Comitato Regionale

Emilia-Romagna

La comunicazione vista dalle donne: l'esperienza del Sexyshock

Il laboratorio bolognese sulla sessualità, promotore del progetto contro la violenza "Macho Free Zone", presenta le pratiche di contaminazione per ridurre l'insicurezza negli spazi urbani.

Un'immagine dal sito di Sexyshockdi Vittorio Martone


BOLOGNA - Sexyshock è un laboratorio di comunicazione e contaminazione aperto alle donne del territorio bolognese e non solo. Esso rappresenta uno spazio pubblico di discussione ed elaborazione che, al di là delle sue caratteristiche di progetto di ricerca e di laboratorio sulla sessualità, non rinuncia all'idea di essere un luogo di riunione e di incontro oltre che un punto informativo. Tra le numerose iniziative promosse dal Sexyshock figura anche Macho Free Zone, una campagna contro la violenza sul corpo delle donne e contro la percezione di insicurezza negli spazi urbani. Durante l'organizzazione dei Mondiali Antirazzisti 2009 le protagoniste di questo progetto hanno fornito un importante contributo al lavoro per rendere gli spazi della festa il più possibile aperti a tutti e connotati dall'assenza di spiacevoli sensazioni di insicurezza. Per conoscere meglio questa esperienza abbiamo intervistato una delle "attiviste" del Sexyshock, che risponde al nome collettivo di Betty.

Innanzitutto ti chiederei di spiegarci in cosa consiste Macho Free Zone?
"Oltre ad attività di studio e mappatura dei fenomeni di violenza, sul piano pratico in genere ci posizioniamo davanti all'ingresso e all'interno dei luoghi di ritrovo diffondendo materiali delle nostre campagne comunicative. Si tratti di opuscoli, cartoline e anche fischietti con i quali cerchiamo di far riflettere anche in maniera provocatoria e giocosa sulla violenza di genere e non solo. L'impatto di queste campagne sulle persone che partecipano è in genere molto forte: inoltre dalle loro testimonianze riscontriamo spesso una forte sensazione di insicurezza rispetto agli spazi del vissuto quotidiano. Quello che ci ha molto sorpreso in questo lavoro è che tanti uomini, quando vedono Macho Free Zone, affermano che è molto piacevole per loro sapere di trovarsi in uno spazio in cui possono liberarsi dell'obbligo di ostentare la propria virilità, sia in termini di avance che di difesa, delegittimando quella richiesta di machismo intrinseca nella vita pubblica".

Oltre a politiche comunicative, nel progetto Macho Free Zone avete organizzato anche corsi di autodifesa. Come descrivereste questa esperienza?
"Quella dell'autodifesa è una tematica molto difficile da trattare, soprattutto sul piano dell'interpretazione che si fa del corso. Noi siamo dell'avviso che il problema dell'insicurezza rispetto agli spazi urbani, ovviamente, non si risolve con i corsi di autodifesa. Per questo infatti abbiamo inserito questo strumento all'interno di un progetto più ampio di sensibilizzazione sul territorio. Le persone coinvolte, che hanno usufruito di strumenti come la mappatura, le letture e le discussioni, hanno quindi tratto giovamento dal corso di autodifesa, che comunque era gestito da persone esperte non solo delle arti marziali ma anche sul piano psicologico, più che altro in termini di atteggiamento personale nei confronti dello spazio pubblico e rispetto agli altri. Molti hanno confessato di credere che il corso di autodifesa non gli sarebbe servito a nulla e che invece dopo riuscivano a camminare a testa alta percependo inoltre una differente reazione della gente rispetto al proprio io. Una simile testimonianza segna il passo rispetto a tante teorie sulla violenza contro il corpo delle donne e permette di focalizzare l'attenzione su un elemento per noi fondamentale quale la percezione di insicurezza, che spesso porta a sentirsi in pericolo anche quando non si verificano episodi di violenza. È proprio su questo approccio psicofisico che i corsi di autodifesa agiscono positivamente".

Come è strutturata la vostra collaborazione con altri soggetti?
"Innanzitutto vogliamo chiarire che Macho Free Zone è un progetto vissuto con i principi del 'copyleft'. Di conseguenza non ci sono diritti esclusivi per il suo utilizzo ed anzi è nostro interesse che esso si diffonda liberamente. Oltre al Sexyshoock il progetto coinvolge anche altri gruppi attivi a Bologna come le Comunicattiva, l'associazione Armonie ed Orfeo Tv. Per quanto riguarda la nostra presenza negli spazi pubblici, spesso accade che siano direttamente gli organizzatori di un evento a chiamarci per chiedere il nostro contributo, affinché lo spazio che ospita l'evento sia vissuto da tutti in maniera libera e senza percezione di insicurezza. In questo modo abbiamo avviato esperienze anche a Trento e Milano, oltre che Bologna, dove siamo attive in diverse zone come San Vitale, San Donato, Porto e Savena anche grazie al finanziamento diretto dei quartieri".

In conclusione, qual è la finalità di Macho Free Zone?
"La logica che c'è alla base è quella del sentirsi sicure sempre e comunque, affinché ogni corpo possa vivere lo spazio pubblico come desidera e opponendosi al pensiero che la presentazione del proprio corpo può legittimare la violenza. Per questo spesso, durante la distribuzione dei nostri materiali, ricorriamo a una certa presenza scenica ispirata non tanto al concetto di estremizzazione quanto a quello di libertà".

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