È una scena potente, quella che apre il video del progetto SIC! Sport, Integrazione, Coesione, promosso da Uisp insieme a UNAR e Lega Serie A. Paola Egonu, in lacrime, pronuncia parole che bruciano: "Mi hanno chiesto perché sono italiana. Non puoi capire" È un fuori onda, ma racconta tutto. Racconta il peso del dover dimostrare, sempre, di appartenere a un Paese che spesso non ti riconosce. Nemmeno quando vinci.
Ottenere la cittadinanza italiana non è scontato nemmeno per chi è nato o cresciuto qui. Accedervi significa riuscire a soddisfare una serie di requisiti burocratici che servirebbero a testimoniare la presenza stabile e integrata sul territorio. Il referendum dell’8 e 9 giugno propone di cambiare questo stato di cose, chiedendo a cittadini e cittadine se vogliono ridurre da dieci a cinque gli anni di residenza legale necessari per poter avviare la richiesta. Un passo che non cancella le difficoltà, ma può alleggerirle. E soprattutto, manda un messaggio chiaro: essere italiane e italiani non dipende dal colore della pelle o dalla provenienza dei genitori, ma da una vita costruita qui, giorno dopo giorno assieme alle altre persone. Il progetto SIC! racconta anche questo. Lo fa con attività sportive inclusive in 17 città italiane, con percorsi di sensibilizzazione e con campagne di comunicazione. Perché lo sport, quando è accessibile, può essere un motore di trasformazione sociale. Ma il pregiudizio non sta solamente nei pensieri e nelle azioni degli individui: sono anche le leggi e le pratiche in cui si articola la vita comune ad alimentarlo e creare barriere.
Nello sport, questa contraddizione diventa lampante. Giovani atlete e atleti cresciuti in Italia, formati dalle nostre scuole e società sportive, ad esempio, si vedono negare la possibilità di essere convocati nelle Nazionali solo perché la cittadinanza arriva tardi. Per molti non arriva mai. Lo sanno bene atlete e atleti come Abdelhakim Elliasmine, mezzofondista cresciuto a Bergamo, che ha vinto dieci titoli italiani ma ha perso l’occasione di gareggiare agli Europei
U23 perché la sua domanda di cittadinanza era stata respinta: mancavano 300 euro al reddito minimo richiesto. O come Alessia Korotkova, cinque volte campionessa italiana di taekwondo, bloccata per anni da una pratica rallentata da errori di trascrizione e richieste surreali, come la necessità di far arrivare dalla Russia un certificato penale. Lei vinceva nei palazzetti italiani, ma non poteva rappresentarli.
Queste sono storie conosciute, ma c’è molto di più e per rendersene conto si può sfogliare il report di Action Aid “Sport e cittadinanza. Norme, pratiche e ostacoli”, che raccoglie anche molte testimonianze di associazioni che si sono adoperate per rendere lo sport accessibile nonostante i vincoli burocratici. Per questo il voto di giugno è una tappa fondamentale. E lo è anche per chi vive lontano da casa. Chi studia, lavora o si cura in una città diversa dalla propria residenza può votare da fuorisede, ma deve fare domanda entro il 4 maggio. È sufficiente presentare un documento d’identità, la tessera elettorale e una certificazione che attesti il motivo del domicilio (studio, lavoro, cure), e consegnarli al Comune in cui si vive da almeno tre mesi.
Il referendum parla di cittadinanza, ma in gioco c’è molto di più. C’è il diritto di essere riconosciuti, di sentirsi parte di una comunità non solo nello sport, ma nella vita. C’è la possibilità di dire che l’Italia che vediamo crescere nei nostri campi da gioco, nelle palestre di periferia, nelle scuole e nei quartieri, è già reale. E merita di essere riconosciuta anche per legge. SIC! lavora ogni giorno per abbattere le discriminazioni, promuovendo uno sport per tutte e tutti.
A giugno, possiamo farlo anche con un voto: scendiamo tutte e tutti in campo! (Lorenzo Boffa)