La vicenda di Oscar Pistorius - velocista biamputato, primo atleta disabile che gareggerà con i normodotati alle Olimpiadi di Londra grazie alle protesi in carbonio - pone questioni inedite per lo sport e chiama in causa la sua stessa ontologia, il rapporto con le regole, il ruolo dell'evoluzione tecnologica. E stimola il confronto tra punti di vista diversi, anche all'interno dell'Uisp. Ve ne proponiamo alcuni, la discussione è aperta.
La vicenda viene salutata con favore da Giuliano Bellezza, responsabile diritti sociali Uisp: "Oggi le norme del regolamento olimpico escludono qualsiasi tipo di alterazione delle prestazioni ed il Tas ha stabilito che quelle protesi alle gambe non costituiscono un vantaggio. A questo punto o si cambiano le regole per impedire a Pistorius di correre, oppure sarà un caos decidere caso per caso... Chi può stabilire quale protesi è valida e quale no? E chi ha subito un trapianto o ha un ginocchio ricostruito?
Ben venga allora la partecipazione di Pistorius alle Olimpiadi poiché apre una contraddizione nel movimento olimpico, un movimento che tende all'esclusione. Rimette in discussione la distinzione tra ciò che è normale e ciò che non è considerato tale. Costringerà l'olimpismo a doversi misurare con le diversità all'interno stesso dei Giochi, senza più relegarle ai margini.
Per non parlare dell'ipocrisia relativa all'utilizzo della scienza: non si parla mai di come la scienza venga utilizzata quotidianamente per scovare sostanze, ancora non classificate come dopanti ma che di fatto puntano a migliorare le prestazioni, e poi viene criticata quando consente ad un uomo senza gambe di poter correre?"
Andrea Imeroni, presidente Area perlagrandetà Uisp, da sempre attento al tema di uno sport inclusivo, sceglie un punto di partenza un pò diverso: "Il 'paradigma Pistorius' non esiste. E' una scheggia che non aggiunge chiarezza al mondo complesso dello sport disabile. Al di là di ciò, non mi interessa entrare negli aspetti tecnici, come ha fatto Carlo Vittori. La storia di Pistorius ha più a che vedere con un'ambizione personale che con un modello per gli altri sportivi disabili. Nessuno può criticare la sua scelta, ma la società, e quindi anche la nostra associazione, dovrebbe fare un altro ragionamento su come si possa vivere a proprio agio con le diversità anche osando. Un modo per vivere meglio il proprio stato ma non un modo per uscire da sé bensì per capire se stessi. La società avrebbe dovuto aiutarlo a capire che il suo vero obiettivo non dovrebbe essere gareggiare con un normodotato. E' un po' come l'anziano che vuole battere tutti i record, che vuole sorprendere: le Olimpiadi della terza età non se le guarda nessun anziano, non invogliano alla pratica sportiva perché nessun vecchio vuole confrontarsi con limiti che non è in grado di superare e men che meno condividerli nell'agone con un pari età. Chi lo fa ha forse qualche problema!"
Il rapporto tra sport e tecnologia, già sottolineato da Vittori ma anche da Livio Berruti, è al centro anche di un intervento dello psicologo dello sport Alberto Cei, da sempre vicino all'Uisp: "Personalmente sono convinto che siamo di fronte a una questione che nessuno prima d'ora si era dovuto porre. L'ingegneria umana si svilupperà di molto nei prossimi anni mentre la muscolatura umana resterà per i prossimi millenni sempre la stessa. Per cui finché Pistorius lotta per il minimo olimpico va bene (partecipa, siamo democratici e non razzisti) ma quando la scienza migliorerà le protesi che fare? Quando, come dice Vittori, un braccio bionico lancerà un giavellotto a 100m, che faremo? Ai posteri l'ardua sentenza".