Il decreto interministeriale del 31 luglio 2025, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 248 del 24 ottobre 2025, segna un passaggio decisivo nel percorso di riconoscimento delle competenze acquisite attraverso l’attività di volontariato.
Firmato dai ministri del Lavoro e delle Politiche sociali, dell’Istruzione e del Merito, dell’Università e della Ricerca e per la Pubblica Amministrazione, il provvedimento dà attuazione all’art. 19 del codice del terzo settore (D.Lgs. 117/2017) e definisce i criteri per il riconoscimento, in ambito scolastico e lavorativo, delle competenze maturate nello svolgimento di attività o percorsi di volontariato.
UN TASSELLO NEL SISTEMA NAZIONALE DELLE COMPETENZE
Il decreto si inserisce in un quadro più ampio di politiche nazionali per l’apprendimento permanente, avviato con la legge n. 92/2012 e consolidato con il D.Lgs. 13/2013 sul sistema nazionale di certificazione delle competenze.
Viene inoltre richiamato il decreto interministeriale del 5 gennaio 2021, che definisce le “Linee guida per l’interoperabilità degli enti pubblici titolari del Sistema nazionale di certificazione delle competenze (SNCC)”. Quest’ultimo stabilisce le specifiche tecniche per il rilascio, la conservazione e la registrazione digitale delle attestazioni, garantendo tracciabilità, trasparenza e comparabilità dei risultati di apprendimento.
In questa cornice, il decreto del 31 luglio 2025 rappresenta il punto di incontro tra la normativa sulle competenze e le politiche del terzo settore, riconoscendo formalmente il volontariato come contesto di apprendimento non formale e civico, in grado di generare valore personale, sociale e professionale.
DALL’ESPERIENZA ALLA COMPETENZA
L’articolo 1 del decreto chiarisce l’obiettivo generale: promuovere il volontariato, in particolare tra i giovani, come esperienza formativa che contribuisce alla crescita umana, civile e culturale della persona.
Si punta così a rendere visibili e spendibili in ambito educativo e lavorativo le competenze maturate “sul campo”: capacità di collaborazione, gestione del tempo, problem solving, comunicazione, leadership e responsabilità.
L’articolo 3 definisce i criteri operativi per l’individuazione delle competenze esercitate nel volontariato: durata minima di 60 ore in dodici mesi, processi strutturati di documentazione e verifica, possibilità di avvio sia su richiesta della persona sia su iniziativa degli enti titolati.
Non un semplice riconoscimento “formale”, dunque, ma un percorso fondato su evidenze documentate, con strumenti e procedure condivise.
IL RUOLO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE
Elemento centrale del provvedimento è l’attribuzione agli enti del terzo settore (Ets) del ruolo di soggetti titolati a erogare il servizio di individuazione e messa in trasparenza delle competenze, secondo gli standard previsti dal DM 9 luglio 2024.
Gli Ets potranno operare anche in collaborazione con i Centri duali nazionali per lo sviluppo delle competenze professionali (cioè luoghi di formazione alternanza scuola-lavoro implementato a livello regionale attraverso una rete di istituzioni formative e imprese), rafforzando la rete territoriale e il supporto operativo
Questa impostazione riconosce al terzo settore non solo una funzione sociale, ma anche una responsabilità educativa, collocandolo stabilmente nel sistema nazionale delle politiche per la valorizzazione delle competenze comunque acquisite in contesti formali, non formali ed informali e l’apprendimento permanente.
IL PROCESSO DI INDIVIDUAZIONE: QUALITÀ E TRASPARENZA
L’articolo 5 descrive il processo in cinque fasi:
PORTABILITÀ E RICONOSCIMENTO UFFICIALE
L’articolo 6 introduce il principio di portabilità delle competenze, prevedendo che le attestazioni rilasciate possano essere riconosciute nei percorsi scolastici, formativi e universitari, nonché considerate nei concorsi pubblici e nei processi di selezione del personale.
Si tratta di un passo significativo verso la valorizzazione dell’azione volontaria anche in ottica della occupabilità.
MONITORAGGIO E MIGLIORAMENTO CONTINUO
Il ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ai sensi dell’articolo 7, coordinerà le attività di monitoraggio e valutazione, garantendo coerenza con quanto previsto dal dm 9 luglio 2024.
Il monitoraggio permetterà di misurare l’efficacia dei processi, individuare le buone pratiche e valorizzare i dati prodotti dagli Ets, rafforzando la governance nazionale del sistema.
UN PERCORSO PREPARATO DAL TERZO SETTORE
Il decreto non nasce nel vuoto: arriva al termine di un percorso di studio e sperimentazione che ha visto impegnate le reti del terzo settore negli ultimi anni.
Molti enti hanno avviato percorsi formativi specifici per la creazione di figure dedicate ai servizi di individuazione e validazione delle competenze e hanno prodotto ricerche e strumenti operativi di grande valore scientifico.
Tra questi si segnala il volume “Analisi e innovazione dei processi formativi del terzo settore. Competenze strategiche dei volontari” (Lupetti 2025), che ha anticipato molti dei principi oggi formalizzati nel decreto, delineando un modello di formazione basata sull’esperienza e sulla riflessività.
Grazie a questi contributi, il sistema di riconoscimento delle competenze nel volontariato arriva oggi su basi solide, con un linguaggio condiviso e una consapevolezza diffusa.
VERSO UNA CULTURA DEL RICONOSCIMENTO
Il nuovo decreto rappresenta un passo avanti verso una cultura della valorizzazione del sapere esperienziale.
Riconoscere le competenze apprese nel volontariato significa restituire dignità e valore all’impegno civile, rafforzare il legame tra partecipazione e cittadinanza attiva, creare ponti tra educazione, lavoro e comunità.
In definitiva, questo provvedimento consolida il diritto di ciascuna persona a vedere riconosciuto ciò che sa fare, anche quando appreso al di fuori dei percorsi formali.
Un riconoscimento che non premia solo il volontario, ma l’intera società, perché trasforma la solidarietà in competenza condivisa e generativa.
CRITICITÀ
La cura nella gestione dei dati e nell’archiviazione delle evidenze è un elemento di garanzia per la qualità del sistema e per la tutela delle persone. La gestione dei dati rilancia un punto ancora aperto che riguarda la mancanza di un’infrastruttura unica per la registrazione, conservazione e interoperabilità delle attestazioni rilasciate dagli enti. Attualmente, i sistemi di gestione documentale e di tracciamento delle competenze rischiano di restare frammentati tra regioni, amministrazioni e reti associative, con conseguente perdita di uniformità e accessibilità.
Costruire una dorsale nazionale unica, integrata nel Sistema informativo unitario del ministero del Lavoro e collegata alle piattaforme regionali, consentirebbe di:
Solo attraverso un’infrastruttura condivisa e stabile sarà possibile dare piena attuazione al diritto al riconoscimento delle competenze, trasformando il decreto in una leva effettiva di trasparenza, mobilità e coesione sociale.
Di seguito inseriamo due schede:
1) Le principali novità del decreto
2) Riferimenti normativi principali