(da Area Uisp n. 12)
Ci sono differenze importanti nella vita delle parole, che sono differenze della vita di pensieri, opere, azioni ed emozioni e tutto ciò che è la vita degli esseri umani - li conoscete? io a volte non lo so proprio. In particolare c'è una differenza che ci mette dinanzi agli occhi l'abate Dinouart, che in un suo trattatello dedicato a L'arte di tacere insiste sulla differenza fra (il parlare) molto e troppo, differenza ovvia quanto lo è saper usare questi due avverbi, ma che serve ogni tanto recuperare. Ci permette infatti di pensare il rapporto fra forza e violenza,
fra la molta energia, il vigore fi sico e mentale, le capacità e doti umane che, anche nella loro condivisione e unione - la forza lavoro - ci permettono di resistere o avanzare, di giocare senza scopo così come di raggiungere degli obiettivi - Will Eisner chiamava tutto ciò in un suo bel fumetto sugli anni della Grande Depressione La forza della vita - e un utilizzo di queste stesse caratteristiche come forma di sopraffazione, coercizione e aggressione della vita e del pensiero proprio e altrui. La violenza è il troppo, l'eccesso di quantità e qualità, di appropriatezza e di fi ni, della forza stessa - in molti, troppi casi le forze armate, come riportano le cronache, ricorrono ad "un uso eccessivo della forza" che nasconde anche scopi eccessivi. In tali casi esse perdono dunque di legittimità e con un effetto verità diventano violenze armate.
La rappresentazione, la messa in scena e in parola di un tale eccesso è complessa, non si tratta di rappresentare molto, né troppo, ma il troppo stesso di un qualcosa che è molto umano, che precede addirittura il molto, e che insieme vorremmo esserci estraneo. David Cronenberg, regista concentrato da anni su corpi e pulsioni, ci riesce nel suo "A History of Violence", un fi lm del 2005 che racconta di Tom, un uomo ritiratosi in una quieta e docile America rurale, tutto lavoro e famiglia, fi nché l'imbattersi in due ladri e assassini spietati non ne rivela la natura e la storia. Sotto le loro efferate e insensate minacce - perché uccidere una donna se l'obiettivo è solo una rapina di pochi spiccioli? Solo per spaventare gli altri presenti o perché la violenza di un furto non può che richiamare altra violenza? - reagisce infatti con grande prontezza e forza d'animo quanto fi sica, li uccide così nel suo diner con destrezza e semplicità, con qualche schizzo di splatter (e annessa inquadratura) e una sorprendente freddezza, per diventare eroe locale e nazionale celebrato dai media. Tale improvvisa notorietà porta nel paesino il suo passato sotto l'aspetto di un mafi oso sfi gurato e annessi sgherri, che hanno riconosciuto nell'uomo un vecchio rivale, un certo Joey di Philadelphia che, per quanto Tom provi a negare di essere, sembra ripresentarsi e riaffi orare suo malgrado, contagiando il suo ambiente quanto l'arrivo della mafia. Cronenberg ci mostra infatti come in tale estrema condizione di paura e presentimento della tragedia, la forza riveli la sua condizione originaria di violenza nei corpi stessi, nel fi glio quindicenne che se prima rispondeva con ironia e sagacia verbale alle prevaricazione del bullo locale viene ora travolto dalla propria rabbia, dalle proprie mandibole che digrignano e dal respiro affannato, per scoprirsi capace di colpire con foga e furia. Così come nel sesso disperante, scabrosamente vero fra Tom che si rivela Joey e la moglie Edie (Maria Bello), un diverbio e aggressione che traboccano in attrazione, un incontro mancato però, poiché Tom è ancora in mezzo ad una transizione - la scena avviene sulle scale, staccatisi con freddezza i corpi la moglie sale e lui rimane accasciato, incapace di seguirla - ancora perso fra il sé che ha cercato di essere, il cambiamento e la moralità che ha voluto e la sua storia di violenza. Tom deve allora ritornare Joey - portando a compimento il processo scaturito dal primo omicidio nel diner, da quelle azioni così naturali e forti - e accettare la propria condizione per commettere tutti gli altri omicidi, ancor più necessari, per salvare moglie e fi gli dalle minacce del boss e se stesso dalla propria storia. A differenza da paese e famiglia che ne vengono perturbati, Tom/Joey abbraccia la propria violenza in modo lucido, freddo - ha tratti e occhi nordici di Viggo Mortensen - come un angelo sterminatore che deve recuperarsi dalla e alla dimensione del troppo agendo senza emozione. "Eri sempre il più matto" gli ricorda il fratello criminale rievocando i crimini passati: ebbene ora questa follia sembra avere un fi ne come la sopravvivenza della sua famiglia, adoperando la forza che è anche tremenda violenza, cercando un cambiamento là dove si era perso e in ciò che non può più negare. Solo così ci sarà la possibilità del ritorno a casa di Tom che è anche Joey, che ha vissuto e ucciso più volte, in un incontro nuovo di forza e violenza, dove il molto si è ritrovato nel troppo, dove l'uomo si è scoperto animale quanto angelo, padre-marito quanto killer, e seguendo la sottile linea fra queste due nature può sedersi di nuovo al desco familiare non come il ritorno dell'eroe, ma come quello dell'uomo, sconfi tto tanto quanto vincitore.