Ripercorre quasi un secolo di gol e di campioni, il libro "La diplomazia del pallone. Storia politica dei mondiali di calcio 1930-2022" che colloca uno degli eventi più seguiti al mondo dentro la storia politica e diplomatica internazionale. Edito da Le Monnier, il lavoro di Riccardo Brizzi e Nicola Sbetti, docenti dell’Università di Bologna, è lo sviluppo di un loro libro uscito per Russia 2018, che già allora si interrogava sull'opportunità o meno di una sede in un Paese dai tratti illiberali e che ancora prima dell'Ucraina già impegnava le sue truppe in conflitti di guerra. Ora il Qatar, con la sua immagine di monarchia dispotica, l'assenza di diritti, le accuse di sfruttamento verso i lavoratori stranieri. E pesa quell'inchiesta del Guardian che individua in 6.500 morti il prezzo pagato nei cantieri del paese arabo durante i lavori per il Mondiale. Ma, sostengono gli autori, dalle origini ospitare i Mondiali e magari vincerli è sempre stato uno strumento della politica. L'Italia di Pozzo negli anni '30, l'Argentina di Kempes nel paese dei desaparecidos, la storia dei Mondiali è ricca di torsioni retoriche e strumentali per le dittature d'ogni tempo.
“Non c’è stata un’edizione in cui questo rapporto tra sport e politica non sia emerso - ha spiegato Nicola Sbetti, intervistato all’interno della trasmissione radiofonica Nientedimeno - pensiamo solo alla struttura del Mondiale di calcio, e dello sport internazionale più in generale, che riflette l'idea di un mondo divisa in Stati nazione in competizione fra loro, già questo aspetto rende l'evento un fatto politico. E’ comunque evidente che ci sono alcune edizioni che, anche solo per il semplice fatto di essersi disputate in Paesi non democratici, appaiono più politiche di altre, però paradossalmente è quasi più interessante andare a vedere come le democrazie usino politicamente lo sport”.
Un uso politico dell’evento sportivo è sicuramente quello fatto da Putin in occasione dei Mondiali di calcio del 2018: “Quello è il terzo Mondiale organizzato da un paese autoritario, dopo l'Italia nel ‘34 e l’Argentina nel ‘78, però il mondiale del 2018 è molto interessante perché rappresenta un caso in cui un Paese autoritario si appropria dei supposti valori dello sport, l'idea che lo sport sia un promotore di pace, per un'operazione politica. I Mondiali del 2018 avvengono in una situazione in cui la Russia è sotto pressione e Putin vuole rassicurare l'opinione pubblica e le cancellerie occidentali e quindi, con una strategia che a posteriori possiamo definire vincente, organizza un mondiale rassicurante. Non fa la figura del dittatore che tutti si aspettavano in Occidente, anzi che speravano per poterlo dipingere come tale, invece presenta una Russia ospitale, accogliente e riesce a rassicurare l'occidente e l'opinione pubblica. E questa non è una novità nella storia perché è quello che ha fatto Hitler nel ‘36 con le cancellerie francesi e inglesi, approfittando di quella retorica pacifista prima di occupare la Renania: perché chi mai immagina che il Paese che organizza il più grande festival sportivo della pace poi abbia in mente una strategia aggressiva. Le analogie fra la Germania nel 36 e la Russia del 2018 si vedono, anche se ovviamente sono due situazioni completamente diverse”.
La realpolitik (il Qatar dopo la guerra in Ucraina di fatto supplisce alle mancate forniture di gas russo) ha smorzato in parte le critiche e la Fifa ha difeso strenuamente la scelta. “Gli argomenti in discussione sono molti, partiamo dalla corruzione: il Qatar non è il primo Paese che corrompe per ottenere i Mondiali, questo non ha portato alla cancellazione dell’evento, però il fatto che la notizia sia emersa vuol dire che non è stato fatto un ottimo lavoro sul piano della corruzione, infatti la gran parte dei protagonisti delle assegnazioni dei Mondiali 2018 e 2022 non ci sono più, quella dirigenza Fifa è stata azzerata dalle indagini della FBI e occidentali. Infatti, i due Paesi che avrebbero dovuto ospitare i due eventi, Stati Uniti e Inghilterra, hanno contribuito a fare emergere questa corruzione. Questo del Qatar è un Mondiale particolare per molte ragioni in cui però secondo me il Qatar dimostra anche le sue debolezze, nel senso che la Russia è riuscita a reggere la pressione esterna, il Qatar in questo momento sta facendo molta fatica, per le sue dimensioni, perché il suo softpower evidentemente non è sufficientemente sviluppato. Lo sport è uno dei tre pilastri della politica dell’emirato, ovviamente il primo è quello cui tutto si poggia a livello economico e politico il gas, senza il quale il Qatar non esiste, poi ha investito su altri due aspetti: la politica mediatica con Al Jazeera, che ha creato veramente un polo importante sul piano della comunicazione e un'alternativa al monopolio occidentale; poi ha investito molto sullo sport, però la visibilità che dà l'organizzazione di un Mondiale ha attirato l'attenzione di tutto il mondo e quindi alcune debolezze strutturali anche gravi sono emerse, a partire dal fatto che è un paese in cui pochi cittadini hanno una serie di privilegi infiniti su una popolazione che non ha diritti di cittadinanza. Quindi sulla questione del lavoro il Qatar è stato esposto a critiche globali per un decennio e le critiche sono aumentate in maniera esponenziale, al punto che hanno portato ad alcune trasformazioni, è stato introdotto un salario minimo che prima non esisteva, ci vorranno anni per passare dalla teoria alla pratica, ma si sono fatte delle riforme imposte dalla pressione esterna. Riforme che non sono state ben digerite dagli elementi più conservatori di Doha e adesso appunto il Qatar sta cercando di salvare la faccia, sicuramente avrà dei benefici però quello che sta succedendo è la dimostrazione che organizzare un grande evento sportivo non è di per sé garanzia di successo e che ogni edizione di un Mondiale è anche un campo di battaglia politico dove diversi attori, gli Stati, la Fifa, le Federazioni nazionali ma anche la società civile e i giornalisti, hanno tutti un ruolo”.