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Le politiche per i beni comuni e le periferie

“I beni comuni sono quei beni che se arricchiti, arricchiscono tutti, se impoveriti, impoveriscono tutti”: è la definizione, semplice e efficacissima, che ne dà il professor Gregorio Arena, presidente di Labsus, il Laboratorio per la sussidiarietà. Negli ultimi anni, i beni comuni sono entrati a pieno diritto non solo nel lessico, ma nelle pratiche di una straordinaria molteplicità di soggetti: dalla pubblica amministrazione al terzo settore, dall’associazionismo spontaneo al singolo cittadino.
Questo nuovo e allo stesso tempo antichissimo concetto di gestione collettiva sta diventando il cuore di un processo di innovazione sociale e istituzionale che, oltre a rivoluzionare il rapporto tra l’ente pubblico e i cittadini, sta smuovendo nel profondo le stesse modalità di relazione comunitaria.
Sono ormai centinaia in Italia i Comuni che, ad ogni latitudine e di ogni dimensione, hanno seguito l’esempio di Bologna, approvando il “Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni”: e, grazie a questi Regolamenti, hanno stretto dei veri e propri “Patti di collaborazione” per riqualificare gli spazi pubblici, per gestire in modo condiviso immobili e edifici inutilizzati, per mettere in moto percorsi di produzione dei saperi che condizionino positivamente la qualità della vita di tutti i cittadini e le cittadine.

Nell’ampio spettro dei beni comuni, materiali e immateriali, trovano posto quelli urbani. È facile pensare alle piazze, ai parchi e ai giardini, alle infrastrutture e agli edifici come una sorta di tessuto connettivo delle città, la cui qualità e libera fruibilità incide fortemente sul benessere e la libertà di tutti i cittadini. Tradizionalmente immaginati come beni pubblici, in questo senso diventano beni comuni. Ma non basta, ovviamente: per far sì che lo siano davvero, deve innescarsi un processo, che è al contempo pratica sociale e iniziativa politica, di appropriazione di quel bene da parte dei cittadini e delle comunità. 

Per questo motivo questa politica potrebbe essere ribattezzata “i luoghi dello sport per tutti”, spazi della città dove si pratica lo sport “a misura di ciascuno”, dove si gioca liberamente, dove si guadagna salute attraverso il movimento, dove si costruiscono comunità e si allenano cittadini, prima ancora che campioni.