Nazionale

Progetto SIC: le discriminazioni ci obbligano a guardarci allo specchio

Dalle massime competizioni ai tornei giovanili, le discriminazioni che colpiscono atleti e atlete raccontano un problema strutturale dello sport


Riprendiamo la campagna di comunicazione contro le discriminazioni nello sport nell'ambito del progetto SIC! – Sport, Integrazione, Coesione da dove eravamo lasciati, con il capitano dell’Italia under 20 di basket, David Torresani, che dopo la vittoria agli Europei aveva scritto: Grazie per i commenti razzisti, ci avete dato la carica. Una frase amara, che nel celebrare la vittoriadenunciava il prezzo da pagare per essere se stessi, anche nello sport.

L’estate, infatti, non ha fatto che confermare quella ferita aperta. Dai campi di calcio alla corsia di una piscina, dai social alle tribune di competizioni giovanili e internazionali, il le discriminazioni non hanno mai smesso di fare invasione di campo.

Partiamo dagli Europei femminili di calcio. La UEFA ha individuato quasi 2.000 messaggi di odio online di cui il 67% era rivolto direttamente alle calciatrici: molti erano contenuti sessisti, razzisti o omofobi. La federazione ha risposto con strumenti nuovi: monitoraggio costante, linee guida per la prevenzione, collaborazione con le piattaforme social per la rimozione dei contenuti e supporto psicologico per le atlete coinvolte. Ma la dimensione del problema resta allarmante. E conferma un dato: oggi, il razzismo e il sessismo non si limitano a colpire gli atleti. Colpiscono prima di tutto chi si espone, chi mostra fieramente la propria faccia.

Lo sa bene Sara Curtis, giovane nuotatrice italiana, finalista ai Mondiali di Singapore. Da tempo è nel mirino degli hater, a causa delle sue origini. Qualcuno ha scritto che i suoi record “non sono italiani, ma nigeriani”. Parole odiose che lei stessa ha definito “ripugnanti”. E mentre Curtis fa la storia del nuoto italiano, deve ancora spiegare che è nata e cresciuta in Piemonte, che la sua cittadinanza è un diritto, non una concessione, invitando gli odiatori a sfogliare la costituzione, come ha detto in una recente intervista

Storie simili emergono anche nell’atletica. Kelly Doualla, 15 anni, ha vinto l’oro agli Europei under 20 nei 100 metri. Anche lei, come Curtis, viene attaccata sui social per il colore della sua pelle. “Mi scivolano via”, ha detto, raccontando di ispirarsi alle campionesse della pallavolo Egonu e Sylla, finite spesso al centro del mirino dei razzisti. Ma anche quella è una scelta imposta: difendersi in silenzio per non farsi sopraffare. Il problema infatti non sono solo gli insulti. È il modo in cui scegliamo – o rifiutiamo – di nominarli. È l’inerzia di fronte ai segnali, è la mancanza di solidarietà concreta con le vittime.

Nel calcio, invece, il razzismo ha ripreso la forma dell’insulto gridato allo stadio. A Torino, durante Juventus-Parma, Weston McKennie è stato preso di mira da un gruppo di tifosi del Parma rimasti nel settore ospiti ben dopo il fischio finale. Mentre il centrocampista si allenava con i compagni che non avevano preso parte alla gara, dagli spalti sono partiti insulti perfettamente udibili, tra cui “McKennie vai a casa!” e altri commenti esplicitamente razzisti che il calciatore ha sentito e denunciato. Oltre al club bianconero, anche il Parma ha condannato con fermezza quanto accaduto. A Cerignola, in Coppa Italia, durante la sfida con l’Hellas Verona, dagli spalti si sono levati cori razzisti come “sporchi terroni” e “acqua e sapone”, rivolti alla squadra avversaria. A Borgomanero, durante una partita del campionato di Eccellenza piemontese, Jean Enrico Kouadio è stato bersagliato da un coro che gridava ripetutamente “Scimmia! Scimmia! Scimmia!”. Anche in quel caso, la partita è proseguita senza interruzioni. Né gli arbitri, né il pubblico, né il sistema sportivo hanno fermato ciò che stava accadendo. Ancora una volta, il razzismo ha potuto agire indisturbato, dentro e fuori dal campo.

Serve una nuova cultura sportiva, che impari ad ascoltare prima di commentare, a raccontare prima di giudicare. Perché ogni parola conta. E ogni parola può aprire – o chiudere – la porta dell’inclusione. Per questo l’Uisp porta avanti il progetto SIC!, in collaborazione con UNAR e Lega Serie A, per contrastare ogni forma di discriminazione nello sport. Lo fa con eventi sportivi, formazioni, presidi educativi e una campagna nazionale che attraversa 17 città italiane.

Il prossimo appuntamento sarà il 25 settembre a San Benedetto del Tronto, in occasione della Rassegna nazionale Matti per il Calcio, da sempre uno dei simboli dell’impegno Uisp per i diritti, la salute mentale e l’inclusione. L’incontro, dal titolo “Pregiudizi in fuorigioco: sport e integrazione contro le discriminazioni”, chiuderà un anno di attività che ha visto in prima fila Uisp, UNAR e Lega Serie A, e sarà l’occasione per confrontarsi sul ruolo dello sport nella lotta a ogni forma di discriminazione. (Lorenzo Boffa)