: una rivoluzione culturale. 

Per il futuro #sportsostenibile. Anche per lo sport è giunta l’ora del cambiamento, urge e diventa quanto mai attuale la trasformazione ed il traghettamento da uno sport fossile ad uno sport decarbonizzato.
Lo sport, in ogni sua forma, è un elemento pervasivo nell’attuale società, in particolare lo sport destrutturato cioè quello praticato dai 4/5 della popolazione. Le massime organizzazioni mondiali, internazionali e nazionali ma anche le società sportive di base e i cittadini che giornalmente fanno attività fisica possono contribuire alla riduzione degli impatti ambientali e alla responsabilizzazione dei cittadini sui processi di cambiamento verso una società ecologicamente rinnovata.
Da anni, noi dell’Uisp, affermiamo e promuoviamo l’idea che lo sport sociale rappresenta uno strumento che può contribuire alla costruzione di una società attenta ai bisogni di tutti e, in particolare, a quelli delle fasce più deboli.
Lo sport è presente in ogni parte del pianeta con i suoi molteplici volti: dal gioco tradizionale al sistema sportivo complesso, dall’attività amatoriale per il benessere all’agonismo, dalle attività outdoor a quelle urban, dalle Olimpiadi al gioco di periferia. Ha la capacità di aggregare uomini e donne di ogni etnia, cultura e religione provenienti dalle più diverse classi sociali; è capillare con la sua presenza in forme omologate, stadi, piste ed impianti o destrutturate: sobborghi, favelas, strade e piazze; ha la capacità di far conoscere, esplorare, analizzare e comprendere il rapporto tra corpo e spazio negli ambienti naturali e nei centri urbanizzati. Ha la capacità di lanciare mode, generare consumi, attrarre capitali finanziari, produrre fortune economiche, generare profitti e allearsi a sistemi politici. Lo sport in quanto attività fisica è neutro. È un contenitore vuoto che in funzione del contenuto può generare criticità o punti di forza, dipende da chi lo governa e in che maniera. Per questo lo sport non è tutto uguale, e non è tutto sostenibile. Quello agonistico e di prestazione è in massima parte energivoro, non integrato alle politiche del territorio e ancor di più a quelle della sostenibilità ambientale e dello sviluppo sociale ed economico delle popolazioni locali. Un sistema sportivo che poco concorre al benessere dei cittadini, che non cura la salvaguardia dell’ecosistema, che è ancorato al modello economico input-output, dove a fronte di un servizio reso, quale la pratica sportiva, a monte attinge energia e materia e a valle restituisce scarti e rifiuti, senza tenere in alcuna considerazione la sua impronta ecologica.

Siamo davanti ad un sistema sportivo che per diventare sostenibile ha bisogno di essere ricostruito su nuove fondamenta, quali:
1. le politiche per lo sviluppo dell’attività motoria e delle discipline sportive siano parte integrante delle politiche del paese. Per questo è necessario che abbiano un baricentro nel Ministero dell’Ambiente ma siano in grado di sviluppare politiche in sinergia con altri ministeri: sviluppo economico, istruzione, sanità. Inoltre chiediamo che il Ministero dell’Ambiente partecipi e sia responsabile al piano nazionale per lo sviluppo sostenibile;
2. gli strumenti della pianificazione urbanistica e dell’edilizia urbana includano aree atte alle pratiche sportive formali ed informali (parchi, aree verdi, piazze, cortili, impianti di vicinato, ecc.) e una rete di mobilità sostenibile (piste ciclabili, corridoi verdi, vie d’acqua, ecc.) che favoriscano l’attività fisica. I luoghi della pratica siano il più possibile presenti sul territorio e raggiungibili senza l’uso di mezzi di trasporto;
3. le normative in materia di riduzione dell’impatto ambientale premino, tramite incentivi fiscali, l’adozione di strumenti di analisi dell’impronta ecologica delle attività sportive (bilancio ambientale), degli eventi e delle manifestazioni;
4. gli impianti sportivi esistenti siano “ricuciti” al territorio, riqualificati in termini di minor uso di energia, di acqua e di risorse, resi utili anche per altri usi sociali;
5. si sviluppi una cultura dello sport ecosostenibile che coinvolga tramite azioni di formazione i professionisti, i volontari, i tecnici, i dirigenti, gli educatori, gli sportivi ed i cittadini delle università (scienze motorie), degli organismi sportivi, delle amministrazioni pubbliche, delle società sportive.

Per tutto ciò l’Uisp è in prima linea sui temi ambientali favorendo:
● iniziative, attività e manifestazioni che mirino all’Impatto Zero, calcolando a monte dell’iniziativa i costi ambientali, prefigurando mitigazione ed infine attuando azioni di compensazione; attività di educazione ambientale proattiva;
● progetti di riqualificazione sostenibile degli impianti sportivi entro i canoni del risparmio energetico e della eco-efficienza in collaborazione con aziende, consorzi, ecc.;
● progetti per la riqualificazione della città, organizzando e promuovendo: il camminare e l’uso della bicicletta per la gestione di una nuova mobilità; attività sportive strutturate e destrutturate (parkour, skate, tornei di strada) per la riqualificazione degli spazi pubblici: piazze, strade, parchi urbani;
● attività in collaborazione con le aree protette, parchi e riserve naturali, siglata da protocolli d’intesa con gli enti gestori, che prevede l’attivazione di progetti, azioni ed iniziative di salvaguardia e conservazione della biodiversità in sintonia con gli aspetti di sviluppo socioeconomico delle popolazioni locali;
● attività di relazione e collaborazione con le amministrazioni centrali e periferiche dello stato, con le organizzazioni, con le università, con i centri di ricerca e fondazioni che si interessano di ambiente e sostenibilità;
● attività di formazione ed informazione.