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Emilia-Romagna

Dall'Abruzzo all'Emilia: la Uisp nelle tendopoli

Marta Giammaria, responsabile del coordinamento delle attività nei campi dopo il sisma a L'Aquila, racconta errori e aspetti positivi di quell'esperienza. Un paragone con l'attualità che segnala anche la crescita qualitativa dell'intervento Uisp

Operatori della Protezione Civile in una tendopoli emiliana - Foto di Matteo Angelinidi Vittorio Martone

con la collaborazione di Stefano Miglio

 

leggi il reportage "Un terremoto nello sport" nell'ultimo numero di Fuori Area


DOPO il terremoto in Abruzzo del 2009 la Uisp avviò un'attività di supporto alle popolazioni colpite dal sisma attraverso proposte di attività motoria dentro le tendopoli. Marta Giammaria, aquilana di nascita, lavora alla Uisp nazionale nell'ufficio progetti e, in occasione dell'intervento nelle tendopoli abruzzesi, si è occupata del coordinamento delle attività all'interno dei campi. "Il nostro primo approccio - dice - è stato quello di capire quali fossero gli obblighi burocratici e che tipo di coordinamento si dovesse costruire con la Protezione Civile, che gestiva completamente l'attività nei campi".

Quali difficoltà avete riscontrato all'inizio?
"In primis il fatto che la Protezione Civile voleva mantenere lo stretto controllo dei campi. Il lavoro da parte nostra era quindi far capire la nostra volontà di proporre attività andando incontro alle loro esigenze. E al campo dell'Acquasanta alla fine abbiamo trovato un responsabile che ha mediato molto trovando un punto di incontro tra loro e noi, superando la concezione del campo come luogo di controllo della popolazione e andando verso quella di uno spazio in cui creare una comunità".

E rispetto al controllo qual è la tua sensazione sulla situazione emiliana?
"Vivo con partecipazione quel contesto, anche perché sono in contatto con 3e32, una rete di ragazzi che si è creata subito dopo il terremoto di L'Aquila e sta seguendo da vicino le vicende del sisma emiliano. E loro mi dicono che la sensazione del controllo è la stessa. Forse però la politica in Emilia sta facendo sentire molto di più la propria voce, mentre noi a L'Aquila fummo abbandonati".

Come veniva gestito l'ingresso di persone e materiali all'Acquasanta?
"Lì è stata fatta molta attività politica, anche di contestazione contro il governo. E all'inizio i responsabili non facevano distinzione tra chi faceva attività come noi e chi invece volantinaggio. Poi pian piano, parlando con il capo-campo che citavo prima, siamo riusciti a portare dentro attività in particolar modo per i bambini".

E per quanto riguarda gli adulti?
"Non abbiamo lavorato in maniera strutturata e 'calendarizzata'. Tra loro in realtà c'è stata molta autorganizzazione. C'è stata molta attività politica e questo in qualche modo ha eliminato il problema dell'impiego del tempo libero, perché le proteste contro il G8 sono nate nei campi".

Che proposte siete riusciti a mettere in piedi invece per gli anziani?
"Erano quelli che chiedevano più attenzioni: essere ascoltati, capiti. E infatti bastava creare un gruppo di un paio di operatori che parlasse con loro. Da questi gruppi sono nati incontri con gli anziani che raccontavano le proprie storie a tutta la gente del campo e che sono stati molto utili. Più in generale, mi viene da notare cha a L'Aquila c'è stata molta disorganizzazione, con associazioni diverse come Uisp, Save the Children, Unicef e Vip Clownterapia che facevano attività in maniera disgiunta. Questi errori non si stanno ripetendo in Emilia, come dimostra anche il protocollo che abbiamo sottoscritto con Save the Children".

Dopo lo svolgimento della vostra attività con i bambini quali riscontri avete avuto da parte delle famiglie?
"Molto positivi. Ancora adesso, quando torno, incontro genitori che si ricordano del nostro lavoro e ci ringraziano. Noi della Uisp siamo stati in campi che non furono presi d'assalto dalle altre associazioni, quelli della periferia di L'Aquila: Lupoli, Acquasanta, San Demetrio. Lì è nata un'esperienza di condivisione, di vicinanza. Con i bambini abbiamo fatto attività sia motoria che di gioco, facendo tirare fuori paure e ansie, grazie anche agli psicologi che ci accompagnavano. Il tempo veniva impiegato condividendo l'esperienza del terremoto, razionalizzandola, elaborandola. Genitori e bambini si ricordano di noi e ci salutano. Se si ricordano di te dopo tre anni vuol dire che qualcosa l'hai lasciato".

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