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Emilia-Romagna

Una nuova società italiana, dallo sport alla cittadinanza

Vincenzo Manco, presidente regionale Uisp Emilia-Romagna, commenta l'intervista rilasciata dal ministro Piero Gnudi a la Gazzetta dello Sport

BOLOGNA - Il primo febbraio il quotidiano la Gazzetta dello Sport ha pubblicato un'ampia intervista al ministro Piero Gnudi, titolare del dicastero su sport e turismo. Una conversazione con i giornalisti Ruggiero Palombo e Pier Bergonzi in cui Gnudi ha dichiarato di voler essere "il ministro dello sport praticato" ed ha avanzato alcune ipotesi sulle priorità per la politica sportiva italiana. Abbiamo chiesto a Vincenzo Manco, presidente regionale della Uisp Emilia-Romagna, di commentare punto per punto le dichiarazioni del ministro Gnudi.

Partiamo dal tema più significativo per la Uisp: l'organizzazione dello sport italiano. Gnudi ha sostenuto: "il nostro modello attuale funziona e prima di cambiare ci penserei tre volte". La Uisp invece, prima della nomina di Gnudi, era stata promotrice di una riforma del modello sportivo poi messa in stand-by. Di fronte a questi segnali di conservazione della struttura attuale, come si pone adesso l'Unione Italiana Sport Per tutti?
"Le dichiarazioni del ministro Gnudi su la Gazzetta dello Sport vanno inquadrate partendo da due punti. Il primo è la cosiddetta storica anomalia italiana rispetto ai sistemi sportivi europei, basata sul Coni che ha una delega dallo Stato per governare lo sport. Vi è poi la congiuntura economico-sociale che sta attraversando il mondo occidentale, e ancora di più l'Italia. Questi due elementi di scenario vanno intrecciati per trovare una via di uscita e tracciare un orizzonte lungo. Orizzonte in cui si devono prevedere strumenti ed esperienze che mostrino lo sport finalmente come strumento attraverso cui si diventa cittadini migliori. In sintesi, il punto è capire che oggi lo sport deve essere considerato come un vero e proprio diritto di cittadinanza. Inoltre, non bisogna dimenticare che ciò che deve derivare dall'incrocio dei due temi di scenario è il cambiamento. Il governo tecnico deve lavorare per progettare una società italiana nuova".

E il sistema attuale è sufficiente per raggiungere questa finalità?
"Per come oggi è disegnato è insufficiente. Noi abbiamo riconosciuto come importante l'autoriforma del Coni per due motivi: fa chiarezza rispetto alle competenze sui temi della promozione sportiva e dà al territorio (istituzioni, associazioni sportive, federazioni) la titolarità a intervenire sulle politiche sportive. Ma data questa valutazione positiva siamo dell'idea che si debba andare oltre e immaginare la struttura del Coni, attraverso le proprie federazioni, organizzata al meglio per raggiungere le finalità per cui è il Coni è nato, ossia migliorare le prestazioni e portare a casa riconoscimenti olimpici. Fatto ciò, l'associazionismo sportivo deve essere messo nelle condizioni, collaborando in sinergia con le federazioni, le regioni e gli enti locali, di sviluppare lo sport di cittadinanza. Per questo motivo guardiamo con grande favore all'Osservatorio dello sport per tutti che in queste ore si è istituito presso il Coni nazionale. Se abbiamo chiara questa impostazione il ministero allo sport diventa un tassello attraverso cui delineare a breve un indirizzo per le politiche pubbliche che permettano al sistema sportivo nel suo complesso e agli ambiti istituzionali (quali soprattutto le Regioni), di sviluppare tali politiche sul territorio. Determinare gli ambiti di intervento tra la prestazione olimpica e lo sport di cittadinanza, facendo convivere questi due mondi, è uno degli elementi fondamentali per determinare il famoso orizzonte lungo".

Ritieni che la necessità di questo orizzonte lungo sia percepita come tale anche dal ministero?
"Il ministro Gnudi in questa intervista lascia intendere che gli ambiti di sviluppo di quello che lui definisce lo 'sport praticato' sono o debbano essere compresi solo in ambito scolastico e universitario. Noi abbiamo consapevolezza della necessità d'intervenire sulla cultura motoria nelle scuole. Siamo nello stesso tempo consapevoli che scuole e università sono uno dei tasselli importanti della crescita della persona. Centrando solo lì l'obiettivo si rischia di dimenticare tutto quel movimento sportivo, fatto di sport di cittadinanza, di sportpertutti, di sport sociale, che sta fuori dagli ambiti tradizionali come le palestre scolastiche e tocca invece gli spazi urbani. Basti guardare l'aumento considerevole dei cittadini che usufruiscono delle città, degli spazi verdi, delle piste ciclabili, delle proprie case (basti pensare all'attività fisica adattata per gli anziani), delle carceri, degli istituti di igiene mentale per fare attività motoria. Attività rivolta alla prima infanzia, alla tutela dell' ambiente, al turismo e alla scoperta del territorio, all'antirazzismo: esperienze che si sono sviluppate fuori dell'impiantistica tradizionale e che per numero e qualità dell'intervento superano abbondantemente i circuiti tradizionali. Se vogliamo ragionare di orizzonte lungo abbiamo la necessità di stimolare il ministro, che a breve dovremmo incontrare, a guardare il fenomeno sportivo in modo complessivo, facendolo valorizzare come diritto di cittadinanza".

Nell'intervista il ministro fa riferimento a una "legge Balotelli" per "consentire l'acquisizione della cittadinanza da parte di giovani che si siano contraddistinti per meriti e capacità sportive". Come valuti questa proposta?
"Faccio fatica a dire che non sia opportuna, perché si tratterebbe comunque di un passo in avanti rispetto a una legislazione come quella attuale che definisce situazioni di svantaggio. Ma, pur partendo da un intento positivo, tale legge rischia di creare cittadini sportivi di serie a e di serie b. Noi auspichiamo che il tema venga assunto non tanto in ambito solo sportivo e che, come da tempo diciamo, si possa giungere a una convergenza delle forze politiche affinché si passi dallo 'ius sanguinis' allo 'ius soli'".

(vi.mar.)

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