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Alessandro Cataldo: "Ti abbiamo assunto perchè sei disabile"

Il presidente Libera Associazione Imprenditori Disabili al contest del progetto Uisp Tran-Sport: "Per ribaltare le etichette ci vuole metodo"

 

In Italia il lavoro delle persone con disabilità resta un terreno fragile: lavora solo il 33% delle persone con disabilità, e tra le donne la quota scende al 27%. Sul fronte dell’imprenditorialità non si arriva nemmeno al 5%. Tra burocrazia, pregiudizi e scarsi accessi ai finanziamenti, a perdere non sono solo le persone direttamente coinvolte ma anche i territori che rinunciano a competenze e talenti.

Su questo scenario è intervenuto Alessandro Cataldo, presidente di LADI – Libera Associazione Imprenditori Disabili, ospite del Pitching Day del Contest Tran-Sport, a Roma. Il suo messaggio è netto: l’imprenditorialità delle persone con disabilità non è un’eccezione né un atto eroico. È una possibilità concreta, oggi ancora troppo poco riconosciuta.

Cataldo ha aperto il suo intervento ricordando una frase ricevuta al suo primo impiego: "Ti abbiamo assunto perché sei disabile". Da lì è nata una domanda che ha orientato tutto il suo percorso professionale: che cosa significa essere una persona con disabilità quando si vuole creare valore? "Mi sono sentito un pagliaccio - spiega - perché io sono entrato in quell’azienda perché sono un professionista, non per un’etichetta".

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Dalla cucina, prima passione e primo mestiere, alla formazione in food marketing, fino al lavoro di accompagnamento alle startup, il presidente di LADI racconta una traiettoria professionale centrata sulle relazioni, sulle competenze e sulla crescita delle persone. A febbraio, assieme a un piccolo gruppo, ha fondato LADIla prima associazione italiana dedicata a imprenditori e professionisti con disabilità, nata per fare advocacy, promuovere formazione e sostenere la creazione d’impresa. "LADI è un cuore pulsante - ha spiegato - ogni persona che c’è dentro aiuta un’altra persona che ha bisogno".

Nel suo intervento ha richiamato alcuni dati che lo hanno convinto della necessità di un’organizzazione dedicata: "In Italia ci sono quasi 13 milioni di persone disabili. Di questi, 3 milioni non possono lavorare. Quindi ci sono 10 milioni di persone con disabilità che possono lavorare, me compreso, spiega. E in effetti, osserva, "le persone con disabilità cercano più lavoro rispetto a una persona normale", un segnale che per lui significa una sola cosa: "vuol dire che ci vogliamo mettere in gioco".

Da qui la proposta di un modello di innovazione che parte dall’esperienza quotidiana delle persone con disabilità e si riassume in tre parole: adattare, perché: “quando ci si chiude una porta troviamo un’altra via”; connettere, perché: “da soli non andiamo lontano”; restituire, perché: “l’impatto che creiamo deve tornare alla comunità”. Non è retorica eroica, ma la descrizione di pratiche reali che, se riconosciute, possono cambiare la cultura del lavoro in Italia.

Ai team finalisti del contest Cataldo ha rivolto un invito chiaro: "Il fatto che voi create impatto non vuol dire che lo dovete fare a caso. Ci vuole metodo. Senza metodo fallite". E ha suggerito un cambio di prospettiva utile a chiunque si occupi di innovazione sociale: progettare a partire da chi ha maggiori difficoltà, per creare soluzioni che funzionano per tutte e per tutti. "Se non c’è un bisogno, nessuno paga. Nessuno viene da voi perché non ha senso”. Una volta identificato il bisogno, poi, diventa essenziale mettersi in comunità, fare squadra.

Molti dei dieci progetti finalisti del contest lavorano proprio in questa direzione, sviluppando soluzioni legate all’accessibilità, ai nuovi linguaggi, alla sostenibilità e al sostegno delle comunità vulnerabili. Tra questi PlayLIS, secondo classificato, un’app che traduce comandi vocali in LIS per abbattere barriere comunicative nello sport: un esempio concreto di come innovazione tecnologica e inclusione possano avanzare insieme, costruito da una giovane professionista sorda e rivolto a bambine, bambini, ragazze e ragazzi.

Il Pitching Day del Contest Tran-Sport, promosso da Uisp con Simurg Ricerche e sostenuto dal ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, è stato il momento pubblico di un percorso iniziato con una call che ha raccolto oltre novanta proposte da tutta Italia. Dieci sono entrate nella fase di incubazione e ora continuano un lavoro che intreccia sport, innovazione sociale e sviluppo professionale.

L’intervento di Cataldo ricorda un punto essenziale: l’inclusione richiede competenze, visione e una trasformazione culturale capace di superare stereotipi e assistenzialismo. Una trasformazione che parte dalle persone, dall’ascolto dei territori e dal riconoscimento del valore professionale di chi ogni giorno prova a costruire futuro. Il presidente di LADI ha chiuso riprendendo la frase da cui era partito: "Vi ricordate quando mi dissero ‘Ti abbiamo assunto perché sei disabile’? Lì per lì ha fatto male. Oggi dico grazie, perché non è più una condanna ma l’inizio di una vera e propria rivoluzione"(A cura di Lorenzo Boffa)