Comitato Territoriale

Bolzano

judo e disabili

Il judo è l'arte dell'impiego controllato delle proprie risorse. Proprio per questo motivo può essere utile anche ai disabili perché ll disabile dispone di minori risorse e quindi deve impiegarle meglio , e perché egli presenta generalmente una particolare disposizione a sfruttare ciò che ha. E parlo di qualsiasi tipo di disabile, anche di quelli più sfortunati, menomati nelle loro capacità mentali. Anche questi, forse soprattutto questi, mostrano per lo più uno straordinario impegno nell'imparare, nel fare, nell'evolvere, nel conquistare, nell'utilizzare tutto quello che la sorte ha loro lasciato. Basta dar loro gli strumenti adeguati. E il judo è appunto uno di tali strumenti. Uno dei più efficaci.

un po' di storia...

  • L'esperienza francese. Il M° Claude Combe, un judoista di spirito tradizionalista che non intendeva lo sport esclusivamente come competizione, ha iniziato al judo 4 down che presentavano disturbi associati (caratteriali, diabetici e motori) a Aulnay (Grenoble) nel 1966.
  • Nel '68, al congresso medico organizzato dalla Federazione Francese Judo e Discipline Assimilate (FFJDA) presso l'Istituto Nazionale di Sport, potè provare che la sua esperienza era conclusiva: questa disciplina poteva e doveva essere praticata dai disabili mentali. Aveva superato le obiezioni postegli dai benpensanti, dai genitori e dagli sportivi, che lo accusavano di essere fanatico e pericoloso!
  • Di conseguenza lavorò come interno in istituti specializzati, giungendo a gestire il Judo di 130 disabili in 5 Istituti Medico-Pedagogici dell'AFIPAEIM (Ass. Familiare Dipartimentale dell'Isère per l'assistenza ai ragazzi infermi mentali). nParticolarmente interessante è la sua relazione sui metodi tecnici usati e sui risultati raggiunti, presentata all'annuale congresso della FFJDA al termine della stagione '74.
  • Nel '92 erano 150 i maestri di Judo francesi qualificati nell'insegnamento ai disabili mentali. Oggi circa 450 con diploma di Stato del Ministero della Jeunesse et Sport 

In prefazione si diceva che il judo è l'arte del migliore impiego delle proprie risorse. E' il caso di chiarire qui che attraverso questa pratica si può ottenere una sempre più perfetta utilizzazione di tutte le proprie risorse: fisiche, mentali e morali. per quel che riguarda le doti fisiche, la cosa è ovvia. Il judo insegna l'uso del corpo, di tutto il corpo, e ne esercita tutte le funzioni. Meno evidente forse la sua influenza positiva sulla mente. Ma se si riflette un poco su ciò che il judo richiede a chi lo pratica si comprende subito il suo valore di "allenatore" della mente. Prendiamo, per esempio, l'abitudine alla concentrazione, all'attenzione, alla decisione, alla rapidità delle risposte, all'intuizione. Tutto questo non può restare senza effetto sulla personalità di un individuo. La caratteristica più importante del judo è però la sua qualità di disciplina morale. Secondo la definizione tradizionale il judo richiede "l'amicizia e la  mutua prosperità". Per dirla in una sola parola, il judo è essenzialmente generosità. E' amicizia con i compagni, è solidarietà, è rispetto per l'altro, è capacità di dare, è altruismo. Sono doti che, forse anche inconsapevolmente, chi pratica judo costruisce dentro di sé. C'è un'altra  parola, fra quelle usate all'inizio del nostro discorso, che merita una riflessione e cioè l'impiego controllato delle proprie risorse. Il controllo è la base e l'impalcatura del judo.  Poco a poco l'attitudine al controllo di sé e delle proprie azioni nasce e si consolida, inevitabilmente, in chi pratica quest'arte. Perché il controllo è l'origine dell'efficacia, del progresso, della tutela della propria e altrui integrità, del piacere di essere se stessi. E così il buon judoka impara sempre più a controllare le proprie azioni e i propri pensieri , e pertanto progredisce sulla strada della consapevolezza, della responsabilità e della civiltà.

Per questi motivi, la pratica del judo è uno strumento di grandissimo valore per l'evoluzione della persona. Ancor più per coloro che, offesi da una disabilità mancano di qualcuno dei mezzi normalmente posseduti dagli altri. Questa opinione si fonda largamente sull'esperienza dei maestri che insegnano con amore e con passione questa nobile arte.

Non importa chi sia l'Altro, e non ha importanza quante e quali siano le sue risorse. Ciò che conta è far sì che le possa sfruttare, tutte e nel modo migliore. E' la strada che ha seguito il M° Combe. Non cercando di trasformare gli allievi in individui simili a noi, ma cercando di far sì che possano essere pienamente se stessi.

 

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