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Sport e persone transgender: servono nuovi modi di fare sport

L’Uisp a Napoli con Valentina Petrillo per parlare di diritto alla pratica sportiva con il contributo delle associazioni e dell’università

 

Una battaglia lunga una vita, per i diritti, per il benessere, per la felicità: questa la sintesi della vita di Valentina Petrillo, paratleta transgender che dai vicoli di Napoli è arrivata al palcoscenico mondiale dei Giochi di Parigi 2024. Un percorso lungo e difficile, che l’ha costretta a mettersi in gioco con il suo corpo e la sua identità per allargare l’orizzonte del diritto allo sport alle persone transgender. Giovedì 5 dicembre a Napoli insieme all’Uisp, all’Università Federico II ed Arcigay si è svolta la proiezione del docufilm realizzato per raccontare la sua vicenda “5 nanomoli - Il sogno di una donna trans”. Il film è stato preceduto da una tavola rotonda in cui si sono confrontati Paolo Valerio, professore onorario di psicologia clinica, Università degli Studi di Napoli Federico II e presidente onorario del Centro di Ateneo SInAPSi della Federico II; Manuela Claysset, responsabile Politiche di genere e Diritti Uisp Nazionale; Antonello Sannino, presidente Antinoo Arcigay Napoli; Luca De Rose, responsabile preparazione mentale squadra olimpica Italiana; Francesco Garzillo, psicologo e psicoterapeuta, componente Comitato Pari Opportunità e Cura delle Relazioni OPRC.

I lavori sono stati introdotti dal professor Paolo Valerio, che ha citato il comunicato su Olimpiadi e sport diffuso a settembre dall’ONIG-Osservatorio Nazionale Identità di Genere, di cui Valerio è presidente: "Come stabilito dalla Carta Olimpica (2020) e dalle dichiarazioni delle Nazioni Unite (2011), lo sport è un diritto umano fondamentale che appartiene a tutte le persone indipendentemente da genere, orientamento sessuale, identità di genere o caratteristiche fisiche. Lo sport deve essere un mezzo di inclusione, uguaglianza e miglioramento della qualità della vita, non un ambito in cui discriminazioni e pregiudizi trovano spazio".

L’appello di Valentina Petrillo è stato proprio quello a continuare la sua battaglia: “Non ci facciamo ingabbiare da chi guarda solo interessi o ritorni politici - ha detto Petrillo - è giunto il momento di smascherare l’inganno che c’è dietro al binarismo di genere nello sport, lo sport non rappresenta questa società. In questo il mondo paralimpico è molto più avanti, si impegna veramente per rendere la vita più semplice ai suoi atleti: accolgono 150 categorie di paratleti e riescono anche a mettere a disposizione bagni genderless, cosa impensabile nel mondo olimpico. Io combatto tutti i giorni e ce l’ho fatta, grazie allo sport ho raggiunto l’autonomia, sono andata contro tutti i limiti, sono stata a Parigi, davanti a 90.000 persone entusiaste, che hanno tifato per me. Anche lo stadio ha fatto una sua transizione e da quel giorno dobbiamo ripartire, abbiamo fissato una pietra miliare nella storia di tutti noi, perchè nonostante mi avessero tolto il diritto a partecipare io ho lottato per ottenerlo. Ora sta a tutti voi proseguire questo percorso, io ho messo e continuerò a mettere a disposizione la mia storia”.

Valentina Petrillo vive e subisce una doppia discrminazione in quanto donna trans e persona con disabilità, perchè ipovedente, ma le disuguaglianze e le difficoltà sono ancora tante, a partire da quelle subite dalle atlete donne, come ha ricordato Manuela Claysset. “Nel mondo sportivo ci sono fortissime disuguaglianze di genere - ha detto Claysset - ma non solo, ci sono anche disuguaglianze territoriali, da Roma in giù gli atleti sono sempre molto meno rispetto a quelli che ci sono al nord. Quindi quello che bisogna affermare è che chi fa sport deve avere pari diritti, pari doveri e pari tutele, mentre ancora non è così. In Italia esiste un modello di sport che va rivisto, perchè fortemente discriminante: ci sono ragazzi e ragazze che abbandonano perchè non si trovano a proprio agio negli ambienti che dovrebbero invece accoglierli. Allo stesso modo la competitività e la performance esasperate allontanano i giovani dallo sport, è quindi necessario cambiare prospettiva, trasmettere il concetto che nella pratica sportiva dobbiamo stare bene. La nostra associazione non mira a portare le persone alle Olimpiadi, il nostro compito è promuovere lo sport per tutti e tutte, in modo che cresca la pratica e che il diritto allo sport sia garantito. Si tratta di una battaglia che deve essere trasversale, i vari soggetti del mondo sportivo devono lavorare in rete nella formazione, nell’attenzione al linguaggio e nell’educazione. Proviamo a creare insieme un ambiente differente, per confrontarci con una maniera diversa di fare competizione”.

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La realtà dell’ambiente sportivo di alto livello è stata ben sintetizzata da Luca De Rose, responsabile preparazione mentale della squadra olimpica Italiana: “Purtroppo l’ambiente professionistico, in particolare della squadra olimpica, prevede una totale e assurda mancanza di uguaglianza tra sezione maschile e femminile della squadra. Le atlete che seguo quando hanno un contratto con lo sponsor, a differenza degli atleti uomini che sono inquadrati come atleti, vengono reclutate come modelle indossatrici. In questo modo lo sponsor può, ad esempio, controllare il loro peso, cosa che aggiunge un rilevante carico mentale ed emotivo; allo stesso modo possiamo notare le differenze nei posizionamenti degli sponsor sui capi di abbigliamento tra uomini e donne, in base al focus dell’attenzione del pubblico. Inoltre, tutte le atlete sono considerate dilettanti, hanno stipendi più bassi e meno entrate dagli sponsor, oltre a un diritto diverso al tempo di allenamento, così definito a livello contrattuale, perché gli uomini hanno sempre la precedenza. Infine, voglio evidenziare come la grande ribalta mediatica dei Giochi olimpici faccia diventare le persone strumenti di lotta politica, cosa che non accade durante altre competizioni, anche internazionali, che non attirano allo stesso modo l’attenzione dei mezzi di comunicazione e del pubblico. Si tratta di un mondo misogino che ha ancora difficoltà a garantire la parità alle donne, figuriamoci quando si tratta di affrontare i temi dell’inclusione delle persone LGBTQI+”.

Venerdì 6 dicembre alle 18, a Napoli si tiene la presentazione del libro di Valentina Petrillo, "Più veloce del tempo. Il viaggio della prima atleta transgender verso la felicità". L'incontro è in programma presso Officine Gomitoli, Lanificio Sava di Santa Caterina a Formiello, Piazza E. De Nicola 46. Intervengono: Valentina Petrillo, Manuela Claysset, Пlaria Leccardi, editrice e co-autrice, Rosa Rubino: socia Dedalus e attivista Arcigay.

“Negli ultimi anni tante cose sono cambiate - dice Antonello Sannino, presidente Antinoo Arcigay Napoli - ma oggi è sempre più complicato fare passi avanti, mentre il rischio è di fare passi indietro. I progressi ottenuti sembrano irrilevanti rispetto alla velocità della società che ci circonda, questo dovrebbe farci riflettere: nel 2024 al sud di Napoli non esistono gruppi sportivi lgbtqi+, questo vuol dire che è un processo molto lento, in una società che invece accelera molto su altre questioni. Inoltre, in Italia queste tematiche vengono trattate con un approccio ascientifico, anche in ambienti universitari, fino a diventare in alcuni casi morboso. Davanti ad atteggiamenti che non sono mai sereni, né intellettualmente corretti, dobbiamo ricordare che questo non aiuta la felicità e il benessere delle persone, mentre sarebbe proprio l’obiettivo e la natura dello sport, promuovere il benessere psicofisico di tutte e tutti”. 

Di ricerca del benessere psicofisico ha parlato anche Francesco Garzillo, psicologo e psicoterapeuta, componente Comitato Pari Opportunità e Cura delle Relazioni OPRC: "Chiunque lavori nell’area della promozione del benessere ha come principio cardine il fatto che il benessere biopsicosociale, come definito anche dall’Oms, si basa su diversi determinanti di salute, tra questi c’è anche lo sport. E’ scientificamente provato che ha una serie di effetti positivi per la promozione del benessere ma, nel corso della narrazione di questa sera, abbiamo visto che questa potenzialità benefica viene messa gravemente in discussione dai meccanismi istituzionali di accesso alla pratica, sia per gli alti livelli agonistici che per lo sport di base, dove i giovani si avvicinano alla pratica ma non si sentono adeguatamente accolti. Nello sport si posono poi incrociare diversi assi di discriminazioni, come spiega l’approccio intersezionale che descrive la sovrapposizione di diverse identità sociali e le relative possibili particolari discriminazioni. Gli studi effettuati sulle competizioni olimpiche riportano, infatti, che nella gran parte dei casi vittime di discriminazioni sono donne non bianchei. Lo sport istituzionalizzato è misogino, ma possiamo andare anche oltre la categoria dicotomica maschile-femminile e dire che al suo interno si incrociano più assi di discriminazione”. (A cura di Elena Fiorani)