Comitato Regionale

Emilia-Romagna

L'importanza di rimanere elastici

Coraggio, passione e cambiamento: gli ingredienti fondamentali per rendere il calcio uno sport sempre attuale. Un'intervista a Enzo Chiapponi, responsabile del Calcio Uisp Emilia-Romagna.

 

di Ginevra Langella


BOLOGNA - «Quando pensiamo di essere già arrivati è quando iniziamo a perdere. Noi dobbiamo sempre rinnovarci. E il problema del calcio è che si rinnova tardi o poco. Bisogna andare oltre, perché non è mai solo una questione di regole e di storia. Bisogna smettere di essere rigidi». Sono queste le parole conclusive dell'intervista realizzata con Enzo Chiapponi, responsabile del Calcio Uisp Emilia-Romagna, che racconta della fatica, della forza di volontà e della creatività necessarie per ripartire, ma con un cuore e una testa differenti. Mentre aggiusta gli orologi dei clienti in negozio durante la mattinata dedicata al suo lavoro, per telefono Enzo parla della parte umana del calcio: quella fatta di innovazione, ricerca e voglia di stare davvero in contatto con chi pratica questo sport. La passione è importante ma non basta, e questo Enzo lo ha capito molto bene. Servono ingegno e coraggio, ma soprattutto voglia di ascoltare e sfruttare bene i cambiamenti che si manifestano intorno a noi. Pensare a questo periodo come a un'opportunità per riflettere su come rendere questo sport più aperto, meno ancorato alle regole e più destrutturato, come direbbe lui. 

Un po' come per le altre attività, mi viene da chiederti inizialmente come sta andando la ripresa post COVID-19: come si stanno organizzando gli allenamenti e le partite?
«A livello regionale ci siamo già organizzati e messi in moto per fare due proposte differenti: una classica, che partirebbe come sempre a ottobre o novembre fino a fine maggio, e un'altra un po' più ridotta di 4 o 5 partite, in modo da evitare sovrapposizioni con le altre gare territoriali, da febbraio fino a fine maggio. Ma non avendo niente di sicuro non sappiamo bene come muoverci. In generale ho un po' paura che questa situazione incerta vada un po' per le lunghe, ma almeno sappiamo che ci siamo già preparati».

Cosa ti aspetti per il futuro, se le regole di distanziamento rimanessero queste?
«Secondo me c'è molta confusione. Non si capisce molto bene come possa ripartire un'attività come la nostra: come facciamo a controllare gli spogliatoi, a sanificare ogni singola cosa fino ai rubinetti? Non rientri nei tempi e ci vorrebbe il doppio del personale per fare queste cose. Diventerebbe troppo complicato, per questo siamo praticamente fermi».

Per evitare il blocco totale hai in mente qualcosa che possa anche mantenere coesa la comunità dei calciatori e delle calciatrici Uisp in questa situazione?
«Abbiamo creato il progetto "Un calcio al COVID-19", ideato durante il lockdown e sperimentato a Parma. Questa è un'attività che si potrebbe mettere in piedi e praticarla anche ora, dato che è andata molto bene e rispetta tutte le norme. In pratica abbiamo fatto due squadre, due maschili e due femminili. L'attività consiste in un circuito che dura un'ora, un'ora e un quarto circa, durante il quale vengono praticate quattro discipline tipiche del calcio, che si facevano anche anni e anni fa quando mi allenavo io. E che sono: il calcio tennis, i calci di rigore, i calci di rigore in movimento e il dai-e-vai. In questo tipo di attività non c'è assolutamente contatto, si mantengono le distanze e ognuno ha il suo pallone, poi abbiamo fatto arrivare i ragazzi e le ragazze a distanza di ogni dieci minuti già cambiati e preparati. Il punto è che bisogna crederci in queste cose, perché la difficoltà più grossa è farla arrivare: in attività come queste si incontrano ostacoli da chi per esempio è abituato a pensare che il calcio è nato per 11 persone e che da 5 non si può fare e quindi non si può cambiare. Noi invece questa idea l'abbiamo comunque proposta e condivisa, perché bisogna sempre provare nuove cose. Questa è un'attività che si può fare in alternativa alle altre, così si può prendere la confidenza di tornare su un campo da calcio. Le ragazze si trovate benissimo, tanto che il costude a un certo punto le ha dovute mandare via perché volevano rimanere a giocare. E i ragazzi lo stesso, si sono divertiti tutti. Inoltre alcune ragazze vogliono vedere se questa attività si può proporre nei loro paesini come attività estiva. Hanno tutti capito perfettamente, e anzi ci hanno dato tanti spunti su cosa cambiare, migliorare e cosa mantenerne. Inoltre abbiam pensato di togliere gli arbitri per fare una cosa destrutturata, anche se non si esclude la loro presenza. Ma ecco, non è una gara, non vince nessuno, si tengono solo i punti e volevamo fare qualcosa di diverso».

Cosa intendi quando affermi che bisogna crederci in queste cose e che il problema è far arrivare attività del genere?
«Ti faccio un esempio: anni fa si provò a proporre il calcio camminato, ma non è mai decollato, eppure in Inghilterra hanno tantissimi tesserati ed è famosissimo. Dico questo perché è vero che bisogna crederci in queste attività nuove e destrutturate. Spaventa secondo me questa cosa, la novità. Io nella mia idea di calcio non mi sono mai fermato al campionato classico, ho sempre proposto qualcosa di nuovo. Dovremmo fare secondo me un'analisi: non è che la gente non vuol giocare a calcio, intendiamoci i campetti sono pieni, dovremmo capire se le nostre regole vanno ancora bene. Bisogna andare anche oltre. Noi siamo fermi a quelle che sono le cose classiche, ma bisogna davvero fare analisi profonde, bisogna esser pronti alle alternative. Molto spesso noi dipendiamo dagli arbitri e l'arbitro fa più fatica a cambiare le regole, dato che se la federazione cambia una regola va bene, se lo fa la Uisp no. Ti prendo questo esempio: mi sono trovato a fare l'allenatore a Parma. Durante le partite in panchina ci portavamo 7 giocatori, anche se per regolamento potevamo cambiarne solo 5. Allora mi son detto: ma noi non siamo sportpertutti? Che senso ha portare questi ragazzi sapendo che due sicuramente rimarranno fermi? E allora da lì ho smesso e non ho più portato 7 giocatori ma 5. Dipendiamo troppo dalla televisione, e invece noi che siamo un po' più terra terra rispetto ai giocatori di alto livello dovremmo adattare le regole e le idee ai nostri soci, bisogna tenere presenti i nostri tesserati e ragionare con loro e per loro. Dovremmo fermarci e ripartire dalle basi e capire che forse bisogna proporre cose nuove. Il calcio fino a 6 mesi fa era un'isola felice, vero, ma il COVID-19, con il blocco delle attività, ha fatto emergere secondo me limiti che prima o poi sarebbero venuti a galla lo stesso. Ci vorrà sempre il torneo classico, ma bisogna essere pronti ad avere nuove idee ed essere elastici!».

Dal punto di vista di politiche inclusive, siete sempre molto attivi a livello di integrazione. Mi viene in mente il progetto Sport Hub, forse uno tra i più recenti: mi racconti cosa è questo progetto, da cosa nasce e qual è il suo scopo?
«Il progetto è nato da un'idea di Roberto Terra che ha ideato dei tornei per le comunità di migranti. È una bellissima idea. Io in più vorrei dei tornei misti, per un'integrazione a 360° gradi. Capisco le problematiche e le difficoltà, ma dobbiamo lavorarci sopra ancora di più. Però è una buona base di partenza, ma bisogna poi come sempre andare oltre».

Rimanendo in tema di tornei misti, da sempre mi pongo questa domanda: come mai, nonostante esistano squadre femminili e maschili, non è così diffuso il torneo misto? Esistono tornei di squadre miste?
«Il calcio misto è già stato sperimentato a Parma: anni fa ideammo questi tornei misti, dove le squadre da 5 erano formate da un minimo di tre giocatrici e uno o due giocatori in modo da bilanciare la squadra. Un'idea bella ma con non poche difficoltà, dato che i ragazzi a volte non capivano bene cosa stavano facendo: bisogna saper trovare il giusto equilibrio! Il primo anno è andato benissimo, poi è diventato troppo competitivo. Molti ragazzi cercavano di fare i fuori classe creando situazioni un po' così. Le ragazze spesso tenevano semplicemente testa, però bisogna ponderare la propria forza dato che si è in una squadra mista! Veniva meno lo spirito di squadra, ma è una cosa che vorrei riproporre più avanti perché bisogna sperimentare fino a trovare l'equilibrio giusto».

Quello che mi chiedo è come mai c'è bisogno di questa separazione. È solo una questione fisica, o c'è dell'altro?
«Secondo me è una cosa fisica, non posso darti una risposta specifica perché ti mentirei. Però ti dico che di squadre femminili forti ce ne sono, e che in quasi tutta la nostra regione ci sono squadre femminili: a Parma abbiamo 22 squadre di calcio femminile da 5, a Piacenza credo siano 6 e anche a Modena e Ferrara sono presenti. Se organizzi un torneo puoi farlo misto, ma in termini di campionati ci sono dei paletti. Ci sono solo sporadici tornei, noi a Parma appunto lo abbiamo fatto un po' di anni, senza problemi. Comunque ti ripeto una cosa, dobbiamo approfittare di questo momento e metterci seriamente a riflettere e a cambiare un po' di cose, e spero che saremo tutti uniti con i comitati in questa cosa. Di idee ce ne sono tante, ma dobbiamo crederci e cambiare insieme, altrimenti rimaniamo sempre al solito punto. Secondo me questo è il momento giusto per riflettere e trasformarci».

 

 

 

 

 

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