Comitato Regionale

Emilia-Romagna

Una questione di filosofia

Approfittare della quarantena per riprendere in mano gli insegnamenti degli antichi maestri, ovvero: come sopravvivere alla quarantena se pratichi una disciplina orientale.

 

di Ginevra Langella

BOLOGNA - «Il compito dell'insegnante, di un'insegnante che fa la differenza, è quello di guidarti in un percorso in cui la parte competitiva è solo una costola della disciplina. Poi si arriva al cuore della disciplina, che non è la gara, ma la filosofia». Un'intervista a Michele Chendi, responsabile delle Discipline Orientali Uisp Emilia-Romagna, che ci racconta dell'importanza di ripercorrere il passato per migliorare il nostro presente. E anche quello degli altri.

Michele, quale è la situazione delle Discipline Orientali? C'è qualcosa che riuscite comunque a fare anche a distanza?
«Come al solito è tutto chiuso e cerchiamo di adattare quel che si può. È chiaro che ora cerchiamo di fare qualcosa online, ma è una cosa limitata solo ad alcune discipline, mentre altre purtroppo non riescono ad usufruire di questo servizio. Riusciamo a fare delle dirette dal gruppo Facebook sulla difesa personale adattata: è un modo per tenere le persone attente e vicine leggendo testi antichi e facendo considerazioni sul modo di vivere. È un impegno intellettuale che in questa fase può essere interessante: l'attività spirituale tende a essere trascurata durante l'attività fisica per motivi di tempistiche, mentre è in realtà un aspetto che dovrebbe essere tutt'altro che trascurato. In questa fase si può quindi far leva su questo fattore affrontando la parte storica, etica e filosofica di ogni disciplina orientale, come ad esempio stiamo facendo con il karate e l'aikido. Gli unici che hanno accesso agli allenamenti sono gli atleti di interesse nazionale che in realtà nel nostro caso sono veramente pochi e hanno anche poche possibilità, dato il fatto che molti impianti sono chiusi. Il dramma è proprio questo: cercare di salvare quelle società sportive che hanno resistito fino ad ora, anche con investimenti importanti per riuscire a rispettare i protocolli, per poi vedersi costrette a chiudere o con aperture a gruppi ridottissimi. Si capisce bene che aprire solo per pochi atleti diventa impossibile, soprattutto per i costi. Comunque, nel calendario, abbiamo segnato poche attività di interesse nazionale che sono i campionati di judo, di karate, di jjujutsu e di kung Fu, che si terranno in primavera».

Quindi per chi dovrà partecipare ai campionati gli allenamenti possono proseguire?
«Potrebbero, ma il 90% delle persone ha scelto di non farlo anche su indicazione nostra, almeno fino alla fine dell'anno. Non ci sembra corretto nei confronti di quello che sta accadendo. Da gennaio a maggio c'è tempo per allenarsi, ora come ora ci sembra scorretto spingere l'allenamento in un momento in cui tutta la società e il Governo viaggiano in direzione opposta. Bisogna tener conto, poi, che il cuore delle discipline orientali è il rapporto fisico: è chiaro che le società stanno facendo diverse cose, ma sono principalmente attività trasversali come ad esempio preparazione atletica, utile per mantenere soprattutto unito il tessuto associativo. Di base abbiamo poche possibilità, perché la parte tecnica non si può pensare di farla bene online, manca proprio la relazione tra i corpi che è la base di tutte le discipline. E poi, sai, anche spingere per fare attività nei parchi è un problema... dal punto di vista tecnico si potrebbe fare, però dal punto di vista morale io come responsabile regionale non me la sento di spingere le persone a riunirsi in gruppi di dieci in un parco. Perché poi potrebbe nascere spontaneo pensare "perché non riunirsi in 20 o 30?" e invece c'è da tener conto di un contesto che si basa sul buon senso. Direi proprio che per il prossimo mese e mezzo si può benissimo evitare e aspettare l'anno prossimo».

Il tuo percorso personale invece qual è stato? Come sei arrivato alle discipline orientali?
«Io ho iniziato molti anni fa, parliamo del 1986, di quando ancora c'era la Lega Arti Marziali per farti capire. Con il karate avevo già iniziato un paio di anni prima e poi mi sono affiliato a una società legata con quella che allora era la Lega di Arti Marziali. Da lì non ne sono più uscito. Ho comunque avuto tante esperienze, come con l'aikido e la difesa personale, ma sempre comunque all'interno dell'ambiente Uisp. Tutt'ora, quando mi è possibile, seguo le lezioni dei maestri giapponesi, anche se molti di loro ormai non ci sono più. Il mio ingresso ufficiale nella Uisp è invece avvenuto circa una decina di anni fa, ovvero quando c'è stata una mutazione che dal puro impegno fisico si è tramutata in impegno associativo, dettato dalla volontà di trasmettere anche ad altri quello che è stato per me un percorso lungo che mi ha aiutato tantissimo».

Cosa ti ha spinto, però, a scegliere il karate invece che un'altra disciplina?
«Quando inizi chiaramente è una questione di fortuna. Per me all'inizio, poi, è stata una questione di adattamento: nel mio paese all'epoca insegnavano solo karate e solo quello potevo fare. Ai quei tempi le arti marziali erano poco conosciute e comunque insegnate nelle città, quindi nei paesi non trovavi molte offerte come magari succede adesso. Oggi le offerte di mercato sono vastissime, ma per me rimane sempre una questione di fortuna trovare quell'insegnante che non abbia solo la capacità di insegnare un gesto tecnico, che può essere più o meno corretto, ma che conosca e condivida i principi etici e morali delle arti marziali. Principi che oggi sono quasi inesistenti per vari motivi e che hanno portato le società a doversi allacciare più alla parte sportiva rispetto a quella tradizionale. Il vecchio budo era la via del guerriero, la via dell'integrità: era un percorso che iniziavi e che finivi solo quando morivi, non c'era mai una fine. Ora in tanti casi è un percorso sportivo: c'è un inizio, c'è una competizione e c'è una fine, causa età e tante altre cose. Rimane quindi una questione di fortuna trovare quella società che non spinge solo per la parte sportiva. È anche per questo che nasce la difesa personale adattata. Una disciplina nel cui svolgimento si leggono in diretta Facebook i testi degli antichi maestri che condividevano questi tipi di messaggi, che negli anni si sono andati un po' a perdere. Però ecco, io ci tengo davvero molto a sottolineare che le discipline orientali non sono un gesto tecnico, non sono una gara vinta o una medaglia appesa: sono tutt'altro. Questo è importante dirlo, soprattutto per i più giovani che pensano solo a voler competere, combattere o vincere. Non c'è podio per la filosofia».

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