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Lo sport come strumento per combattere le discriminazioni

Il potenziale dello sport nelle politiche di inclusione è enorme, lo conferma la ricerca di Openpolis e Con i bambini

 

La funzione dello sport nella crescita di bambine e bambini, ragazzi e ragazze non coinvolge unicamente il loro sviluppo psicofisico. Un aspetto fondamentale, perché riguarda il diritto alla salute tutelato dalla convenzione sui diritti dell’infanzia, e che tuttavia non esaurisce il ruolo dell’attività sportiva. Lo conferma il nuovo approfondimento dell’Osservatorio Conibambini, realizzato da Con i Bambini e Openpolis nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile.
Lo sport ha, infatti, un impatto anche nella crescita sociale ed educativa dei più giovani. Offre un ambiente in cui apprendere, in un contesto di gioco, valori quali il rispetto delle regole e degli avversari, la lealtà verso i compagni e la squadra, la dedizione personale. Inoltre, rappresenta un momento di aggregazione e di socialità in cui sviluppare la propria personalità e instaurare relazioni con i coetanei e gli adulti. Aspetti che rendono la pratica sportiva centrale anche nelle politiche di contrasto alle discriminazioni, come quelle di natura etnica e razziale, ancora oggi purtroppo molto presenti. Un potenziale enorme, attualmente compromesso dalla minore partecipazione di bambini e ragazzi di origine straniera alle attività sportive.

Le ragazze e i ragazzi stranieri subiscono atti di discriminazione e di bullismo più spesso dei coetanei italiani. Del resto il bullismo, come abbiamo avuto modo di raccontare, genera esclusione sociale, perché a farne le spese sono coloro che sono già meno inclusi, per una diversità sociale, fisica, etnica o culturale. Nelle rilevazioni di Istat sull’integrazione delle seconde generazioni è emerso come siano proprio i ragazzi delle nazionalità che hanno meno contatti con i coetanei italiani a finire più spesso vittima di atti di discriminazione.

Per contrastare questi fenomeni è necessario intervenire sull’educazione al rispetto tra persone e culture e sull’abbattimento di pregiudizi e stereotipi. Partendo innanzitutto dalla conoscenza e dal confronto reciproco. Le occasioni di aggregazione offerte dalla pratica sportiva possono aiutare a realizzarli, giorno per giorno. La condivisione e il gioco di squadra che si realizzano nello sport rappresentano un veicolo insostituibile per creare questi momenti di socialità e trasmettere tali valori. Perciò è un problema se i minori stranieri hanno minore accesso alla pratica sportiva, come oggi sembra accadere. 
Tra ragazze e ragazzi delle medie, solo il 53% degli studenti stranieri pratica attività sportive al di fuori dall’orario scolastico. Quasi altrettanti (47%) non ne svolgono alcuna, in base ai dati raccolti nell’ambito dell’indagine sull’integrazione delle seconde generazioni. Per avere un termine di paragone, tra i coetanei italiani oltre 3 su 4 fanno sport (75,7%), e meno del 25% non ne pratica nessuno.

Il divario è meno ampio, ma comunque consistente nelle scuole superiori. E spesso le disparità nell’accesso allo sport riguardano proprio i giovani meno inclusi, stando ai dati sul bullismo e sulla frequentazione con i compagni visti in precedenza. Disparità di accesso che possono dipendere da numerosi fattori, dalle discriminazioni di genere alla condizione economica della famiglia. Tanto tra i ragazzi italiani quanto tra gli stranieri la pratica sportiva aumenta al migliorare dello status socio-economico percepito. Senza contare aspetti come l’integrazione della comunità straniera nel contesto territoriale di riferimento, o ancora la stessa diffusione di luoghi per fare sport sul territorio. 
In media, quasi uno studente straniero delle scuole secondarie su 3 dichiara di non frequentare mai campi o centri sportivi, come luogo di ritrovo al di fuori della scuola. Tra i ragazzi italiani la quota scende a 1 su 4: il 25,6% non frequenta mai strutture sportive nel proprio tempo libero. 
Un mancato utilizzo che pone una questione di disparità di accesso a questo tipo di strutture. In termini economici, considerato il legame tra la condizione della famiglia e l’abitudine alla pratica sportiva. Ma anche per la stessa disponibilità di luoghi dove fare sport sul territorio. L’offerta di aree sportive all’aperto ad esempio non è omogenea sull’intero territorio nazionale. Così come nelle zone del paese dove vivono più bambini e ragazzi con cittadinanza non italiana. Sono 5 i capoluoghi dove oltre il 25% dei minori è straniero: Prato, dove i residenti under-18 senza la cittadinanza italiana sono oltre un terzo del totale (34,3%), Piacenza (29,1%), Brescia (27,8%), Imperia (25,5%) e Milano (25,2%).

L’Osservatorio #Conibambini, realizzato da Con i Bambini e Openpolis nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, fornisce dati e contenuti sul fenomeno in Italia nella modalità di data journalism, in formato aperto e sistematizzati, per stimolare un’informazione basata sui dati. L’obiettivo è promuovere un dibattito informato sulla condizione dei minori in Italia, a partire dalle opportunità educative, culturali e sociali offerte, ed aiutare il decisore attraverso l’elaborazione di analisi e approfondimenti originali. (Fonte: Con i Bambini)

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