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Senza mente, non c'è corpo: psicologia e sport come antidoto al male

Gestire le proprie emozioni per orientare le sorti delle competizioni sportive. Ne parla Alberto Cei, psicologo dello sport, nel suo ultimo libro

 

Quanto influisce, la mente, sull'attività sportiva? Tanto; forse quanto la prestazione stessa. "Fondamenti di psicologia dello sport", l'ultimo libro di Alberto Cei, psicologo dello sport e docente universitario, offre un compendio della disciplina, che possa servire da guida e approfondimento sull'argomento. Nel testo, edito da "Il Mulino" e in commercio dal 29 luglio 2021, l’autore illustra le conoscenze che la psicologia dello sport ha acquisito nel tempo, fornendo un panorama esaustivo in grado di soddisfare docenti, studenti e quanti vogliano avvicinarsi a questa disciplina. Laureato in psicologia presso l'Università di Roma "La Sapienza", Albero Cei svolge la sua attività lavorativa, in Italia e all’estero, come consulente per l’alta prestazione. Ha lavorato per importanti multinazionali e partecipato alle ultime 5 Olimpiadi estive, portando gli atleti da lui seguiti a vincere ben 10 medaglie olimpiche. La sua formazione in psicologia dello sport inizia con la partecipazione al "Corso di formazione in psicologia dello sport", organizzato dal CONI, al termine del quale, il 31 maggio 1982, consegue il diploma di Esperto in Psicologia dello Sport. I suoi studi si concentrano sull' etica come fattore da porre alla base delle prestazioni eccellenti in qualunque campo siano prodotte. 

"Quando si parla di psicologia dello sport, bisogna distinguere la pratica sportiva dall'attività agonistica. La prima è orientata alla promozione del proprio benessere e ad uno stile di vita adeguato. Oggi è dominante uno stile di vita sedentario, con conseguenze sull'aspetto psicologico. La sedentarietà tende a peggiorare l’umore delle persone, arrivando a determinare forme di psicopatologia o dipendenza da altri sistemi, come la televisione o il cellulare. In questo senso, l’utilità dello psicologo può essere quella di aiutare a comprendere il valore del modo di vivere attivo, che passa per le attività sportive", spiega Alberto Cei. Lo psicologo dello sport che segue l' attività agonistica, invece, si occupa di atleti che hanno fatto della passione il loro lavoro. "Il paradosso? Più sei bravo ed entri nella fascia di atleti d’elite, più ogni limite viene evidenziato in maniera esasperata. Un esperto può in questo caso aiutare a migliorare le prestazioni; a gestire momenti di difficoltà; ad avere un’idea di sè positiva; ad accettare gli errori", prosegue Alberto Cei. 

Proprio partendo da questi presupposti, la psicologia dello sport ha acquisito sempre più interesse negli ultimi anni, arrivando a ritagliarsi uno spazio autonomo all’interno della psicologia e delle scienze dello sport. Le aree di interesse principali sono otto: i processi cognitivi coinvolti nel controllo motorio e nella prestazione sportiva; le abilità psicologiche implicate nei diversi tipi di discipline; i processi motivazionali; il ruolo dell’allenatore e dell’organizzazione dell’allenamento; i programmi sportivi per l’infanzia; il benessere e la salute; le abilità interpersonali e le dinamiche di gruppo; i processi di autoregolazione, i livelli di attivazione e i sistemi per affrontare lo stress agonistico. Parallelaemente alla crescita dell'importanza assunta dalla disciplina, sono aumentata anche le figure professionali di riferimento, come i mental coach. Qual è la differenza tra quest'ultima e lo psicologo dello sport? “Lo psicologo ha una preparazione molto più ampia, dal punto di vista formativo. Il mental coach è un termine usato per identificare chi lavora nello sport e che si occupa di questi aspetti. Chiunque, però, può definirsi così senza esercitare una professione di cui non avrebbe diritto, attraverso corsi o lauree in altri campi", spiega Alberto Cei. 

Appare sempre più evidente che a decidere le sorti delle competizioni sportive non è soltanto la prestanza fisico-atletica di chi gareggia. Entrano in campo fattori psicologici e emozionali; inclinazioni caratteriali; stati d'animo; tensioni; disposizioni umorali. Compito della psicologia dello sport è studiare in che modo, un'adeguata preparazione mentale e una gestione controllata delle emozioni più naturali, possa migliorare le prestazioni, incrementando nello sportivo abilità quali attenzione, concentrazione, motivazione, gestione dello stress e dell'ansia. "La psicologia dello sport insegna a non aver paura di sbagliare, mette al centro l'importanza di imparare. E’ sempre importante sapere cosa si fa dopo un errore e questo fa la differenza nelle gare. Se un atleta sa di aver fatto tutto quanto poteva, si sente pronto e riesce a ridurre l’ansia preagonista. La condizione dell'atleta è quella di essere teso ma convinto, non teso e insicuro", spiega Alberto Cei. 

Ultimamente, un segnale in tal senso è arrivato da Tokyo. Lì, nel corso dei Giochi Olimpici, Simone Biles, 24 anni, ha ricordato a tutti che, prima ancora d'essere una sportiva, è un essere umano. Non ce l'ha fatta, a tenere a bada i mostri della sua mente. Non ce l'ha fatta, a pensare d'essere più forte di un malessere che ti paralizza. Non ce l'ha fatta, a controllare lo stress, la tensione, le aspettative, le ansia, i dolori. Ma ce l'ha fatta, invece, a ricordare quanto il benessere psicofisico sia fondamentale nella vita di ciascuno di noi ed anche degli atleti. Così Simone, punta di diamante della ginnastica artistica statunitense, ha ammesso i suoi "limiti", affrontando senza remore e con coraggio il tabù della salute mentale. A tal proposito, Alberto Cei osserva: "La Biles è una vincitrice seriale, l’elite delle elite. Il problema di persone come lei, è l’esposizione pubblica. La tua vita, ad un certo punto, dipende dai risultati. Per queste persone non c’è un’alternativa al vincere. È difficile gestire le aspettative che si creano da parte degli sponsor, dei media e di se stessi". Per il futuro, bisognerebbe lavorare sull'esposizione sociale, un tema ad oggi ancora poco affrontato. "Identificarsi nella prestazione vuol dire che, se si perde, non si vale più nulla. Questo meccanismo, a lungo andare, crea psicopatologie a causa dell’aspettativa che non viene rispettata. Bisognerà lavorare sulla gestione della propria immagine pubblica; ma questo è un problema esistenziale che va al di là dello sport", conclude Alberto Cei. (C.F.)