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Sport e disagio mentale: "Matti per il calcio" Uisp anche in Libano

SportingMind è promosso in Libano da Uisp e Cooperazione sociale. Venerdi 21 si gioca a calcio nell'Ospedale Psichiatrico Al Fanar

“Gioca in nome della solidarietà e delle pari opportunità in Libano”: questo è lo slogan dello speciale quadrangolare di calcio che venerdi 21 giugno,  nel Rafic Hariri Stadium di Sidone, sessanta chilometri a sud di Beirut, vedrà in campo i pazienti dell’ospedale psichiatrico Al Fanar e i rappresentanti dell’associazione Kanafani, che si occupa di bambini e disagio mentale.

I pazienti dell’ospedale hanno disegnato il logo che apparirà sulle magliette (nella foto). Insieme a loro ci sarà una squadra composta da volontari e operatori Uisp-Unione Italiana Sport Per tutti, l’associazione italiana che da vent’anni ha lanciato “Matti per il calcio” e della Cooperazione italiana in Libano. Le altre squadre, Sidone 1 e Sidone 2, saranno composte da ragazzi dei campi profughi palestinesi che si trovano nelle vicinanze, gli stessi che in maggio furono tra i protagonisti delle Palestiniadi.

Sarà questo l’evento conclusivo della prima fase del progetto “SportingMinds”, lanciato dall’Uisp in Libano nelle scorse settimane con la formazione degli operatori locali.

Il progettoha visto la formazione di operatori libanesi che lavorano con il disagio mentale e prevede sei moduli complessivi, da realizzare con il sostegno dell’UTL di Beirut, l’Unità territoriale locale del ministero degli Affari Esteri. L’Ospedale Al Fanar, situato nella località di Zahrani, nel sud del Libano, ha in cura circa 2.000 pazienti, di cui 250 risiedono stabilmente nell’ospedale (78 donne e 172 uomini).Il progetto è finanziato dall’Ufficio per la cooperazione del ministero degli Esteri.
“L’ospedale psichiatrico di Al Fanar è un luogo chiuso – spiegano gli operatori Uisp -  ha pochi contatti con l’esterno, i pazienti vivono lo stigma sociale. In Italia ancora esistono situazioni simili ma nella maggior parte dei casi le persone con disagio mentale possono avere una famiglia, lavorare. Qui invece il paziente è isolato, si vive una condizione di esclusione sociale molto forte. Questa è stata la prima tappa del percorso formativo, volevamo far scoprire ai pazienti l’attività sportiva e i suoi effetti benefici. In seguito gli operatori dovranno attivare nuovi percorsi riabilitativi, sulla base della formazione ricevuta, suddivisa in moduli teorici e pratici”.

 

 

 

 

 

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