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Emilia-Romagna

"Ma noi perché corriamo?"

Comicità e incubo. Una corsa come metafora della vita ha stregato più di 400 persone nella rappresentazione bolognese di "Maratona di New York". La prova - atletica oltre che teatrale - dei due attori Giammarini e Lupano è andata in scena al Duse il 23 gennaio

Cristian Giammarini e Giorgio Lupano in scena durante "Maratona di New York"di Carla Naddeo

 

ATTENZIONE: decisamente spoiler

BOLOGNA - Pantofole, barbetta incolta, tuta e maglietta. Non è la descrizione di universitari fuori sede e sotto esame. Uno sbalordito pubblico di oltre 400 persone e il teatro Duse di Bologna - in via Cartoleria, numero 42 - il 23 gennaio hanno condiviso una messa in scena davvero insolita. Un'ora di spettacolo, un'ora di corsa. Per il pubblico, coinvolgimento psicofisico e tensione si sciolgono solo al calare del sipario. Finzione scenica e finzione narrativa si risolvono solo alla fine. Due attori protagonisti, Cristian Giammarini e Giorgio Lupano, che recitano e, contemporaneamente, corrono nello spettacolo "Maratona di New York". Firmato dal drammaturgo e regista Edoardo Erba, il testo è stato scritto nel 1992. Tradotto in 17 lingue, rappresentato in molti Paesi del mondo, ha collezionato ovunque successi. L'autore ha affidato allo sforzo fisico degli attori l'evoluzione della vicenda. Le regole convenzionali del teatro sono violate: non ci sono pause. Si corre. E anche il pubblico corre, in senso figurato. Cerca di afferrare il senso della vicenda che sfugge, sin dall'inizio.

Giammarini e Lupano si sono diplomati nel 1993 alla scuola del teatro Stabile di Torino diretta da Luca Ronconi. Interpretano "Maratona di New York" dal 2009. I mesi di preparazione atletica sono stati quattro. "Siamo solo noi due e il palcoscenico è spoglio - riconosce Giammarini - ma è la fisicità della rappresentazione che colpisce gli spettatori". Il correre condiziona la recitazione degli attori, nella misura in cui ne condiziona il fisico: il cuore batte più forte e il sudore appesantisce i vestiti. "Genera nell'attore un'esposizione maggiore - precisa Giammarini - che lo accompagna verso il finale della storia". La corsa immobile, perché avviene sul posto, è un climax, è il presupposto perché alla fine si possa toccare quel livello di coinvolgimento. "È faticosissimo - conferma il collega Lupano - ma è più facile recitare perché sei fisiologicamente portato ad arrivare a quella temperatura emotiva lì".

"Maratona di New York" è la storia di due amici che sognano di correre la competizione podistica più famosa del mondo. Si allenano due volte a settimana, di notte, in campagna. Lupano e Giammarini interpretano Mario e Steve. Il proprio modo di correre rappresenta il modo di affrontare la vita. Steve è sicuro, determinato e professionale. Mario è ciondolante, ipocondriaco e fa fatica a tenere il passo dell'amico. Steve è propositivo e fiero, mentre Mario è sempre indietro, legato agli affetti, ai ricordi. Gli allenamenti sono scanditi da dialoghi apparentemente quotidiani e tipicamente maschili. "Steve, hai tu le chiavi della macchina?", chiede Mario. Poi è la volta della presunta incapacità delle donne di comprendere lo sport: "Non capiscono il perché di quello che facciamo noi adesso, non buttano sangue - si sfoga Steve -. Io mi ispiro al leggendario ateniese: corse per 42 km fino ad Atene per annunciare la vittoria della battaglia di Maratona. Avrebbe potuto fermarsi. Non l'ha fatto, piuttosto la morte". E a strappare al pubblico una lunga risata è Mario perplesso: "Ma noi perché corriamo?".
    
La normalità della conversazione contrasta con lo sfondo che sembra appartenere a un'altra storia. È onirico, privo di riferimenti, compaiono flash di immagini sfuocate: dei volti, delle chiavi, un luna park. Il pubblico avverte che qualcosa non torna. All'improvviso, una caduta: Mario si accascia a terra per far riposare Steve. Dopo questo momento di tenerezza, i ruoli si invertono, così come le corse: Steve sembra quasi rimpicciolirsi, tanto da scomparire; Mario corre come il vento, acquista velocità, chiama Steve: "Non lasciarmi solo! Ce le hai tu le chiavi, vero? Ma noi perché corriamo? Le hai prese tu le chiavi della macchina? Io mi ricordo Steve, ho scalato: la quarta, la terza, la seconda e poi ho curvato, vero Steve?". La platea viene investita da una luce abbagliante. È tutto chiaro. Un applauso scrosciante e commosso permette di scaricare la tensione. E anche al pubblico, che per un'ora ha cercato di rincorrere la trama e gli indizi dello spettacolo, è permesso di riposarsi.

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