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Icehearts Europe, l’esperienza italiana tra risultati e nodi aperti

Un workshop all’Istituto Superiore di Sanità ha messo a confronto dati, pratiche e voci dai territori sul lavoro educativo di Icehearts in Italia

 

Il workshop Icehearts Europe project – L’esperienza italiana. Risultati e prospettive, che si è svolto il 15 dicembre a Roma presso l’Istituto Superiore di Sanità, non è stato solo un momento di restituzione della fase pilota italiana del progetto europeo Icehearts Europe, ma uno spazio di confronto su cosa significa oggi lavorare con bambini e adolescenti nei contesti di maggiore fragilità, e su quali scelte – anche politiche – questo comporti. Una giornata articolata, tra interventi di inquadramento e una lunga tavola rotonda, che ha messo al centro risultati, criticità e prospettive future.

Icehearts Europe è un progetto finanziato dal programma EU4Health e ispirato alla best practice finlandese Icehearts. In Italia ha coinvolto 13 città, 12 comitati territoriali Uisp, 21 mentor e 488 bambini e bambine tra i 10 e i 15 anni, lavorando in stretta connessione con scuole, famiglie e servizi del territorio. Non una sperimentazione circoscritta, ma un lavoro diffuso, capace di intercettare contesti molto diversi.

A ricostruire il quadro europeo è stata Saska Benedicic Tomat, dell’International Sport and Culture Association (ISCA) di Copenaghenente capofila del progetto. “Siamo partiti da un’esperienza che funziona da oltre venticinque anni – ha spiegato – ma non per copiarla. L’obiettivo era capire se e come un modello potesse funzionare in contesti diversi, con sistemi educativi, sociali e culturali molto differenti”. Un percorso costruito nel tempo, attraverso il confronto tra i partner e la condivisione di strumenti e pratiche.

Su questo impianto si è innestato il contributo di Ilaria Luzi, del Centro nazionale per la prevenzione delle malattie e la promozione della salute dell’Istituto Superiore di Sanità, che ha chiarito come Icehearts Europe non nasca per “offrire attività”, ma per creare le condizioni perché il lavoro educativo possa reggere nel tempo. “Non esiste una soluzione valida per tutti – ha sottolineato – e non è mai stato possibile un copia-incolla del modello finlandese. Il lavoro è stato rendere operativi alcuni principi, a partire dall’analisi dei contesti e dal ruolo del mentor”. Una figura che accompagna i bambini nel tempo, lavora con il gruppo, dialoga con famiglie e scuola e intercetta i servizi del territorio.

Quando il workshop è entrato nel merito dell’esperienza italiana, il centro del racconto è stato il lavoro dell'Uisp. In apertura dell’intervento di Daniela Conticoordinatrice nazionale Uisp del progetto, è stato proiettato un video che racconta le attività di questi anni di progetto (GUARDA IL VIDEO). Conti ha restituito una sperimentazione che ha messo in gioco l’identità stessa dell’associazione. “Abbiamo scelto di lavorare in tutta Italia – ha spiegato – non perché fosse più facile, ma perché volevamo capire cosa succede quando un progetto come Icehearts incontra davvero i territori, con le loro disuguaglianze, ma anche con le loro risorse”.

Nel suo intervento sono emerse criticità note, ma anche fattori positivi molto chiari. Icehearts ha permesso di costruire gruppi stabili, di creare legami di fiducia tra bambini e mentor, di offrire spazi non giudicanti in cui lo sport non fosse selezione o prestazione. “In molti contesti – ha raccontato – bambine e bambini hanno potuto sperimentare attività nuove, senza sentirsi valutati. In alcuni casi era la prima volta che entravano in un museo, o che partecipavano a un’attività sportiva senza essere messi a confronto con gli altri”. Un lavoro che ha coinvolto anche gli adulti, spesso costretti a rimettere in discussione sguardi e aspettative.

Allo stesso tempo, Conti non ha nascosto i nodi più duri: la composizione dei gruppi, le resistenze delle famiglie, il rischio che siano proprio gli adulti a produrre esclusione. “In alcuni casi ci siamo trovati davanti a discriminazioni praticate dagli adulti – ha detto – ed è uno degli aspetti più complessi da affrontare”. Ma è proprio in questa tensione che il progetto ha mostrato la sua forza: non evitare il conflitto, ma starci dentro, provando a trasformarlo in lavoro educativo. Non a caso, in diversi territori, alla fine della sperimentazione, la richiesta più frequente è stata una sola: continuare.

A sostenere questo racconto sono arrivati anche i dati del monitoraggio e della valutazione presentati da Alice Iannaccone, dell’Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale. Un lavoro che ha coinvolto mentori, famiglie e bambini e che ha restituito evidenze chiare: maggior senso di appartenenza, miglioramento delle relazioni tra pari, percezione dello sport come spazio sicuro e non prestativo. “Il mentor – ha spiegato – emerge come una figura di riferimento stabile, ed è uno degli elementi che fanno la differenza”.

Nel pomeriggio, la tavola rotonda ha riportato il confronto sul piano delle pratiche quotidiane. Le voci dei territori hanno mostrato cosa significa reggere il progetto dentro contesti complessi. Mirco Gaffi, mentor di Uisp Roma, ha raccontato l’esperienza costruita in collaborazione con una scuola media, partita da un gruppo piccolo e cresciuta fino a coinvolgere quasi esclusivamente ragazzi con fragilità. Un passaggio che ha cambiato l’assetto del progetto: “Quando il gruppo è cresciuto, abbiamo dovuto rivedere il lavoro e le attività, perché con questo gruppo il progetto, così com’era all’inizio, non avrebbe potuto funzionare”. Un’esperienza che ha messo in evidenza l’importanza della relazione educativa, della presenza del mentor e del legame con la scuola.

Nel confronto è intervenuto anche Massimo Gasparetto, responsabile nazionale Uisp delle politiche per la promozione della salute e welfare Uisp, che ha allargato lo sguardo collegando Icehearts a una visione più ampia dello sport come diritto. “Uisp nasce per rendere possibile lo sport come diritto e non come privilegio – ha ricordato – e questo significa lavorare proprio dove le disuguaglianze sono più forti”. Icehearts, in questo senso, rende visibile una pratica che Uisp porta avanti da tempo: lo sport come spazio educativo, di relazione e di salute, capace di generare fiducia e di costruire comunità. “La salute – ha osservato – non è solo prevenzione della malattia, ma possibilità per le persone di esprimere i propri potenziali”.

Dal workshop è emersa una consapevolezza condivisa: Icehearts Europe ha avuto senso perché ha messo in relazione pratiche, territori e sguardi diversi, facendo emergere nodi che spesso restano ai margini del dibattito educativo e sportivo. Non solo risultati, ma domande aperte su come si lavora con il disagio, su quale ruolo possono avere gli adulti e su che tipo di alleanze sono necessarie per non lasciare soli bambini e famiglie. Per Uisp, questa sperimentazione conferma una direzione di lavoro chiara: stare nei territorilavorare dentro la complessità e continuare a considerare lo sport come spazio educativo, di relazione e di dirittosoprattutto nei contesti più fragili. (Lorenzo Boffa)