Fuori i disabili dalle finali nazionali dei GSS-Giochi Sportivi Studenteschi: così ha deciso il ministero dell'Istruzione. "Non mi meraviglia affatto" dice Alessandro Ariemma, responsabile politiche educative Uisp. "Per mia esperienza personale ho verificato che negli appuntamenti locali, per quanto fossero in concomitanza, solo poche volte le attività dei GSS erano veramente "insieme" disabili e normodotati, perché le classifiche erano separate, le premiazioni differenziate, la retorica dell'uguaglianza molto conclamata e poco presente nei fatti. In taluni casi si è anche assistito all'effettuazione di gare diverse in termini di contenuto: percorsi ginnici mentre gli "altri" facevano lo sprint, per esempio. Gare che, per quanto contigue, sottolineavano sempre la differenza. Ora lo sport è per sua natura orientato alla selezione per cui chi meno ha, meno riesce. Se i responsabili dei programmi ministeriali non affrontano in profondità il tema della reale integrazione dei corpi in movimento non si esce dall'equivoco. Servirebbero metodologie ludiche e di socializzazione che puntino su una serie di attività, come teatro-musica-giochi. Senza questa modalità di intervento si resterà sempre nella retorica e nel paternalismo di situazioni che non riescono a cogliere il "valore" reale delle persone con le loro oggettive differenze. E soprattutto a rispondere ai bisogni che non so se siano mai stati verificati fino in fondo. Spesso diamo risposte e facciamo affermazioni "proiettive" che sono basate più su auspici che su dati scientifici".
"Abbiamo noi una proposta alternativa?" si chiede Ariemma. "Probabilmente sì, in ambito culturale, metodologico, di contenuti. Dovrebbe concretizzarsi un protocollo stretto di collaborazione tra Uisp e Ministero che sappia sperimentare tutto ciò a largo raggio. Un esempio di attività dalla quale partire potrebbe essere il baskin, pur in presenza di una certa farraginosità regolamentare".
"Di sicuro pensiamo che scuola pubblica e scuola privata rispondano a logiche diverse. Da una parte c'è un diritto universale al quale soltanto la scuola pubblica può rispondere. Dall'altro un modello privatistico legato al censo e al ceto di chi può permettersi qualcosa di diverso, di esclusivo. Qalcosa che si avvicina ad una scuola di classe che sarebbe tutto il contrario di ciò che, ad esempio, praticava don Milani. A forza di tagli alla scuola pubblica rimarrà poco del diritto allo studio garantito dalla legge 104/92. E i cittadini verranno costretti a scegliersi soluzioni private, come dimostra il modello lombardo".