Comitato Regionale

Emilia-Romagna

Imparare dai muscoli

Una conversazione con esperti di educazione motoria sull'unità mente-corpo e cui meccanismi di apprendimento e relazione con il mondo. Massimo Davi e Monica Risaliti commentano una lezione magistrale del 1980 del fisiologo Sergio Cerquiglini

di Vittorio Martone

 

LO SPORT: una manifestazione tutta umana di ispirazione puramente culturale. Un'attività che "vuol dire anzitutto divertimento, ossia deliberato cambiamento di attività intrapreso allo scopo di combattere gli effetti psichici negativi derivanti dalla monotonia di stato funzionale, ossia quella che chiamiamo 'noia'". Sono parole di Sergio Cerquiglini, professore di fisiologia umana all'università La Sapienza di Roma, tratte da una sua lezione magistrale del 1980 ripubblicata integralmente nel numero 4 (gennaio-aprile 2013) della rivista "Strength & Conditioning". Un testo datato, ma ricco di stimoli, soprattutto per la capacità con cui supera, anticipando gli sviluppi futuri della fisiologia, la tradizionale distinzione tra sistema nervoso e apparato muscolo-scheletrico (quella che volgarmente definiremmo con lo schema duale mente-corpo), per guardare all'individuo nella sua interezza. Delle particolarità di questo testo abbiamo discusso con Massimo Davi, responsabile nazionale della formazione Uisp, e Monica Risaliti, membro dello staff della formazione Uisp Emilia-Romagna, docente in scienze motorie ed esperta di teoria e metodologia dell'allenamento applicate alle discipline di squadra.

All'inizio della sua lezione Cerquiglini parla della distinzione tra sistema nervoso e sistema muscolo-scheletrico come di un artificio didattico. Quali sono le conseguenze di questo artificio sull'educazione allo sport?
MR: "Tutto nasce in campo esclusivamente medico, non certo nelle attività motorie. Il problema di questa distinzione, comoda appunto per fini didattici, è che per molto tempo ha inibito un discorso più generale sul sistema neuro-muscolare. Oggi questo sembrerà scontato, ma per chi come noi si occupa di educazione all'attività motoria, trovare un fisiologo del movimento che ha sentito nel 1980 il bisogno di affermare questa unità è un successo".
MD: "Umberto Galimberti, parlando del corpo umano come di un gioco delle matriosche, sottolinea come esso sia stato fatto a pezzi sul piano culturale. D'altronde anatomia, etimologicamente, vuol dire proprio questo. Inoltre, è molto più facile dividere la complessità del corpo e la dinamica del movimento anziché sviluppare l'insegnamento in maniera trasversale. Per questo risulta molto importante che questa ridefinizione sia stata fatta nel 1980, anno in cui le neuroscienze non si sono ancora affermate e gli studi sui neuroni specchio erano agli albori all'università di Parma".

Negli anni Ottanta, qual era l'orientamento degli studi sul corpo e il movimento?
MR: "Molta roba bolliva in pentola all'epoca: l'esperienza francese dell'interezza del corpo, la rivendicazione della libertà del movimento, l'allontanamento della cultura sportiva dal principio di ricerca del record. Questa lezione magistrale di Cerquiglini era rivoluzionaria all'epoca per lo stesso motivo per cui è attuale oggi, poiché nel finale viene giustificato scientificamente il principio secondo cui solo l'uomo si muove per piacere. Un'intuizione apparentemente banale, ma che non è ancora stata fatta propria da moltissimi professionisti che si occupano di sport".
MD: "Infatti negli anni Ottanta parte una grande rivoluzione culturale, ma non per tutti. Un esempio: da una parte la diffusione del metodo Feldenkrais, dall'altra le resistenze del mito del risultato. La medicina non si sentiva minimante toccata da quella discussione, giunta sino ad oggi, tesa a rivalutare l'unità del corpo. Fuori dall'Italia molti studi andavano in questa direzione, come in Francia con la psicologia relazionale, o in California con la scuola di Palo Alto. Parallelamente alle scienze motorie si stavano sviluppando saperi che successivamente ci avrebbero aiutato molto di più rispetto alle conoscenze sviluppate all'interno delle scienze motorie, studi basati sul concetto di interconnessione, per il quale non basta più ricercare in un ambito specifico ma mettere insieme le ricerche".
MR: "O perlomeno metterne in relazione i risultati".

In fatto di relazione, come giudicate l'affermazione di Cerquiglini in base alla quale la contrazione muscolare, ovvero una funzione nervoso-motoria, viene descritta come principale strumento di relazione con il mondo?
MR: "Esatta. Qualsiasi cosa noi facciamo deriva da una contrazione muscolare che parte da un impulso nervoso. Tutta la parte afferente è fondamentale, perché qualsiasi tipo di movimento insegna al nostro cervello a muoversi ancora meglio".
MD: "Il movimento si potrebbe descrivere come una continua scorribanda, dal particolare al globale e ritorno. L'affermazione la ritroviamo nella relazione delle tecniche del corpo dell'antropologo Marcel Mauss, che arriva a definire il corpo come mezzo per stare nel mondo e strumento per muoversi. Oliver Sachs l'aveva scritto: è il cervello che costruisce il mondo, e il mondo che costruisce il cervello".

Saper fare diventa quindi uno strumento della nostra coscienza per dare manifestazioni di sé, da cui cresce l'apprendimento? Nella ripetizione del gesto sportivo, tesa a raggiungere la piena efficienza, non c'è rischio che si perda parte della libertà della coscienza?
MR: "Nello sport non si perde mai la manifestazione del sé, anche nella ripetizione. Se infatti perdi la concezione di te stesso non trovi il limite arrivato al quale il gesto diventa perfettamente efficace".
MD: "Nello sport postmoderno in particolare, non si può sviluppare la forma di movimento più spettacolare se non si mantiene un'elevatissima concezione del sé. È per questo che io ho sempre sostenuto la necessità di lavorare sui meccanismi relazionali dello sport, che fanno crescere ulteriormente questa consapevolezza del sé, anziché sull'immediata specializzazione".
MR: "Chiarisco inoltre che la differenza tra attività motoria intesa come pratica per star bene e quella di alta prestazione sta solo nel tempo che ad essa di dedica. Perché la consapevolezza è e deve essere la stessa. Specialmente nella 'costruzione' dell'atleta: perché se io allenatore riesco a rendere il bambino consapevole della sua 'macchinina', allora lo porto su un percorso di crescita".

In questo modo, sembrerebbe non esserci contraddizione tra sport di base e sport d'alta prestazione.
MD: "Infatti non c'è contraddizione: sono due visioni, una filosofico-culturale e l'altra materiale. Ma in entrambe al centro c'è il medesimo soggetto, il corpo nella sua unità neuromuscolare, letto in due modi diversi. Da questa interconnessione possono venire fuori elementi molto utili per la nostra materia, se riusciremo a occuparcene".
MR: "Siamo aiutati a capire questo se per sport facciamo riferimento alla sua prima manifestazione al tempo dei greci: quando lo spirito era incentrato sulla bellezza e sull'eticità".
MD: "Il tema della comunicazione è centrale. Mi risulta che la maratona sia nata proprio come sistema di comunicazione. Tutta l'enfasi su questa gara ha una radice relazionale. E il corpo è il suo strumento".
MR: "E aggiungo per chiarezza che, se le persone saranno capaci di comprendere che la differenza tra sport e attività motoria non esiste in quanto tale, riusciremo a superare una gestione conflittuale che non ha fatto crescere il movimento sportivo. Perché da tutte e due le visioni potevano arrivare metodologie didattiche che potevano arricchire e non dividere. Però gli interessi economici hanno portato ad altro. Fisiologia sportiva e didattica motoria non sono cose separate".

Credete che la Uisp, oggi, sia un soggetto in grado di recepire proficuamente questa indicazione?
MR: "Sicuramente sì. Da un punto di vista culturale e delle competenze di certo. Da un punto di vista organizzativo ne possiamo parlare".
MD: Nelle relazioni dalla Uisp verso l'esterno sicuramente sì. Lo stesso lavoro che stiamo facendo a livello nazionale ne è una conferma. L'associazione al suo interno si presenta con diverse anime e chi legge le cose in questi termini è ancora un'avanguardia. Spesso si è ancora viziati da una logica federale. Ma il lavoro va in questa direzione. Dietro al sistema neuro-motorio c'è tutta una lettura della persona che ha tratto grandi insegnamenti dal contesto culturale cui facevamo riferimento prima".

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