Comitato Regionale

Emilia-Romagna

Al lavoro per la salute mentale

Le associazioni Diavoli Rossi e Non andremo mai in tv raccontano le esperienze di attività, attraverso lo sport, per il recupero e la nascite di nuove opportunità per i pazienti con disabilità psichiche. Intervengono Rita Lambertini e Giovanni Comuzzi

Foto di Nicola Alessandrinidi Vittorio Martone


BOLOGNA - "La salute mentale è un bene a rischio. La sua promozione e tutela richiedono una nuova generazione di interventi che sappiano coniugare strategie di sviluppo locale, coesione sociale, tutela e promozione dell'ambiente e che siano basati sul principio che le persone con bassa contrattualità e i territori indeboliti ambientalmente e socialmente da forme critiche dello sviluppo sono risorse da validare e da cui partire per definire un nuovo progetto di sviluppo sostenibile". Così recita la "Dichiarazione di Pratorotondo", documento del 1996 diventato cardine per chi opera nel campo della disabilità psichica. Argomento che è stato al centro della due giorni di iniziative previste nell'ambito della manifestazione "Non solo un gioco", svoltasi tra Bologna e Casalecchio il 3 e 4 maggio.

In questo contesto, nel corso di un incontro intitolato "Oltre lo sport c'è. Cittadinanza, partecipazione, associazionismo, diritti" - promosso dalle associazioni Diavoli Rossi e Non andremo mai in tv - operatori delle associazioni di promozione sportiva e sociale hanno avuto modo di riflettere su percorsi di valorizzazione finalizzati a sviluppare interventi anche nelle aree del lavoro e dell'abitare, con particolare attenzione alle diverse esperienze che in questi anni, in Italia ed Europa, hanno prodotto buone pratiche rispetto all'inclusione sociale. "Le giornate del 3 e 4 maggio sono nate - ha affermato Rita Lambertini, membro dell'associazione Diavoli Rossi e operatrice Ausl Bologna - da un dibattito e che stiamo elaborando in maniera comune all'interno di 11 gruppi sportivi che operano nel campo della salute mentale in Emilia-Romagna. Il nostro coordinamento esiste da una decina d'anni e continuiamo a lavorare insieme per vedere oltre lo sport cosa si può fare nel campo del lavoro, dei diritti, dell'abitazione". Un'impostazione che ha portato a tramutare le esperienze dei gruppi sportivi nati all'interno dei Centri di salute mentale (Csm) in associazioni sportive dilettantistiche (asd), basi anche di opportunità di lavoro per chi ne fa parte. "Nella rete che si è creata a livello italiano, anche da anni in collaborazione con la Uisp, il lavoro attraverso lo sport per l'inclusione sociale è lampante e consolidato - è il commento di Giovanni Comuzzi dell'associazione Non andremo mai in tv -. L'obiettivo adesso era quello di alzare un po' l'asticella, per avvicinarci all'ambito lavorativo e imprenditoriale. Anche così si può diminuire o abbattere lo stigma che c'è dietro la malattia mentale".

Proviamo allora a raccontare la storia di queste asd. "Per quanto riguarda Non andremo mai in tv - racconta Comuzzi - la nostra esperienza è nata da un progetto nato all'interno del circuito della salute mentale di Bologna. Avevamo il mandato di coinvolgere un gruppo di giovani isolati socialmente. Iniziammo a lavorare in un centro diurno per poi cominciare, nel 2002, a partecipare a diverse manifestazioni che hanno fatto crescere il movimento e il nostro gruppo. Da lì l'esigenza di costituirci in associazione. Un percorso evolutivo che ha coinvolto anche gli utenti, che si sono 'trasformati' così in soci, portando all'abbattimento della distinzione tra utente, volontario, operatore. Così abbiamo notato come si ristrutturasse la relazione, con una valorizzazione della persona, una sua libera espressione in uno spazio democratico. Infine abbiamo fatto la scelta di far entrare nel direttivo anche alcuni familiari dei ragazzi, una risorsa che può diventare veicolo importante di energie e nuove competenze. Adesso puntiamo a una maggiore autonomia gestionale rispetto alle istituzioni, senza entrare in conflitto, anche per creare dei consorzi di associazioni e intercettare bandi della progettualità europea ancora poco utilizzati". Esperienza analoga quella dei Diavoli Rossi, polisportiva nata come gruppo sportivo dei Csm dei territori di Casalecchio, Vergato e San Lazzaro. "Portiamo avanti da anni - sottolinea Lambertini - un superamento delle definizioni di normodotati, disabili, amici e simpatizzanti. Noi proponiamo una tipologia di polisportiva orientata sulla promozione di tutti i diritti, su uno sport basato sull'integrazione naturale e votato alla promozione di altre cose. Di fatto i Diavoli Rossi è una struttura aperta a tutti, con cittadini che si aggregano spontaneamente. Un luogo di libero accesso a uno sport fatto per stare insieme".

Luoghi dove pur rimanendo pazienti e soggetti alle cure si registra un cambiamento nell'approccio alle attività che vengono proposte. "Si crea uno spazio di racconto di sé e della propria esperienza, di confronto, e soprattutto di attività diretta che dà un grande impatto sulla soddisfazione personale. Un qualcosa - spiega ancora Lambertini - che porta a sentirsi utili e riconosciuti come risorsa e non solo come recettori di servizi. Per questo vorremmo aprire spiragli legati ad attività di lavoro attraverso lo sport come la gestione di campi, di strutture, di bar affidati direttamente ai pazienti dei Csm". Un percorso di promozione della cultura del cambiamento a partire dallo sport che continua, con un appuntamento già in calendario per i primi di settembre a Rimini, dove nell'ambito della rete "Esportiamoci" si incontreranno i gruppi regionali che operano nella salute mentale per dare vita a una nuova figura regionale che comprenda e unisca le esperienze del territorio.

Il resoconto dell'intervento di Lucilla Frattura, della Direzione centrale della salute e integrazione sociosanitaria politiche della Regione Friuli Venezia Giulia

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