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Matti per il calcio e il "metodo Uisp": una storia che inizia nel 1993

Intervista allo psichiatra Giancarlo Vinci e all'infermiere Luigi Pucci: ricostruzione di un percorso fatto di tempo, continuità, territorio

 

L’Uisp ha un debito nei confronti di Franco Basaglia, il padre della psichiatria italiana del quale tra due anni si celebrerà il centenario della nascita. Basaglia ci ha insegnato che ‘visto da vicino nessuno è normale’. E se nessuno è normale, significa che “diversamente normali” lo siamo tutti. Basta avvicinarsi, dunque. Proprio come avviene in campo: Matti per il calcio è nato così, iniziando ad accorciare le distanze e vedere che effetto fa.


Tra radici e futuro, abbiamo parlato di Matti per il calcio e del ruolo dell’Uisp, con lo psichiatra Giancarlo Vinci e con l’infermiere Luigi Pucci. Siamo a Corviale, serpentone di cemento nella periferia nord-ovest di Roma, lo scenario è quello del Torneo del dialogo, il calcio che unisce” sul campo dei Miracoli, l’organizzazione è di alcune associazioni del territorio con il patrocinio dell’Uisp Roma.

Intervista Video a Giancarlo Vinci e Luigi Pucci


Mentre i giovani pazienti psichiatrici del centro diurno Mazzacurati scendono in campo insieme ai ragazzi del Nord Africa e a quelli di Calciosociale, cogliamo al volo l’opportunità per ascoltare come è nato Matti per il calcio, un movimento al quale, a partire dai primissimi anni ’90, l’Uisp ha fatto da incubatore partendo dal territorio e da una serie di esperienze di terapia psichiatrica che in pochi mesi si sono contaminate a vicenda, a Roma, Torino, Milano, Genova, Orvieto, in Emilia Romagna e all’estero.

L’idea di Matti per il calcio trae origine addirittura negli anni 1985-86, quando il professor Luigi Trecca arrivò al manicomio (si chiamava proprio così) di Santa Maria della Pietà, a Roma, nel suo ultimo anno di esistenza prima della chiusura, durata circa venti anni, per la legge Basaglia. Poi venne spostato all’Ospedale Sant’Eugenio e al Laurentino 38.

Lì venne creato un piccolo gruppo di ragazzi che con la scusa di giocare al calcio, venivano spinti ad uscire fuori di casa. Da lì prese il via la Dinamo 38, una delle prime squadre. “Da questo gruppo è nato quello definitivo al Corviale, dove sperimentammo anche altri sport – ricorda Trecca – Visti i risultati del Centro Diurno Mazzacurati nel 2002 realizzammo e istituimmo proprio una unità operativa riabilitativa ad indirizzo sportivo”. Questa “intuizione” di Luigi Trecca viene raccontata nel libro “La riabilitazione del pallone” di Massimo Franchi e Andrea Sabbadini (Riccardo Viola Editore, 2012).

Nel libro si parla del ruolo dell’Uisp e della storia di una serie di squadre nate nelle varie Asl della Capitale, animate da vari psichiatri mossi dall’idea di calcio come terapia: Murales, Stella del Mattino, Athletic Erasmo, il Ponentino, LiberaReal-mente, Uno-per-tutti. A partire dal 1993, l’impulso dello psichiatra Gianfranco Marcelletti e dell’infermiere Mauro Ciafardini, entrambi in forze al Santa Maria della Pietà, spingeva a costruire squadre di pazienti capaci a partecipare a tornei “normali”. Questa impostazione gemmò le esperienze de Il Tucano, con Adolfo Nardini che ne era il trascinatore e il Gabbiano, promossa dal professor Mauro Raffaelli nel IV Municipio di Roma. A questa squadra venne dedicato il documentario “Matti per il calcio” di Volfango De Biasi e Francesco Trento, che raccontava un anno di vita della squadra che nel 2004 partecipò al Campionato di calcio Uisp Roma.

Nel 1993 a Roma c’è la partenza vera e proprio di un torneo di calcio per pazienti psichiatrici organizzato dall’Uisp. Luigi Pucci ricorda che un grande sostegno organizzativo venne fornito dall’Uisp Roma grazie all’impegno di Orlando Giovannetti, allora dirigente ed arbitro del calcio Uisp, oggi presidente Uisp Lazio: “Le prime gare furono sperimentali – ricorda Giovannetti – giusto il tempo di abbozzare un regolamento tecnico. Ma la voce di questo tipo di attività calcistica per persone con disagio mentale si espandeva presso le Asl e Comunità terapeutiche, anche fuori dal Lazio e iniziammo nel 1993 il primo Campionato di calcio a 8, al quale si iscrisse anche una squadra di Orvieto. Negli anni successivi le squadre aumentarono sino ad arrivare a diciotto e successivamente costituimmo una sorta di comitato scientifico formato da medici e operatori del settore, dove ci sforzavamo di mettere in comune le idee migliori, ognuno rispetto alle sue competenze”.

“Negli anni successivi questa esperienza si espande ad altre città – racconta in questa intervista video Luigi Pucci, infermiere, uno dei protagonisti della prima ora – i tornei a livello territoriale si diffondono velocemente e l’Uisp offre una sponda eccezionale per questa diffusione e ramificazione in varie città. Poi dal 2007 l’Uisp sperimenta una Rassegna nazionale a Rimini, liminare ai Campionati nazionali di calcio Uisp. Dal 2009 la Rassegna nazionale Matti per il calcio si sposta a Montalto di Castro, in provincia di Viterbo”.

Il professor Giancarlo Vinci raccoglie il testimone di Trecca e dal 2010 si trova a guidare l’esperienza della squadra Libera di Corviale, insieme a Luigi Pucci. “Non giochiamo per vincere, la nostra vittoria è coinvolgere tutti i ragazzi – racconta nella videointervista Giancarlo Vinci – questo è il metodo Uisp che negli anni abbiamo affinato. Nel 2011 lo presentammo in un Convegno organizzato dall’Uisp a Prato che serviva a confrontare le varie esperienze di Matti per il calcio. Nell’ascoltare le esperienze degli altri notai che c’era una grande fantasia: tornei di strada e partite di calcio dove capitava".

"Chiesi: perché il calcio funziona? Il calcio funziona perché funziona, mi si rispose, è una tautologia, si vede che i pazienti che stanno meglio. Ma quali sono i meccanismi che permettono al calcio di funzionare? Questa è la domanda centrale che ancora oggi rimane centrale. Ci interessava studiare due cose: quali emozioni provava chi giocava, quindi una sorta di percezione e di consapevolezza di sé. E cercare di capire che tipo di interazione c’è tra l’individuo e il gruppo, come gli altri rispondono ai miei comportamenti, che cosa io mi aspetto dagli altri componenti la mia squadra".

"Unendo questi due parametri abbiamo cercato di inventare un termometro, capace di misurare l’efficacia del calcio. Il modello lo chiamammo ‘metodo Uisp’ perché sin dal primo momento capivamo che funzionava e con opportuni studi cercammo di capire perché. Anche grazie all’inserimento di uno statistico che ci aiutava ad elaborare i nostri dati. L’Uisp Roma credette in questa nostra ricerca e ci mise a disposizione dei fondi. Realizzammo i primi articoli di approfondimento scientifico che vennero pubblicati da riviste specializzate. Da quegli spunti furono organizzati convegni scientifici all’estero”.

“Il passaggio successivo sarebbe quello di reinserire le persone con disagio mentale nel mondo del lavoro, per avviarle al massimo livello di autonomia conclude Vinci - Per far questo c’è bisogno di tempo. Non sono sufficienti gli interventi di una giornata, anche con grandi eventi. Il modello Uisp nasce sull’esigenza di queste persone, che hanno bisogno di tempo e di continuità nell’intervento territoriale. Nell’Uisp abbiamo trovato queste caratteristiche. Ogni anno partecipiamo alle attività con varie squadre e ogni stagione ci sono persone diverse, per far questo c’è bisogno di tempo e di metodo. E per fortuna. Perché significa che qualcuno ce l’ha fatta, sta meglio, ha trovato un lavoro e non frequenta più i Dipartimenti di salute mentale”.

Un percorso che nel libro di Franchi e Sabbadini viene riportato in appendice, frutto del lavoro congiunto di vari psichiatri, medici e ricercatori: Vinci, Susani, Bongiovanni, Buonocore, Bravin, Picciocchi, Pucci, Amato, Bianconi, Martino, Masala. Dal loro “Sport e patologie mentali- studio pilota sull’efficacia della pratica dello sport di squadra sul funzionamento sociale e sulla qualità della vita di persone affette dalla patologia mentale” abbiamo estratto alcuni passaggi che illustrano il ‘metodo Uisp’: “La pratica dello sport di squadra è molto diffusa nei Servizi che si occupano di salute mentale e viene perlopiù svolta in collaborazione con gli Enti di Promozione. Tra questi sicuramente l’Uisp (Unione Italiana Sport Per Tutti) svolge un ruolo di primo piano, in quanto da molti anni organizza una intensa attività rivolta a persone affette da patologie mentali, coinvolgendo migliaia di persone in tutta Italia.
Da queste considerazioni nasce la necessità di elaborare un progetto pilota che possa valutare potenzialità e limiti di interventi riabilitativi di tipo sportivo per pazienti con disagio psichico e mettere a punto un modello strutturato che abbia i requisiti della facilità di applicazione, validità ed efficacia su un’ampia fascia di pazienti.

“Abbiamo definito una specifica modalità di intervento chiamato MODELLO UISP che in fase di ricerca applicheremo solo alla pratica del calcio, ma che può essere utilizzato per tutti gli sport di squadra. È così articolato:
● Pratica del calcio per 90 minuti settimanali per almeno 9 mesi, considerando sia gli allenamenti che eventuali partecipazioni ad eventi agonistici.
● Allenamenti guidati da istruttori qualificati.
● Presenza permanente di un operatore psichiatrico.
● Gruppo di elaborazione delle esperienze maturate in campo di almeno 30 minuti a settimana condotto da un operatore psichiatrico”.

“Sulla base di queste premesse teoriche abbiamo messo a punto il nostro Metodo Uisp, una modalità di intervento di tipo Bottom-Up che, nella sua semplicità di applicazione, cerca di integrare le esperienze preriflessive mediate da attività corporea che i pazienti vivono nel corso della pratica sportiva con un lavoro a livello di rappresentazioni mentali, finalizzato all'acquisizione di maggiore consa- pevolezza dei propri schemi maladattivi e allo strutturarsi di uno stabile senso di autoefficacia ed autostima, necessari a padroneggiare i propri stati interni e gli eventi di vita".

"Il Metodo Uisp si è rivelato statisticamente efficace nel gruppo sperimentale sulle dimensioni psicopatologiche che sono significativamente migliorate, in particolare la sintomatologia negativa si è ridotta; questo risultato difficilmente viene raggiunto con la terapia farmacologica o con altre modalità di intervento. È migliorata la consapevolezza di sé, lo stato generale di salute fisica e psichica, le relazioni sociali e, globalmente, il funzionamento sociale. I limiti del nostro lavoro, costituiti dalla numerosità del campione, ci impediscono di generalizzare i risultati". (di Ivano Maiorella)

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