Mai dimenticare il contesto nel quale è nato lo sport moderno. Il XX secolo è stato attraversato da un contino confronto tra ideologie e tra grandi potenze, imperialiste e autoritarie. E lo sport è stato utilizzato in questa contesa politica e diplomatica, basti pensare ai Giochi olimpici di Berlino e agli anni Ottanta, quelli dei boicottaggi dei Gochi di Los Angeles e Mosca.
Tuttavia la storia dello sport non va letta soltanto in maniera lineare, per fortuna. Perché lo sport si è diffuso tra le masse e non è rimasto un fenomeno di elite. Ha saputo interpretare i valori della pace e della fraternità. Oltre che rappresentare una prospettiva di miglioramento della propria salute. E qui entra in gioco il ruolo svolto dallo sport per tutti, dalle organizzazioni sociali come l'Uisp e dai movimenti per i diritti, che irrompono su un palcoscenico riservato a pochi e ne fanno una opportunità alla portata di tutti, un diritto.
Su questo doppio asse, sportpertutti e sport olimpico, si snoda la seconda parte dell’intervista al professor Patrick Clastres, storico dello sport, docente all’Università di Losanna. (questa è la prima parte)
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A quasi 130 anni dalla prima edizione dei Giochi olimpici moderni, tenutasi ad Atene nel 1896, che cosa rimane dell’ideale olimpico di De Coubertin?
"Per quanto riguarda l'ideale olimpico di De Coubertin - dice il professor Clastres - c'è tutto un sistema leggendario, tutta una mitologia che è stata costruita e che dimentica di situarlo nel suo tempo e nel suo ambiente. Il suo progetto era di pace internazionale, cioè la pace tra le nazioni attraverso lo sport, ma anche un progetto di educazione delle élite del suo tempo. La sua ambizione era quella di creare una nuova élite francese prima, e mondiale poi, essenzialmente occidentale, che fosse in un certo senso quella dei cavalieri del XX secolo, cioè nobili e borghesi plasmati dallo sport e dal fair play e mossi dalla motivazione di diventare i nuovi leader del mondo, cioè i grandi colonizzatori, i leader delle grandi imprese, i grandi diplomatici, i grandi capi di Stato. Pierre de Coubertin non avrebbe mai immaginato che lo sport potesse essere aperto alla gente”.
“De Coubertin non avrebbe mai immaginato che lo sport fosse fatto anche per le donne. Non avrebbe mai immaginato che lo sport sarebbe stato aperto a quelli che allora venivano chiamati gli indigeni, cioè i nativi, i popoli soggetti agli imperi coloniali. Il suo progetto è estremamente elitario, il che è abbastanza incredibile perchè costruito sulla base del confronto tra le nazioni che si sarebbe dovuto realizzare in maniera pacifica, all’interno di uno stadio”.
“Sembra sorprendente, ma resta il fatto che, essendo stato il Novecento un secolo di confronto tra ideologie, di confronto tra grandi potenze imperiali, alcune volte ad orientamento autoritario, e anche un grande secolo di educazione delle masse, questo ideale, per ciò che è fraternità e pace attraverso lo sport, si è diffuso tra le masse, comprese le popolazioni più modeste. E si è diffuso anche nel movimento dei lavoratori, diventando allo stesso tempo un indicatore per raggiungere la buona salute delle persone oltre che per concorrere ad ideali di fraternità e pace. Forse aderiscono meno all’idea del confronto simbolico o alla questione di un'élite che si costruirebbe solo attraverso lo sport. Ma qui, in ogni caso, c'è un'ambivalenza estremamente importante nel progetto olimpico di Coubertin. Una sua grandissima affermazione nel XX secolo, fino ai giorni nostri, che probabilmente legittima speranze di democratizzazione del Cio nei decenni a venire. Perché va ricordato che inizialmente, questa istituzione, il Comitato Olimpico Internazionale, è un’istituzione molto conservatrice”.
Lo sport nel corso degli anni è diventato il fenomeno sociale del nostro tempo anche grazie ai valori trasmessi dallo sport per tutti, il cosiddetto grassroots sport. Come ad esempio l'inclusione, il benessere a tutte le età, la parità di genere. Pensa che il movimento dello sport per tutti possa contribuire a democratizzare il Cio?
"Il Cio ha interiorizzato l’idea dell’educazione sportiva per tutti soltanto da circa vent’anni. Sono messaggi molto recenti, sotto la pressione popolare delle organizzazioni sociali che difendono i diritti e le libertà. E così, col tempo, il Cio ha incominciato a mostrare interesse anche per i diritti umani e per l’ambiente, anche se nei fatti i Giochi producono tonnellate di carbonio".
"Potremmo ritenere che si tratti solo di facciata e che la realtà sia ben lontana da ciò. Prendiamo ad esempio il caso degli atleti olimpici, che non sono mezzi cittadini. Questo è l'argomento del mio articolo per il quotidiano Le Monde. Abbiamo ancora a che fare con un’istituzione che mette a tacere gli atleti. Gli atleti, cioè, non sono cittadini come gli altri. Non possono esprimersi come desiderano. Sono costretti. Ci sono luoghi e momenti in cui non è consentito esprimere la loro opinione",
"Lo sport per tutti è un movimento dal basso verso l’alto che nasce dai club, che viene schiacciato dall’autorità del Cio, che invece opera dall’alto verso il basso. Ed è difficile unirsi, coordinarsi. La forza del presidente Cio, una sorta di amministratore delegato, è che puó contare su un'istituzione molto coesa di 106 membri con 1.000 dipendenti alle spalle, per creare contratti commerciali e creare una strategia”.
“E all'opposto ci sono i club popolari che promuovono lo sport per tutti, ma che non sono coordinati, né su scala nazionale, molto spesso, né su scala internazionale, perché sono intrappolati dalle Federazioni internazionali. Manca un movimento omnisport europeo e globale che unisca i club. Oggi disponiamo di mezzi di trasporto e di diffusione delle informazioni che permetterebbero di coordinare l'azione dei club multisportivi che non rientrano strettamente in una Federazione. Perché quando sei solo una società di calcio, sei intrappolato nella tua federazione nazionale e nella federazione internazionale".
"Penso che l’unica soluzione per lo sport per tutti sia sviluppare club multisportivi e organizzarli in modo federato a livello nazionale, europeo e globale, per fungere da mezzo di pressione. Perché per gli atleti è più difficile. Potrebbero avere un ruolo sociale, ma sono relegati nella logica della professionalizzazione e della pressione degli sponsor. E quando si uniscono, quando si organizzano, lo fanno sotto forma di sindacati professionali. Lo vediamo, ad esempio, nel tennis e nel golf. Questa tendenza si sta sviluppando in tutti i settori dello sport professionistico. Gli atleti hanno difficoltà a parlare in pubblico. Quindi, dal mio punto di vista, la dinamica può venire solo dal movimento multisport”. (2-continua) (intervista realizzata da Ivano Maiorella, ha collaborato Francesca Spanò)
Fonte: UISP NAZIONALE