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Emilia-Romagna

Cittadinanza, storie di diritti negati

Dal monito del Presidente della Repubblica Napolitano alle speranze per l'adozione dello ius soli in Italia. Il ruolo della Uisp e dello sport per l'integrazione

Una partita di calcio ai Mondiali Antirazzisti - Foto di Antonio Amendola - Shoot 4 Changedi Federica Imbrogli


REGGIO EMILIA - Dallo "ius sanguinis" (diritto di sangue) allo "ius soli" (diritto di suolo). Dopo l'accorato monito del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che è intervenuto sul tema il 22 novembre usando parole inequivocabili, la discussione sul riconoscimento della cittadinanza italiana ai bambini immigrati nati in Italia si è rianimata in Parlamento. Se le varie proposte di modifica legislativa dovessero finalmente portare risultati si permetterebbe ad ogni bambino nato nel nostro paese di conseguire il diritto alla cittadinanza italiana. Una prospettiva che ha la dimensione di un sogno che si avvera per i figli di immigrati nati in Italia, che oggi sono circa 900 mila ma che tra 15 anni, secondo le stime Istat, potrebbero rappresentare il 17% della popolazione italiana.

La consapevolezza del problema negli ultimi mesi è sfociata anche nella campagna "L'Italia sono anch'io", partita da Reggio Emilia. Sul territorio reggiano il tema è molto sentito anche nel mondo sportivo, che ha assistito ad episodi di discriminazione nei confronti di giovani atleti, a cui oltre alla cittadinanza è stata negata la soddisfazione di un titolo sportivo o di un posto in nazionale. È questo il caso di Ejeh, ghanese di 16 anni che milita in una polisportiva reggiana; di J. nigeriana di 17 anni che corre nelle specialità dei 60, 100 e 200 metri; di Sirin e Selma, compagne nella squadra di pallamano femminile di Rubiera. Ragazze e ragazzi di origine diversa ma nati e cresciuti nel nostro paese anche se figli di genitori stranieri e per questo, con le attuali norme, senza la cittadinanza italiana.

A Reggio Emilia la Uisp funge da "antenna" anti-discriminazione. In via Tamburini infatti ha sede lo sportello anti-discriminazione della Uisp dove professionisti ed esperti sono a disposizione per offrire appoggio e consulenza a chi si sente vittima di discriminazione razziale nell'ambito sportivo. Il presidente del comitato Mauro Rozzi ha lanciato, a questo proposito, un vero e proprio appello: "Invitiamo i figli di immigrati e le loro famiglie a segnalarci i problemi che riscontrano nel praticare sport, le discriminazioni e le vicissitudini burocratiche che incontrano quotidianamente e che impediscono loro di vivere lo sport secondo un principio di uguaglianza sociale".

Ma se per il mondo sportivo federale la cittadinanza rappresenta un problema, per la Uisp il problema non esiste. Ce lo ha spiegato Carlo Balestri responsabile del settore Internazionale della Uisp al quale abbiamo chiesto un chiarimento sull'annosa questione. "La cittadinanza non è questione discriminante per i campionati promossi dalla nostra associazione, perché non viene richiesta. La discriminazione sportiva, che si trasforma immediatamente in discriminazione sociale, nasce dalla legislazione sulla cittadinanza, sull'immigrazione e dalle 'quote' di sportivi e lavoratori non comunitari ammessi in Italia". Al momento del tesseramento di un atleta il Coni e le Federazioni sportive richiedono la verifica dello stato di cittadinanza per accertarsi che l'atleta rientri o meno all'interno delle "quote" di sportivi non comunitari. Un accertamento nato in ambito professionistico che è stato esteso anche ai dilettanti innescando trafile burocratiche senza fine. "Questa discriminazione non riguarda solo i minorenni figli di immigrati, ma anche rifugiati e richiedenti asilo politico e molti adulti stranieri".

La Uisp, che ha fatto dello sportpertutti la propria bandiera si muove nel campo dei diritti da molti anni attraverso campagne di sensibilizzazione, progetti nazionali e manifestazioni come ad esempio i "Mondiali Antirazzisti", "Due calci al razzismo", "Diritti in campo" e "Contro il razzismo facciamo squadra", eventi nati per sostenere uno sport di cittadinanza il cui fine è creare legami e processi di socializzazione. A parere di Ivan Lisanti, responsabile regionale delle politiche su diritti, integrazione e multiculturalità: "La soluzione del problema passa attraverso la semplificazione del diritto del cittadinanza e il passaggio allo ius soli. Nell'attesa di questo traguardo di civiltà però è necessario cambiare gli statuti federali. Mutuando un passo evangelico sull'uomo ed il sabato bisogna affermare che è la regola ad essere fatta per l'uomo non l'uomo per la regola. Sono le regole dunque che andrebbero adattate al periodo storico. Indispensabile è il voto politico esteso ai cittadini stranieri residenti in Italia e un ripensamento del ruolo del Coni, che doveva essere chiuso nel dopoguerra, inadeguato dalle origini a governare lo sport di cittadinanza. Con il ritorno del Ministero dello Sport vedremo quali saranno gli sviluppi della partita, che è ancora tutta da giocare".

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