Comitato Regionale

Emilia-Romagna

"In un fulgor di gloria"

Gli anni '60 e '70, l'impegno politico, la disillusione. Questo il background della disgregazione attuale. Rottura degli schemi e inclusione sono gli strumenti per ripartire

Foto di Matteo Angelini (immagine tratta dalla rivista Fuori Area)di Vincenzo Manco, presidente Uisp Emilia-Romagna

dall'ultimo numero di Fuori Area (luglio 2012)

 

"E noi cadremo in un fulgor di gloria, schiudendo all'avvenir novella via, dal sangue spunterà la nuova istoria dell'anarchia". Scopro questo brano di canzone trascritto su una delle agende del liceo scientifico. Come tutti, io e i miei compagni eravamo soliti utilizzarle per scrivere pensieri, idee, accadimenti, sogni. Quelli legati a una società più giusta ed eguale, che partisse dal rispetto delle persone senza distinzione di razza e di religione, che mettesse al centro la forza lavoro e la sua dignità. Lo chiamavamo internazionalismo e crescevamo con la dimensione globale del nostro agire locale. Ogni azione messa in campo in un piccolo paesino d'Italia diventava contributo all'emancipazione delle persone dall'oppressione sotto qualunque forma si esprimesse. Un ideale da perseguire, un progetto di vita collettivo che intrecciava sempre (a volte anche in modo esagerato) la vita privata di ognuno di noi. Facile quindi di fronte a questa spinta del sentire sociale imbattersi in persone che avevano idee diverse. Gli anni '60 e i '70 hanno rappresentato un grande fermento di progettualità politica. Aprivi la porta di casa e respiravi pratiche collettive. Fuori c'erano comunisti, filosovietici, maoisti, filocubani, eurocomunisti, anarchici, rivoluzionari ed altri ancora, solo per riferirsi alla galassia della sinistra. Un fermento che ha forgiato le coscienze di generazioni appassionatesi alla politica e che hanno costituito, malgrado le forme estreme, parte fondamentale della classe dirigente del paese.

Franco ed Alessio, i miei compagni di classe al liceo, avevano scelto di abbracciare il progetto politico anarchico, un'idea di ordine senza potere, come direbbe Proudhon. Io stavo dalla parte comunista, quella del sogno più idealista, quello cubano. Alla caduta del muro di Berlino ci siamo svegliati invece con La domenica delle salme, bellissima canzone di Fabrizio De Andrè, cantautore anarchico, che raccontava i cumuli di macerie politiche, sociali e ideali che avevamo ereditato da quegli anni e la disillusione che accompagnava un crollo fisico e morale. Si è aperta così la lunga transizione del paese che non si è ancora chiusa. Una difficile e complicata stagione che ha attraversato lo stivale farcendo di populismo e di antipartitismo ogni azione politica. Un virus che ha colpito tutti intaccando anche i valori etici condivisi. Adesso però ognuno si assuma la propria responsabilità politica nel ricostruire il tessuto etico, politico e sociale delle nostre comunità. Lo si faccia come singoli o come corpi intermedi, come categorie sociali o associazioni, come istituzioni locali o nazionali. Tocca a noi e non ad altri. Come la Uisp, che negli anni '70 promosse l'attività motoria per gli anziani, a metà degli '80 il calcio femminile, alla fine degli '80 e primi '90 il progetto "Primi Passi". Proposte dirompenti anche per la nostra stessa associazione, perché rompevano lo schema organizzativo, fuori dalle gerarchie legate alle discipline sportive tradizionalmente intese. Ma che ventata nuova però! La nostra proposta culturale e sociale si allargava, proponeva cittadinanza a un'ampia fetta di popolazione completamente esclusa da qualunque pratica motoria e sportiva. Proposte libertarie che, per dirla con gli anarchici, promuovevano non l'annullamento di ogni forma di organizzazione sociale ma l'evoluzione verso una società non gerarchica.

Uno dei mali della società italiana dentro questalunga transizione è rappresentato dalla scarsa mobilità sociale: le idee si muovono così velocemente che il tempo che passa per realizzarle diventa un fattore competitivo a qualunque livello. Ecco perché credo sia necessario pensare a una Uisp aperta, a un'associazione capace di sorprendere se stessa perché guarda al merito delle proprie proposte e le osserva per renderle appetibili alla cittadinanza e funzionali al benessere individuale e collettivo delle comunità. E non alle rendite di posizione dei gruppi dirigenti. Il nostro modello associativo deve essere consono a quest'idea, alla nostra maggiore capacità di penetrazione sociale coinvolgendo anche e soprattutto le nostre società sportive. E allora avanti! Avanti verso nuove proposte e nuovi modelli organizzativi che permettano alla Uisp d'intercettare nuovi linguaggi e nuove espressioni corporee, senza preoccuparsi di rompere i nostri schemi consolidati, ma salvaguardando esclusivamente i nostri valori d'inclusione e solidarietà tra persone e popoli, di coesione e sostenibilità ambientale e dei limiti del proprio corpo.

Mi verrebbe da dire: 10, 100, 1000 Mondiali Antirazzisti! Perché giochiamo le finali ai rigori, perché esiste l'autoregolamentazione delle partite, c'è fair play, aria di festa, ma anche confronto e riflessione sullo sport come fattore d'integrazione multiculturale. Quest'anno c'è di più, un grande spazio di accoglienza per i bambini e i ragazzi delle zone colpite dal terremoto, animazione e attività sportive per permettere loro di spingere la mente verso la normalità dopo la profonda ferita che si è aperta colpendo il nostro territorio con il sisma del 20 maggio. I Mondiali sono un altro degli esempi libertari della storia della Uisp, ma che possono (devono?) diventare un contenitore allargato, fruito da tutte le realtà giovanili e non solo che la nostra associazione ha saputo sollecitare di recente. Penso allo Spazio Inysciplinati, al Forum Giovani, fino alla parte formativa di In and Young. Proposta: perché non aprire con loro un confronto appena dopo la fine di questa edizione per arricchire i temi e la partecipazione anche volontaria, fino ad arrivare a pensare i Mondiali da domani come contenitore di una festa nazionale Uisp, magari periodica?

Infine ai nostri comitati, ai rispettivi dirigenti, dipendenti e volontari colpiti fortemente dal terremoto e alle nostre società sportive di quei territori dico grazie per ciò che stanno facendo per la popolazione. Non vi lasceremo soli, né in questi giorni né in quelli a venire!

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