Marco Simoncelli è morto calpestato e indifeso, durante il Gp della Malesia. Un sorriso da bambino, scrivono oggi i giornali, un ragazzo come tanti, come si è a ventiquattro anni. Sapeva quali rischi correva, è vero. Il motociclismo non è uno sport tenero, è vero. Ma possibile che resti soltanto la rassegnazione? “Il suo percorso è identico a quello di tanti altri ragazzi che incominciano nelle minimoto e poi proseguono nei circuiti juniores e nelle gare amatoriali, che anche noi dell’Uisp organizziamo in tutta Italia – dice Bruno Bianchina, commissario Lega motociclismo Uisp – per questo ci sentiamo particolarmente vicini a questo ragazzo e ai suoi familiari in questo momento di dolore e lutto”.
“Il motociclismo competitivo è oggi sottoposto a molte pressioni che spingono al limite le leggi della fisica: aumenta la potenza delle moto, diminuisce quella dell’uomo – prosegue Bianchina – questo avviene per tutti gli sport motoristici, nell’automobilismo, ad esempio, la scocca protegge da determinati urti. Nel motociclismo è peggio, il corpo è molto esposto e il mezzo non protegge affatto. Per questo più si è piccoli, più si è riparati. Non era il caso di Simoncelli, di corporatura robusta”.
“Gli imponderabili fattori si scatenano quando ogni elemento è esasperato oltre ogni limite: motori, gomme, esposizione mediatica del circo su due ruote. E’ auspicabile una limitazione alla potenza dei cavalli motore, soprattutto quando questo aumento non è compensato dalla tenuta e dall’equilibrio del telaio e delle gomme, anch’essi stressati al massimo. Quando la pressione agonistica e l’esasperazione tecnica diventano fini a se stessi, c’è un prevalere del mezzo sull’uomo e le conseguenze possono essere drammatiche. Chi ci rimette è l’uomo”.
“Per questo potenza del motore, gomme e telaio non possono essere messi sullo stesso livello della vita di una persona: l’elemento umano deve sempre prevalere e non si dovrebbe mai finire per attribuire il dramma diella perdita di una vita alla casualità”.