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"Sparategli!" Il libro del giornalista Jacopo Storni

Gli schiavi del nostro secolo? Non hanno catene di ferro alle caviglie. Hanno cucita addosso una maglia. Quella dell’indifferenza di una società. Hanno il volto coperto dalla maschera dell’invisibilità, l’afonia di un tentato grido di aiuto. Sono storie di vite nascoste, scoperte tra i campi di pomodori del Gargano, fra gli aranceti della 'ndrangheta, tra le baraccopoli nascoste nel cuore grandi città italiane così come nei sotterranei dei palazzi di Roma. Gli schiavi si fanno storie e le storie diventano le identità schiave. Di una sordità, forse. O peggio, di una illegalità tacitamente condivisa. Perché conviene. A qualcuno. Jacopo Storni, giornalista del Corriere Fiorentino e del Redattore Sociale, le ha scovate. Viaggiando per l’Italia, da nord a sud. E si è fatto cantastorie. Ha dato loro una voce attraverso la sua penna, un volto con il racconto nelle pagine del suo libro pubblicato da Editori Internazionali Riuniti. “Sparategli!” Un titolo allarmante, devastante. Crudele ma provocatorio.
«Mi sembra che uno degli obiettivi di questo libro - scrive lo storico inviato del Corriere Ettore Mo nella prefazione - sia proprio quello di indicare, attraverso la miriade di episodi che illustrano i disagi, le sofferenze, e persino le crudeltà cui sono sottoposti gli immigrati, le responsabilità del paese che li ospita». Pronti? Inizia il viaggio, un vero reportage giornalistico. Si parte dagli occhi di Mihaela, ragazza madre rumena, contadina di giorno, di notte vittima di abusi del caporale o del padrone di turno. Per un tozzo di pane, semplicemente. Accade a Vittoria, nelle campagne di Ragusa. Ma nella città eterna, invece, tra il brulicare di turisti e le serate modaiole della Rome bene, l’autore scopre una buca. Non di asfalto, s’intende. Non di quelle per la quale pensi ai tuoi poveri ammortizzatori. Scopre una buca in cui scivola la dignità umana. Quella dove vivono gli afghani. Una baraccopoli sotterranea in un palazzo in costruzione nei pressi della stazio ne Ostiense. Mura di cemento, terra e fango. Sono in 150. Benvenuti in Italia. Non è il terzo mondo. Dicono.
(L.B.)