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Dal campo alla cronaca: contrastare sessismo e razzismo nello sport

Il progetto SIC! apre un confronto sui linguaggi da cambiare, con i contributi di Silvia Garambois, Giulia Giornaliste, e Paola Barretta, Carta di Roma

 

Cosa succede quando i pregiudizi viaggiano sulle parole? Quando lo sport diventa teatro non solo di performance, ma anche di stereotipi, insulti e narrazioni distorte? A queste domande ha risposto il workshop “Razzismo e sessismo, linguaggi da contrastare dentro e fuori dal campo”, promosso da Uisp nell’ambito del progetto SIC! Sport, Integrazione, Coesione, l’8 maggio scorso.

Due le voci protagoniste: Silvia Garamboisgiornalista e fondatrice dell’associazione GiULiA Giornaliste, e Paola Barrettaportavoce dell’Associazione Carta di Roma. Un confronto necessario e concreto, che ha attraversato cronaca, sport, media e linguaggio quotidiano.

La grammatica può essere politica”, così ha esordito Silvia Garambois, spiegando come il linguaggio maschile dominante nei media sportivi contribuisca a rendere invisibili le atlete: “Se non parliamo delle donne, le donne non esistono. E se non le nominiamo, non contano”. Gli esempi non mancano: Katie Ledecky definita “la Michael Phelps in gonnella”, il commentatore che dopo l’oro della nuotatrice Katinka Hosszú ringrazia il marito per la sua performance, oppure il titolo “il trio delle cicciottelle” rivolto alle arciere italiane che avevano appena conquistato uno storico bronzo alle Olimpiadi di Rio 2016.

Garambois ha insistito sull’importanza di declinare al femminile ruoli e professioni, di non soffermarsi sul look o sulla vita sentimentale quando si parla delle atlete, e di garantire parità di visibilità alle discipline femminili. “Anche parole come allenatrice, arbitra, direttrice esistono e usarle significa far esistere le persone che rappresentano”. Ha ricordato il manifesto “Media, Donne, Sport: idee guida per una diversa informazionepromosso nel 2019 da GiULiA insieme a Uisp, per contrastare stereotipi e sessismo nel racconto sportivo.

E’ stato dato spazio anche al tema delle molestie: dalla vicenda della giornalista Greta Beccaglia molestata in diretta, alla necessità di norme chiare nei regolamenti sportivi. “"Le molestie nello sport, nella maggior parte dei casi, restano nel silenzio, bisogna parlarne - ha detto Garambois - Nonostante le donne rappresentino il 28% dei tesserati alle federazioni sportive non ci sono norme che puniscano esplicitamente gli atti di pedofilia o violenza sessuale, ma per contro agli sputi contro l’arbitro o agli avversari, diretto o indiretto, sul corpo, sul viso, sono dedicati almeno un centinaio di commi".

L’intervento di Paola Barretta, invece, è stato incentrato sulla rappresentazione delle persone con background migratorio nei media e nello sport. La portavoce della Carta di Roma ha sottolineato un passo importante: dal 1° giugno i principi della Carta entreranno nel nuovo codice deontologico dei giornalisti, ma valgono anche per chi lavora nella comunicazione sportiva, club, società, media e social.

Barretta ha spiegato come indicare l’origine o l’identità di un atleta possa diventare discriminatorio se non è una scelta esplicita della persona. “Se l’identità è rivendicata, è giusto raccontarla. Ma se diventa l’unico modo per descrivere qualcuno, è un problema”. Ha citato il caso di una notizia ANSA che raccontava la vittoria delle azzurre, “contro le egiziane, velate, con maniche lunghe e pantaloni fino alle caviglie”: “Ma perché dirlo? A cosa serve?”.

Barretta ha denunciato l’uso inconsapevole di sguardi coloniali e il ricorso a linguaggi che rafforzano gerarchie culturali e razziali. “Scegliere di riportare l’insulto nel titolo è già una scelta editoriale. Nessuno che è bersaglio si definirebbe così”. Anche i numeri parlano chiaro: nei media italiani, solo il 7% delle fonti riguarda persone migranti o afrodiscendenti, e nello sport lo spazio è ancora più marginale.

“Il problema oggi non è solo la stigmatizzazione, ma l’invisibilità”, ha detto Barretta, ricordando che “quando non c’è rappresentanza nei media, nelle redazioni, nella narrazione sportiva, mancano anche gli strumenti per riconoscere le discriminazioni”. E ha concluso con un appello: “Usare le parole giuste è una forma di rispetto e di riconoscimento”.

Il workshop si è chiuso con un messaggio forte: le parole sono atti. E nel mondo dello sport, il linguaggio può contribuire a trasformare una cultura, oppure a rafforzarne le discriminazioni. Il progetto SIC! – Sport, Integrazione, Coesione nasce proprio per questo: promuovere uno sport aperto, sicuro e inclusivo per tutte e tutti. In collaborazione con UNAR – Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali e Lega Serie A, e finanziato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per lo Sport, SIC! è attivo in 17 città italiane grazie alla rete dei comitati territoriali Uisp. Il progetto prevede l’attivazione di presidi locali contro le discriminazioni, momenti di formazione per dirigenti e operatori sportivi, una campagna di comunicazione nazionale, eventi sportivi aperti alla cittadinanza e percorsi educativi nei territori. (Lorenzo Boffa)