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Emilia-Romagna

Una non violenta autodeterminazione dei popoli. Intervista al Ministro dello sport del governo saharawi

Mohammed Moulud discute della funzione sociale dello sport e dei cambiamenti politici in corso nell'Africa del nord.

Una partita di pallavolo con la Uisp nei campi saharawidi Vittorio Martone


BOLOGNA - Un tour italiano per incontrare associazioni e istituzioni impegnate, a livello internazionale, per la difesa della causa dei saharawi, il popolo nomade che da 35 anni vive nei campi profughi ospitati su territorio algerino in attesa, pacifica, di vedere riconosciuto dal Marocco e dalla comunità internazionale il proprio diritto all'autodeterminazione. È quanto sta affrontando in questi giorni Mohammed Moulud, ministro dello sport del governo in esilio della Rasd (Repubblica Araba Saharawi Democratica), che abbiamo intervistato a Bologna nel corso di un incontro con la Uisp Emilia-Romagna, la ong Peace Games Uisp e le associazioni El-Ouali di Bologna e Kabara Lagdaf di Modena, attive da anni nei campi profughi con interventi sportivi, sanitari e culturali e nell'organizzazione della Sahara Marathon, la corsa nel deserto che punta a internazionalizzare la causa saharawi.

Ministro, quali obiettivi intendete raggiungere nel corso di questo viaggio in Italia?
"Gli obiettivi sono molteplici. Oltre agli incontri con le istituzioni e le associazioni vicine alla nostra causa, il 23 gennaio abbiamo preso parte a un seminario in cui si è discusso del progetto riguardante le 'Vacanze in pace', che prevede viaggi e scambi culturali tra giovani europei e saharawi. Il 24 si è svolto invece un seminario al Senato in cui si è affrontata una riflessione sulla recente occupazione da parte dei sahrawi di un'area del Sahara Occidentale che, ancora una volta, ha visto l'intervento della polizia marocchina che con la forza ha imposto lo sgombero. Abbiamo poi invitato i giovani e i rappresentanti delle associazioni a venire nei nostri accampamenti e nelle zone occupate per comprendere da vicino la nostra realtà e partecipare alle celebrazioni del 35° anniversario della dichiarazione del Fronte Polisario (il principale movimento di resistenza saharawi, ndr). Siamo da ieri (25 gennaio, ndr) in Emilia-Romagna per incontrare le persone che da tempo lavorano con noi attraverso lo sport e per programmare le future iniziative da svolgere nel corso dell'estate. Obiettivo finale è quello di strutturare dei percorsi di formazione paralleli per formare operatori sportivi che lavorino nei nostri campi. Il nostro scopo è incentivare l'attività motoria nei campi sia per la salute che per la socialità dei nostri giovani".

Come è organizzato il Ministero dello sport e il sistema sportivo saharawi?
"Abbiamo tre aree principali: una riguarda la gioventù, con progetti legati all'impiego e alla formazione; una che si occupa prettamente di sport, gestendo tutte le iniziative negli accampamenti, organizzando tornei e coordinando le associazioni sportive; infine le attività connesse al programma 'Vacanze in pace', che permette a 8000 bambini e ragazzi di passare dei periodi in Europa. Si tratta di un progetto organizzato direttamente dal Ministero con il supporto logistico delle delegazioni del Fronte Polisario nei diversi paesi europei".

Quali sono i principali campi di interesse del Ministero?
"Sicuramente al primo posto c'è la tutela della salute dei giovani. Il tema della gioventù rappresenta una grande preoccupazione per noi: è un argomento che riguarda tutta l'aria nordafricana ma che tocca in particolare la nostra realtà all'interno degli accampamenti. Riteniamo che lo sport rappresenti un'ottima risposta all'inquietudine dei giovani e pensiamo soprattutto che sia utile mandare all'estero i ragazzi per partecipare a eventi sportivi, che sviluppano la conoscenza del mondo esterno e al contempo contribuiscono alla conoscenza della storia del popolo saharawi. Dobbiamo investire poi molto nella formazione, un campo in cui non abbiamo molta esperienza anche nella nostra amministrazione. C'è bisogno inoltre di uno sforzo notevole affinché anche nella scuola lo sport abbia un ruolo maggiore rispetto a quello attuale. Sullo sport popolare c'è poi un lungo cammino da fare. Il popolo saharawi pratica in maniera naturale, semplicemente per la connessione con la sua storia nomade e beduina, l'attività di camminare a lungo. Ma dobbiamo allargarci ad altre discipline e soprattutto il concetto di associazionismo ci potrebbe aiutare nell'integrazione dell'intervento istituzionale con lo sviluppo autonomo dell'attività motoria".

Il popolo saharawi ha sempre visto la lotta per il riconoscimento dei propri diritti in chiave pacifica e non violenta. Ritiene che il protrarsi dell'esilio possa determinare, soprattutto fra i giovani, il rischio di un cambiamento di questo approccio?
"Noi pensiamo fermamente che la violenza non favorisca nessuno. È vero, la via pacifica ci ha condotto alla situazione attuale che ancora non ha prodotto un cambiamento. I nostri giovani hanno ragione nel dire che il Marocco non ha alcuna volontà di risolvere il conflitto in via politica. Ma è nostro compito continuare a educare le nuove generazioni affinché non cambino il nostro approccio. La comunità internazionale invece deve farsi carico di esercitare pressioni politiche sul Marocco. Cosa possiamo fare per evitare che la zona sia destinata alla guerra? Questa è una risposta che devono dare tutti i politici. È certo che il popolo saharawi ha mantenuto una strenua volontà di resistenza pacifica che però, ripeto, ha dimostrato che senza pressioni il Marocco non cambierà atteggiamento e non porterà alla proclamazione del referendum per l'autonomia".

Come viene vista in ambito Saharawi l'attuale situazione nel Maghreb e in Egitto? In particolare, quante speranze ci sono di vedere cambiamenti sociali anche in Marocco e quanto vi preoccupano invece i sommovimenti algerini?
"Nei paesi arabi e nel Maghreb si stanno vivendo rivoluzioni democratiche e cambiamenti sociali che non si erano mai conosciuti prima. In particolare è il protagonismo popolare che rappresenta una novità. Dal nostro punto di vista, speriamo che un simile processo possa ripetersi anche in Marocco: è il momento che questo accada anche lì. In Marocco è già presente la stessa situazione di resistenza del popolo, anche se ancora sommersa. Ovviamente, il popolo nord-africano si sta esponendo a grandi rischi e per questo crediamo fondamentale, nell'interesse di tutti, la possibilità di divulgare le informazioni. Pensiamo davvero che l'attuale equilibrio politico internazionale possa favorire questi cambiamenti, perché in Europa non c'è più la volontà di proteggere le dittature locali. Ma nel caso specifico del Marocco, ritengo che la soluzione e il cambiamento radicale possa essere fatto solo dal popolo marocchino. Per quanto riguarda l'Algeria la situazione è differente: c'è una democrazia consolidata dall'88, c'è un'economia affidabile che si è creata una posizione favorevole. Sicuramente adesso ci sono difficoltà sociali, legate in particolare alla crescita demografica importante e alla notevole pressione dei giovani. Ma queste sono preoccupazioni che si possono risolvere con una seria politica di sviluppo. Preciso che noi riteniamo fondamentale per l'indipendenza del popolo saharawi la politica di appoggio algerina".

Che ruolo ritengono di poter svolgere i saharawi in questo contesto che sta mutando?
"Credo davvero che l'occupazione del campo nel Sahara Occidentale da parte dei saharawi, che è stata poi repressa dalla polizia marocchina, abbia rappresentato un esempio per il resto della popolazione nord-africana facendo immaginare a tutti la possibilità del cambiamento".

Come ritenete che possa essere vissuta quest'anno l'undicesima Sahara Marathon?
"Stiamo pensando di convocare nel corso dei giorni della maratona un incontro collettivo tra tutti i soggetti che collaborano con noi per pensare a uno sviluppo coordinato dei progetti di cooperazione. Sicuramente la maratona è una cosa importante per la visibilità che offre alla casa saharawi. Essa ricorda infatti a tutto il mondo che deve essere un impegno comune e collettivo quello di rispettare la volontà di autodeterminazione del popolo saharawi. È una chiamata alla comunità internazionale per mettere fine all'esilio del popolo saharawi che dura da 35 anni e che oggi deve terminare".

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