Ha il sorriso grande come una casa Rigivan Ganeshamoorthy, medaglia d’oro paralimpica nel lancio del disco: romano classe 1999, con genitori originari dello Sri Lanka, su una sedia a rotelle, con la cannula nasale per l’ossigenoterapia, sindrome di Guillain-Barré.
Ma tu stai lì, l’ascolti e lo guardi come se stessi a Zelig e invece lui parla dalle Paralimpiadi di Parigi, ancora in corso. Elisabetta Caporale, Rai Sport, ha avuto il merito di realizzare la più incisiva (ed esilarante) intervista di tutti i Giochi ed ha saputo tirare fuori il “Riggi” vero, quello sta dentro ogni essere umano, dentro una corazza di spine che a lui sembra non fare effetto, che anzi gli fa il solletico. “Che devo dì”? Le sue parole sono di profonda leggerezza: «Se questo mondo inizia a piacermi? Ma sì dai. Un po’ troppi disabili forse eh». Alla sua sedia di lillà non ci fai più caso: parla di Dragona, del Decimo municipio, dei genitori. E di Alice, la sua ragazza. E del vicino di casa che gli ha portato la bandiera italiana: “Quella è la cosa più bella penso, l’amicizia, le persone che ti vengono a trovare. Questo vale più di una medaglia d’oro. E questa medaglia è per tutta la nazione e per tutte le persone disabili che stanno a casa».
“Non glielo diciamo che siamo di Roma tutti e due” e scoppia in una risata anche Elisabetta Caporale che ha intervistato Rigivan così come ha fatto con decine di altri campioni a Parigi, a partire dalla fine di luglio: stesso stile giornalistico che usi quando sai di avere di fronte un campione. Senza alcuna volenterosa complicità, puntando dritta all’essenzialità dell’informazione e del messaggio da dare.
Il racconto sportivo cambia, lo abbiamo già scritto su Uispress la scorsa settimana e questi Giochi di Parigi lo stanno confermando. Ma l’imprevedibilità caleidoscopica con la quale queste Parolimpiadi ci stanno fornendo emozioni e spunti di lettura sociale, è sorprendente. Questo dovrebbe spingere i detrattori a non declassare quello sportivo a racconto di genere, anzi di sottogenere. Allo stesso tempo potrebbe illuminare la strada di chi decide le sorti dello sport mondiale, a cominciare dal Cio e dalle Federazioni internazionali più potenti, spingendole di più a credere nella forza dello sport e a scommetere su tutto lo sport, non soltanto sul supervertice.
Chi di noi non è rimasto stupito di fronte alle tribune gremite di pubblico degli stadi e degli impianti che ospitano queste Paralimpiadi? E ancor di più: chi non è rimasto stupito della narrazione che offrono le gare in tv? Un chiaroscuro che ti incolla allo schermo, che ti fa seguire le gare e i suoi protagonisti, anche negli sport meno noti, che ti spinge a chiederti che cosa hanno dietro, qual è il loro vissuto, quale il loro pensiero. E ti permette, a volte con ironia altre con messaggi più tosti, di leggere questo spettacolo sportivo come un romanzo sociale, valido come intrattenimento ma anche come specchio educativo, giocato sull’esile canovaccio della commedia dell’arte, dove tutto può succedere. Ci scorrono davanti Valentina Petrillo, Ambra Sabatini, Bebe Vio Grandis (che ha scelto di gareggiare anche con il cognome della mamma), Assunta Legnante, leggenda del lancio del disco, che a quasi cinquant'anni ha vinto l'argento. E tanti e tante altre, ma avremo modo di riparlarne.
Lo sport è uno spettacolo che ci educa a guardare in alto e in profondità, non esiste uno sport più spettacolare di un altro. Dipende dall’occhio col quale lo guardi. Quello a cui stiamo assistendo ci sta guidando verso nuove forme di comunicazione attraverso lo sport, contaminazioni tra generi, dal teatro alla letteratura, dal balletto alla poesia, e dimostra che lo sport sociale e per tutti è un grande palcoscenico dove chiunque può salire ed esprimersi. Sta a tutti noi cogliere le sfumature di queste espressioni, goderne, raccontarle e valorizzarle. Questo è l’insegnamento che sta emergendo con forza dai giorni di Parigi 2024. (a cura di Ivano Maiorella)