Pubblichiamo l’ampio articolo “Sport e terzo settore, convergenze, approccio pratico, scenari e spazi di intervento per l’ente di promozione sportiva”, firmato da Tiziano Pesce, presidente nazionale Uisp, per la rubrica Opinione del numero di novembre di Associazioni e sport, il mensile edito dal Gruppo Euroconference, già diretto dal compianto avv. Guido Martinelli.
La rivista (disponibile in abbonamento) affronta in modo multidisciplinare e completo gli aspetti fiscali, giuridici, contabili e giuslavoristici delle associazioni e offre un monitoraggio costante sulle novità, gli adempimenti e le agevolazioni.
Sull’interconnessione di sport e terzo settore
I binari dello sport dilettantistico e quelli del terzo settore sono senza dubbio sempre più interconnessi, con i principali nodi di incontro e di scambio rappresentati dalle recenti riforme legislative del sistema sportivo e del terzo settore, che poco più di un anno fa hanno trovato una importante “sintesi” all’interno dell’articolo 33 della Costituzione:
| “La Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme” |
Ragionevolmente possiamo quindi ritenere che si possa oggi parlare di un vero e proprio diritto allo sport costituzionalmente tutelato. Una educazione civica e alla cittadinanza attiva attraverso lo sport che finalmente la Carta costituzionale valorizza in quel “riconosce”, lasciando trasparire la visione della realtà sportiva come realtà “preesistente”, che la Repubblica si impegna a tutelare e promuovere. Il contenuto dell’attività sportiva sintetizza quindi 3 ambiti molto complessi e strategici: valore educativo, sociale e di beneficio per la salute.
All’interno di questa cornice, l’Uisp rafforza e rilancia il proprio impegno, di ente di promozione sportiva, associazione di promozione sociale e rete associativa, protagonista di un Terzo settore sempre più generatore di cittadinanza attiva, partecipazione democratica, economia sociale. Un Terzo settore vasto, capace di rappresentare valori e bisogni, da trasformare in programmi, politiche, atti di governo, a tutti i livelli, nel pieno interesse di cittadini e cittadine, contrastando differenze e disuguaglianze, povertà, contro ogni discriminazione, per l’interculturalità, per i diritti, l’ambiente, la solidarietà. Una grande rete nazionale che si impegna per essere sempre più un punto di riferimento credibile, un pezzo della parte buona e bella del Paese, misurandosi a tutti i tavoli della rappresentanza, cogliendo sempre di più le sfide sul terreno dell’amministrazione condivisa, della trasparenza e della rendicontazione sociale, vigilando e accompagnando la messa a terra delle Riforme.
Sulle aree di intervento
Un impegno che per grandi organizzazioni come l’Uisp, si rinnova ogni giorno, per contribuire a promuovere una società sempre più inclusiva e sostenibile, che possa trovare le condizioni normative e di risorse disponibili per sviluppare quella dimensione dello sport di base e sociale di matrice europea, presidio di salute, partecipazione, oltre ogni barriera fisica, sociale ed economica, affinché l’attività sportiva diventi davvero diritto di cittadinanza per tutti e per tutte. Al centro di queste azioni, la vitalità del territorio e delle decine di migliaia di Asd, con centinaia di migliaia di associati, praticanti, dirigenti, tecnici, giudici, volontari, già protagonisti, spesso senza rendersene appieno conto, attraverso piccole o grandi iniziative che siano, in tutte quelle attività di interesse generale svolte “per il perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale” previsto dalla normativa del terzo settore, oltre quel modello per troppo tempo schiacciato su agonismo e ricerca esasperata del risultato. Un percorso che seguiamo da molto tempo, attraverso attività e riflessioni frutto della convergenza tra fenomeni contigui, sport per tutti e sport sociale. Una visione bivalente che abbiamo cercato sempre di interpretare sia nell’ambito della rappresentanza negli organismi interassociativi e unitari che il terzo settore ha iniziato a darsi sin dagli anni ‘90, sia nelle iniziative e campagne che sul terreno del “fare” hanno contribuito alla crescita di esperienze e competenze originali, in ambito nazionale ed europeo. Se oggi la riforma del terzo settore riconosce a pieno titolo le “attività sportive dilettantistiche” (articolo 5, lettera t), D.Lgs. 117/2027, ormai da tutti conosciuto come CTS) è anche grazie alla caparbia azione portata avanti, con e nel Forum del Terzo settore, nel rapporto con le istituzioni nazionali, con al centro i governi e le forze parlamentari che si sono succeduti. Baricentro di tutto questo, appunto, l’associazionismo sportivo dilettantistico, che svolge un ruolo fondamentale, cruciale nel tessuto sociale del Paese, tanto nelle città quanto nelle periferie e nelle aree interne, nei luoghi che presentano contesti di maggiore fragilità, offrendo opportunità di incontro e confronto, aggregazione, crescita personale e benessere, in tutte le età della vita.
Sulla normativa differenziata di aree strutturalmente contigue
Le modalità con cui le Asd operano presentano moltissime affinità strutturali e di scopo con altri sodalizi del terzo settore. Tuttavia, l’analisi dei trattamenti nomativi e fiscali a cui sono soggette rivela un panorama complesso e variegato, caratterizzato spesso da differenze significative. Le Asd condividono con altre organizzazioni del terzo settore alcune caratteristiche strutturali fondamentali. La loro natura senza fini di lucro le accomuna ad altre entità, a partire dalle Aps, e poi le Odv, le Onlus. Organizzazioni che rispondono a bisogni collettivi e non a logiche di ricerca del profitto, che si basano su principi di volontariato e di partecipazione democratica, con i propri associati che ne determinano linee guida e strategie operative, contribuendo a rafforzarne il legame con le comunità e promuovendo senso di appartenenza e responsabilità civica.
Anche sul piano degli scopi, le Asd presentano molte somiglianze con altri sodalizi del terzo settore.
Lo sport, infatti, non è solo un’attività fisica o una mera occupazione del tempo libero di una persona, ma rappresenta uno strumento di inclusione sociale, di prevenzione e promozione della salute e del benessere, di educazione e di sviluppo sostenibile, portatore di valori, quali solidarietà e integrazione, indispensabili per favorire l’inclusione e combattere l’emarginazione, obiettivi alla base di tutte le organizzazioni che operano nell’ampio “campo del sociale”.
Nonostante tutte queste affinità, le Asd e gli altri enti del terzo settore sono soggetti a trattamenti normativi e fiscali che presentano ancora troppe differenze significative, che alimentano situazioni di disparità e difficoltà di gestione per le associazioni che operano in contesti ibridi o di doppia qualifica, spesso Asd/Aps. Occorre proseguire sul percorso di armonizzazione delle riforme legislative di riferimento, per arrivare a un quadro regolamentare più omogeneo, con procedure semplificate, rendendo più agevole il lavoro di chi opera quotidianamente per il bene comune, all’interno di una ormai fondamentale azione sussidiaria.
Sulle linee programmatiche
Il movimento sportivo dilettantistico di base ha ormai acquisito una consapevolezza e una maturità che lo hanno portato a muoversi attraverso nuovi modelli e su nuovi paradigmi, mutuati dalle innovative opportunità che proprio la riforma del terzo settore offre. Stiamo infatti vivendo una situazione di “transito” e tutti noi, operatori e operatrici dello sport di base e sociale, siamo chiamati, a tutti i livelli, a essere sempre più proattivi nel rapporto con le istituzioni e i portatori di interessi. Non si tratta più e soltanto di chiedere il riconoscimento delle attività sportive in una serie di nuovi ambiti, ma di agire, attraverso lo sport, coprogrammando e coprogettando, ai tavoli con le istituzioni, su tematiche più ampie e trasversali, che vanno dalla mobilità e dalla rigenerazione urbana allo sviluppo sostenibile, da una rinnovata cultura del movimento e di sani stili di vita attivi, dal contrasto alla povertà educativa agli interventi sociali più articolati e complessi, fino alla convivenza pacifica.
Lo sport sociale è per tutti un terreno d’incontro, un acceleratore di confronto e crescita, lo sosteniamo da anni, oggi anche grazie all’impulso dato dall’Uisp, insieme al CESE, il Comitato Economico Sociale Europeo, nel riconoscere lo sport tra i principali fattori europei di coesione e benessere sociale, di riattivazione nel post pandemia da Covid-19 e per superare le ulteriori successive pesanti crisi ed emergenze. Inizia allora a farsi largo, tra le principali strategie di sviluppo sostenibile, la definizione di “transizione sportiva”, all’interno della cornice data dalle transizioni sociale, ambientale, economica, all’interno di una nuova visione di mainstreaming sportivo, un processo per qualificare lo sport in politica pubblica e come strumento strategico a sostegno dei processi finalizzati alla promozione sociale, alla tutela della salute, allo sviluppo sostenibile e alla crescita economica, richiamati e promossi dalla politica di coesione dell’Unione Europea, dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e, da alcuni mesi, anche dal Piano di lavoro dell'Unione Europea per lo sport (1° luglio 2024 – 31 dicembre 2027), approvato dal Consiglio “Istruzione, gioventù, cultura e sport” nella sessione del 13 e 14 maggio 2024.
La sfida culturale è assolutamente aperta, quella politico-istituzionale è stata alimentata spesso, negli ultimi anni, da contraccolpi, da sfide, a volte da pericolose incomprensioni. Da un lato del tavolo gli “altri dello sport”, quelli capaci di declinare questa parola attraverso le mille sfaccettature del sociale, dall’inclusione alla parità di genere, dai diritti sociali e civili alla solidarietà. Dall’altra gli“ortodossi” della piramide, il sistema olimpico e i suoi totem, lo sport di alta competizione e selettivo, spesso il primo colpevole di abbandono precoce e del rafforzamento delle negative graduatorie della sedentarietà italiana. Per questo è fondamentale proseguire nel percorso di emancipazione dello sport di promozione sociale avviato dalle Riforme, che vada oltre le disuguaglianze ancora esistenti all’interno dell’impianto sportivo tradizionale.
Finalmente possiamo quindi affermare, senza timore alcuno di essere smentiti: “Lo sport è terzo settore!” ma, con altrettanta chiarezza e forza, dobbiamo dire che occorre proseguire, senza perdere tempo, sulla strada dell’armonizzazione e semplificazione delle riforme legislative. Un lavoro importante è stato intrapreso dal dicastero per lo sport e i giovani, guidato dal ministro Andrea Abodi, in sinergia con il ministero del lavoro e delle politiche sociali, con la delega al terzo settore nelle mani della vice ministro Maria Teresa Bellucci; importanti risultati sono già stati ottenuti (si pensi ai correttivi ai decreti in cui è stata spacchettata la riforma sportiva e ai primi esiti del percorso ministeriale avviato in seno al Consiglio nazionale del terzo settore) ma ora è necessario non fermarsi, proseguire allineando norme per superare le criticità riscontrate nel periodo di loro prima applicazione. A tal fine non si può che rammentare come sia assolutamente necessario il pieno coordinamento tra i 2 “Registri” di riferimento di sport e terzo settore, ossia tra il Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche (RASD), istituito presso il Dipartimento per lo sport e gestito telematicamente da Sport e salute Spa, che ha superato il cosiddetto Registro Coni, e il Registro Unico nazionale del Terzo settore, (RUNTS), tenuto presso il ministero del lavoro e delle politiche sociali e gestito da Unioncamere.
Il D.Lgs. 36/2021 ne sancisce la piena compatibilità, il nuovo regolamento del RASD parla ora genericamente di enti sportivi dilettantistici, ma i sodalizi, con doppia qualifica, affiliati a un organismo nazionale sportivo e di terzo settore, continuano a dover di fatto interloquire in modo distinto con entrambe le piattaforme informatiche, caricando e trasmettendo alle 2 amministrazioni di riferimento, anche per il tramite degli organismi affilianti, praticamente gli stessi dati che potrebbero essere richiesti una sola volta e non, invece, duplicati, con un evidente aggravio gestionale e di tempo impiegato e in palese in violazione dell’articolo 43, D.P.R. 445/2000, dovendo fornire a una P.A. informazioni già detenute da un’altra P.A.. Si pensi poi alle differenti normative a cui si deve riferire un’Asd e un ente sportivo di terzo settore per ottenere il riconoscimento della personalità giuridica, con un inspiegabile disallineamento anche sull’importo del patrimonio minimo necessario: se da un lato la normativa sportiva ricalca la procedura semplificata prevista dal CTS, dall’altro i 10.000 euro richiesti ai sodalizi sportivi dilettantistici salgono a 15.000 per gli enti di terzo settore.
Di contro, si è colto con favore quanto introdotto recentemente dalla L. 104/2024 recante “Disposizioni in materia di politiche sociali e di enti del terzo settore”, che ha previsto per gli enti del Terzo settore iscritti anche nel Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche che i ricavi derivanti da rapporti di sponsorizzazione, promo pubblicitari, cessione di diritti e indennità legate alla formazione degli atleti nonché dalla gestione di impianti e strutture sportive – ancorché qualificate come attività diverse, non debbano essere computati ai fini del rapporto tra attività diverse e attività di interesse generale a condizione che i relativi proventi siano impiegati in attività di interesse generale afferenti allo svolgimento di attività sportive dilettantistiche. A mero titolo esemplificativo, i ricavi derivanti da attività di sponsorizzazione diretti a finanziare le attività sportive pur mantenendo la qualifica di attività diverse non incidono sul rapporto tra attività di interesse generale e attività diverse.
Sul volontariato sportivo, l’arretramento rispetto alle aspettative di aggregazione normativa
Una armonizzazione attesa che addirittura è letteralmente sparita è invece quella riguardante, restando a una delle ultime modifiche legislative, il contesto del volontariato sportivo. Il correttivo al D.Lgs. 36/2021 (articolo 3, comma 3, lettera b), D.Lgs. 71/2024, convertito con modificazioni dalla L. 106/2024) ha infatti previsto la reintroduzione del rimborso spese forfettario per i volontari delle organizzazioni sportive, riguardo le:
| “spese sostenute per attività svolte anche nel proprio comune di residenza, nel limite complessivo di 400 euro mensili, in occasione di manifestazioni ed eventi sportivi riconosciuti dalle Federazioni sportive nazionali, dalle Discipline sportive associate, dagli Enti di promozione sportiva, anche paralimpici, dal Coni, dal Cip e dalla società Sport e salute SpA”. |
Ciò ha disallineato del tutto la normativa ormai consolidata, creando un regime economico-fiscale differenziato tra i volontari delle organizzazioni sportive e i volontari delle organizzazioni sportive che hanno acquisito anche la qualifica di enti del terzo settore (essendo espressamente preclusa a questi ultimi la possibilità di percepire rimborsi spese forfettari), esponendo i percettori e le organizzazioni a un grave rischio di contestazione per utilizzo elusivo della norma, privando le organizzazioni sportive della possibilità di optare per il rimborso in regime di autocertificazione in alternativa al rimborso forfettario. Il Decreto così novellato non ha oltretutto apportato alcuna semplificazione, anzi ha introdotto molteplici dubbi interpretativi, snaturando l’essenza stessa del volontariato, basato sull’apporto a titolo spontaneo e gratuito dell’impegno di una persona, arrivando in alcuni casi a nascondere forme di remunerazione. Il D.Lgs. 117/2017, ricordiamo, consente invece ai volontari degli enti di terzo settore di poter ricevere rimborsi analitici delle spese effettivamente sostenute ovvero autocertificate, sempreché entro la soglia dei 10 euro giornalieri o massimo 150 euro mensili, con la possibilità di svolgere qualsiasi attività di volontariato. Nel perimetro del D.Lgs. 36/2021, invece, i volontari che si trovassero a effettuare prestazioni in occasioni diverse da quelle delle manifestazioni e degli eventi sportivi rischierebbero di ricevere contributi fiscalmente rilevanti o comunque a dover essere inquadrati come lavoratori sportivi.
Tutto questo in una fase storica già molto complicata e in cui ci si aspetterebbe invece un forte rafforzamento della correlazione tra le 2 legislazioni speciali di riferimento. Significative asimmetrie permangono poi, ad esempio, negli ambiti della fiscalità (ancora in attesa dell’autorizzazione della Commissione Europea la normativa di riferimento del CTS) e della trasparenza su bilanci e rendicontazione, con il terzo settore che ha introdotto schemi e modelli di bilancio, approvati con Decreto ministeriale, mentre le Asd che non abbiano anche qualifica di ente di terzo settore non hanno in capo alcun vincolo di modello da adottare.
Sul completamento della Riforma del lavoro sportivo; allineamento delle figure
Resta poi da completare la messa a terra della Riforma del lavoro sportivo, che richiede ulteriori interventi migliorativi e di supporto alla sua sostenibilità, oltre che, ovviamente, tutele assicurative e previdenziali più adeguate. A ciò si aggiunge il tema delle mansioni dei lavoratori sportivi il cui elenco è stato integrato con D.P.C.M. del 25 luglio scorso senza alcuna armonizzazione delle figure previste. Si ricorda che l’articolo 25, comma 1-ter, D.Lgs. 36/2021, qualifica come lavoratori sportivi non solo atleti, allenatori, istruttori, direttori tecnici, direttori sportivi, preparatori atletici e direttori di gara ma anche i tesserati che espletano mansioni riconosciute come strumentali nei regolamenti delle Federazioni sportive nazionali e delle Discipline sportive associate in base a un elenco che confluisce successivamente nel provvedimento del Governo.
Non è stato fatto alcun lavoro di armonizzazione relativamente alle mansioni funzionali trasversalmente a qualsiasi attività sportiva dilettantistica che non sono state indicate da tutte le FSN e DSA. Si pensi a profili come quello dei “docenti formatori sportivi”, degli “addetti al trasporto degli atleti”, dei “dirigenti accompagnatori” o dei “designatori”. Ci sono poi figure con riferimento alle quali sarebbero opportuni chiarimenti onde evitare possibili contestazioni sia per la formulazione non chiara dell’oggetto della prestazione sia per il rischio che siano svolte nell’esercizio di una attività che richiede l’abilitazione professionale, circostanza che fa decadere dalla possibilità di qualificare il collaboratore come lavoratore sportivo. L’elenco delle mansioni, diviso per singola Federazione e Disciplina associata, dovrebbe rappresentare un punto di riferimento per tutti gli organismi nazionali e i sodalizi sportivi riconosciuti dal CONI e dal Dipartimento per lo sport, quindi compresi gli enti di promozione sportiva e le associazioni e società sportive dilettantistiche loro affiliate, che, con i propri tesserati rappresentano la maggior parte della consistenza del movimento sportivo italiano e, quindi, anche dei lavoratori dello sport.
Si giungerà a una auspicata armonizzazione delle figure trasversali o a parità di funzioni chi opera nella Federazione o Disciplina sportiva associata che ha contemplato quella figura potrà essere qualificato come lavoratore sportivo mentre chi non l’ha indicata dovrà applicare le ordinarie regole del lavoro? È lavoratore sportivo, ad esempio, il designatore arbitrale che opera all’interno della Federazione pallavolo ma non quello che opera all’interno della Federazione gioco calcio che non lo ha in elenco? Forse non lo ha perché le funzioni arbitrali nei campionati della Federcalcio sono in capo all’Associazione italiana arbitri? E se il designatore arbitrale non è inquadrabile nella Figc non lo è quindi in nessun Ente di promozione sportiva?
Restando all’ambito del lavoro e quindi delle collaborazioni sportive è importante ricordare come sia assolutamente frequente che all’interno di enti sportivi collaborino, ad esempio nel ruolo di tecnici, preposti alle gare, persone titolari di redditi da pensione. E molti sono i casi in cui percettori di una pensione c.d. quota cento si vedono recapitare dall’Inps comunicazioni con cui viene revocata la pensione e richiesto il rimborso degli importi riconosciuti in quanto incompatibile la percezione del reddito da collaborazione coordinata e continuativa sportiva.
Se si è andati in pensione prima del tempo, accedendo alla c.d. quota 100/102/103, non è possibile ricevere compensi da lavoro fino al raggiungimento del requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia ma, di contro, è garantita la possibilità di percepire redditi da lavoro autonomo occasionale nel limite di 5.000 euro lordi all’anno. Un’ulteriore grave problematicità che sta mettendo a rischio anche gli organigrammi dei sodalizi sportivi di base.
Sulla salute e sicurezza; una disciplina comune al non profit
E poi, ancora, la necessità di ulteriori interventi normativi e di loro armonizzazione nell’ambito della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, auspicando che si possa giungere a prevedere disposizioni comuni al mondo del non profit. A oggi non è ancora dato sapere quando sarà approvato il D.P.C.M. o il Decreto dell’autorità politica delegata in materia di sport che dovrà definire, così come previsto dall’articolo 32, D.Lgs. 36/2021, i controlli medici sotto cui è svolta l'attività sportiva dei lavoratori sportivi. Quali sono poi gli oneri in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro in capo ai committenti che beneficiano esclusivamente dell'apporto di volontari e di lavoratori sportivi soggetti all’articolo 21, D.Lgs. 81/2008, in quanto titolari di partita Iva o con compensi inferiori ai 5.000 euro, ex D.Lgs. 36/2021? Sarebbe ipotizzabile che gli organismi sportivi affilianti possano organizzano la formazione in materia di sicurezza, accedendo a contributi pubblici per garantire tale formazione, formano altresì i rappresentanti dei lavoratori da distaccare presso gli enti sportivi affiliati? Non si può poi tralasciare il tema degli adempimenti legati alla prevenzione e al contrasto di ogni forma di abuso, molestia, violenza di genere o discriminazione per ragioni di etnia, religione, convinzioni personali, disabilità, età o orientamento sessuale ovvero per le ragioni di cui al D.Lgs. 198/2006 sui tesserati, specie se minori d’età, unitamente a quanto disposto dai DD.LLgs. 36/2021 e 39/2021 nonché dalle disposizioni emanate in materia dalla Giunta nazionale del CONI, norme in capo a soggetti dell’ordinamento sportivo e non previsti, a proposito di cortocircuiti tra le Riforme, per enti di terzo settore. Perché? Viene spontaneo domandarsi.
Sulla stabilità e sostenibilità del sistema associativo di base
Il sistema delle associazioni sportive di base deve essere accompagnato nel gestire nuovi assetti e procedure. Si pensi soprattutto alle più piccole che si reggono quasi esclusivamente sul volontariato, senza tralasciare il fondamentale aspetto delle semplificazioni per assicurare stabilità, sostenibilità economica e amministrativa. C’è il peso che creano le disuguaglianze sociali del nostro Paese, tra nord e sud, tra centri urbani e periferie, in termini di impiantistica sportiva e di capacità di spesa delle famiglie. Le società sportive di base si fanno carico di una serie infinita di spese ordinarie e straordinarie legate al funzionamento degli impianti sportivi pubblici che molto spesso gestiscono. C’è il tema del corretto inquadramento dei lavoratori, delle loro tutele previdenziali e della loro sicurezza. Situazioni che si accavallano allo storico sbilanciamento tra risorse assegnate all’alto livello sportivo e quelle, infinitamente più scarse, destinate allo sport sociale e di base, che acuiscono la mole di criticità che si scaricano sullo sport di base. Auspichiamo che le Riforme del sistema sportivo e del Terzo settore siano accompagnate con un percorso di piena armonizzazione e con urgenti e coerenti politiche pubbliche a sostegno dell’associazionismo sportivo, evitando l’isolamento di migliaia di dirigenti di base, a far fronte a un diritto, quello allo sport, che, diventato costituzionale, merita oggi piena promozione, tutela e sostegno.
Solo così, lo sport, lo sport sociale, potrà rappresentare sempre più un ecosistema di innovazione, un soggetto proattivo e generatore di cambiamento, di benessere, di sviluppo, inclusione e coesione delle nostre comunità.
Ne abbiamo un dannato bisogno.
di Tiziano Pesce - presidente nazionale Uisp, consigliere nazionale Coni, componente Consiglio nazionale del Terzo Settore