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Emilia-Romagna

La svastica tra i cinque cerchi

Fino al 21 dicembre a Bologna, a Casa Saraceni, in via Farini 15, una mostra racconta lo sport durante il nazionalsocialismo, dalle Olimpiadi di Berlino a quelle londinesi del 1948. Tra strumento di propaganda ed espressione di ribellione

Foto di Liselotte Grschebina, 1937. © Museo d'Israeledi Fabrizio Pompei


BOLOGNA
- Georges Perec nel libro "W o il ricordo d'infanzia" descrive l'orrore nazista dei campi di sterminio come delle insensate Olimpiadi della violenza. Uno sport crudele, sottoposto a leggi imperscrutabili e arbitrarie, come estrema rappresentazione della realtà dei lager. Incredibilmente non si tratta solo di un'invenzione letteraria: lo sport entrò davvero, sotto diverse forme, nei campi nazisti. Questa è una delle scoperte che si fanno visitando la mostra "Lo sport europeo sotto il nazionalsocialismo. Dai Giochi olimpici di Berlino ai Giochi olimpici di Londra (1936-1948)" allestita a Casa Saraceni, in via Farini 15. La mostra, che ripropone in anteprima nazionale quella già esposta a Parigi a cura del Mémorial de la Shoah, racconta cosa è stato e cosa ha rappresentato lo sport durante il nazifascismo.

Tra testimonianze dirette riportate attraverso materiale multimediale, oggetti, (quasi) reliquie sportive dell'epoca e soprattutto molta documentazione testuale viene ricostruita la storia dello sport nel nostro Paese e in Europa e la sua evoluzione durante gli anni Venti e Trenta fino alle Olimpiadi londinesi del 1948. La mostra racconta uno sport che fu per il fascismo prima e per il nazismo poi essenzialmente propaganda della razza e della forza. Così, tra le teche, si possono vedere i video originali di presentazione delle Olimpiadi di Berlino del '36, le cartoline di un Mussolini rappresentato come il "primo sportivo d'Italia" o le foto della nazionale di calcio due volte campione del mondo rivolta alle tribune con il saluto romano.

Ma sono raccontate anche altre storie, più "piccole", casi singoli che fanno capire, forse ancor meglio della Storia con la S maiuscola, cosa sia stato l'orrore nazista. Nella varie sale vengono narrate infatti le vicende degli sportivi che subirono in prima persona le persecuzioni di quegli anni. Emblematico il caso di Árpád Weisz, allenatore del Bologna, che, per la propria origine ebraica, fu costretto a rifugiarsi in Olanda dove trovò la morte per mano delle SS. Vengono narrate anche storie "senza nome", come quella dei detenuti di un lager costretti a giocare una partita di calcio per propagandare l'idea di una prigionia rispettosa della dignità umana, e sterminati alla fine dell'incontro.

Lo sport, durante il nazismo, fu però anche un mezzo di opposizione e di riscatto. Ecco allora il gesto di ribellione di Alfred Nakach, nuotatore francese di origine algerina, che ad Auschwitz, di nascosto dalle guardie, nuota nelle cisterne d'acqua gelata per continuare a sentirsi vivo e ancora "uomo". O la storia dell'atleta Carl Ludwig Long, perfetta incarnazione della razza ariana, che, battuto dal campione afroamericano Jesse Owens nel salto in lungo, riconosce la superiorità dell'avversario, gli alza il braccio in segno di vittoria e per questo gesto viene mandato a morire al fronte. Nella mostra si può leggere una sua lettera scritta proprio a Owens nel '43: "Dopo la guerra, va' in Germania, ritrova mio figlio a parlagli di suo padre. Parlagli dell'epoca in cui la guerra non ci separava e digli che le cose possono essere diverse fra gli uomini su questa terra. Tuo fratello, Luz".

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