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Emilia-Romagna

La scuola della pallavolo

Intervista a Leonardo Ronzi, responsabile del coordinamento pallavolo e beach, sul progetto Volley Insieme: "Con i ragazzi, per far capire che lo sport non è giocare ai massimi livelli ma stare bene, anche con gli altri"

Lezioni di minivolley con la Uisp Bolognadi Vittorio Martone

 

BOLOGNA - È lo sport della scuola per antonomasia, quello praticato da tutti nelle ore che un tempo si chiamavano di "educazione fisica". Ed è al centro di un progetto Uisp giunto alla sua terza edizione e ripartito all'inizio del mese di ottobre. Parliamo di pallavolo e di "Volley Insieme", iniziativa nata in seno alla Uisp Bologna che adesso punta, come chiarisce Leonardo Ronzi, responsabile del coordinamento pallavolo e beach Uisp Emilia-Romagna, ad allargarsi su tutto il territorio regionale.

Leonardo, parliamo innanzitutto del progetto nel suo complesso.
"Tutto è nato nell'ambito di un progetto contro l'abbandono sportivo nell'adolescenza, impostando incontri pomeridiani settimanali di pallavolo, in modo ludico e non stressante. Dopo una prima fase di riscaldamento e una seconda di apprendimento, c'è una fase finale dedicata al gioco, tutti insieme. Puntiamo a fare aggregazione e socializzazione tra i ragazzi, non a fare tecnica. Gli appuntamenti sono di un'ora a mezza per due volte a settimana. Il tutto per due quadrimestri. Allenamenti e partite sono a squadre miste. I bambini ci sono abituati, i più grandi no. Noi abbiamo tentato di abbattere la differenza di genere, favorendo anche un'educazione al rispetto del sesso opposto".

Quali sono le novità quest'anno?
"Siamo partiti con quattro società del territorio di Bologna e stiamo pensando di realizzare alcune amichevoli tra questi diversi gruppi. L'idea è di allargarci poi a livello regionale, ma questo incontra le diverse realtà del territorio. A Ferrara ad esempio non c'è attività giovanile, per cui bisogna crearla. A Modena ci sono già iniziative simili e bisognerà mettere tutto in rete".

Volley Insieme lavora con i giovani per offrire momenti di sport legati allo svago ed evitare l'abbandono, il cosiddetto drop out. Secondo te la pallavolo è più adatta di altre discipline al raggiungimento di questo scopo?
"Il volley è uno sport con molte regole, molto tecnico ma in cui si gioca in squadra. Hai tre tocchi, se non li usi va a discapito tuo. Fai tre tocchi in modo tale che il terzo possa essere un attacco. Stai con gli altri e devi fidarti degli altri, devi buttarti anche per l'altro. E questo dà molta sicurezza. Anche negli altri sport di squadra hai i compagni ma questo è l'unico in cui sei obbligato a passare la palla. È un discorso di abilità personali, di confronto con gli altri e con se stessi. È vero, l'elemento tecnico di questo sport poteva essere una difficoltà. Ma quello che ci ha avvantaggiato è che noi insegniamo poche cose tecniche, non annoiamo i ragazzi con le ripetute, li facciamo divertire inserendo molto il lavoro ludico. Poi si ride insieme, di tutti gli sbagli".

Come sono andate le edizioni passate?
"Nella prima abbiamo avuto circa 50 ragazzi. L'anno scorso eravamo 115 e oggi puntiamo a riconfermare quel dato e poi si vedrà. Già dall'anno scorso abbiamo visto i frutti della nostra idea iniziale, del maggio 2011. Quel momento di pallavolo, dal riscaldamento alla gestione dell'attività, dal coinvolgimento alla risoluzione delle problematiche, dalla risposta entusiasta dei ragazzi al coinvolgimento positivo anche dei genitori sono ciò che volevamo costruire".

Oltre alle soddisfazioni, avete incontrato anche delle problematiche?
"Per le questioni organizzative, qualche problema nella gestione dei gruppi, visto che abbiamo due fasce d'età, dai 12 ai 14 e dai 15 ai 18. Poi i problemi tipici legati all'adolescenza. Ma sono problemi che abbiamo affrontato nel gruppo, confrontandoci come operatori con i ragazzi e provando a giungere insieme a una soluzione. Così abbiamo responsabilizzato molti ragazzi. Ci tenevamo a fare così, perché pensiamo veramente che lo sport sia una scuola".

E con le famiglie?
"Le famiglie si sono interessate a quello che facevamo ma capendo che era uno spazio dei figli. Con i genitori si è stabilito un rapporto assolutamente diretto e sincero: loro si confrontavano con noi, spesso dicendoci dell'entusiasmo dei figli. Nessuna ingerenza e interferenza, quindi. Hanno capito l'obiettivo di questa iniziativa. Che per me è quello di dare uno strumento ai ragazzi per far capire che l'attività sportiva, anche se non li porta a giocare ai massimi livelli, è un momento di scarico e poi ti fa stare bene anche in termini di salute".

Da educatori sportivi quali cose vi hanno colpito nell'approccio allo sport dei ragazzi?
"Abbiamo trovato una difficoltà motoria diffusa, notando che molti non sanno saltare o non hanno consapevolezza del corpo. E queste sono abilità che si acquisiscono di solito alle elementari. Sono segnali della carenza dello sport fatto durante la scuola. Per questo sarebbe importante dare continuità all'idea della ex ministra Idem, che ha proposto il laureato di scienze motorie affiancato al maestro".

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