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Un hooligan tra gli ultrà: la visita di Cass Pennant ai Mondiali Antirazzisti

Da estremista del tifo a scrittore e studioso del tifo che racconta le radici del rapporto tra supporters e squadra.

Cass Pennant ai Mondiali Antirazzisti - Foto di Shoot4Changedi Layla Mousa


BOLOGNA - Una passeggiata sotto il sole dei Mondiali Antirazzisti al fianco di Cass Pennant non si conclude rapidamente, ad ogni passo c'è qualcuno lo ferma: "Ti puoi fare una foto con me? Ho letto tutto quello che hai scritto!", dice un ultrà anconetano; "Voglio solo stringerti la mano, ho il tifo nel cuore, come te!" afferma un genoano. E ancora sampdoriani, atalantini, bolognesi... tutti si girano quando passa lui, tutti vorrebbero dirgli qualcosa e sentire cosa vuole dire lui. Ma chi è mai quest'uomo altissimo e imponente, di origini giamaicane ma nato nello Yorkshire e vissuto a Londra Est? E perché il mondo ultrà si ferma quando passa lui?

Erano gli anni ‘70 quando Cass Pennant, uno dei leader degli hooligans della squadra londinese del West Ham, in particolare del gruppo Inter City Firm (ICF), è stato messo in prigione per la sua attività "accalorata" nelle curve inglesi. In cella, il suo compagno gli chiese come mai fosse lì e, appreso che era per motivi di tifo, si stupì di sapere che lui, nero, fosse un hooligan, anzi, un leader degli hooligans.

Ed è così che Pennant ha iniziato a riflettere - e a scrivere - sulla cultura del tifo, su come è nata e su cosa rappresenta il suo legame con la società. I suoi scritti sono diventati libri e film, immancabili nella bibliografia della storia del tifo e dei tifosi, come "Cass" - la sua autobiografia, recentemente trasformata in un film - "Congratulations, You Have Just Met the ICF" (Congratulazioni, hai appena incontrato la ICF, ndr) e "Top Boys: True Stories of Football's Hardest Men".

La giornata di Cass Pennant ai Mondiali Antirazzisti è stata ricca di interviste ed appuntamenti, tra cui il dibattito sulla tessera del tifoso. L'ex hooligan inglese ha avuto modo di raccontare molto della sua vita e di cosa pensa del calcio moderno, in Europa e in Italia.

"Per me è la prima volta ai Mondiali Antirazzisti - ci dice - ma sono stato felice quando l'organizzazione mi ha invitato, perché ne avevo sentito parlare, avevo letto e visto immagini di questo evento. Mi piace molto questo spirito, vedere tifosi di club avversari storici lavorare fianco a fianco, giocare tornei insieme e portare avanti un obiettivo comune. Mi piace molto anche il mix tra sport, cultura e musica, un modo autentico di vivere il calcio".

"Lo stereotipo più diffuso del tifoso è tutto improntato sulla negatività e sulla violenza e - continua l'ex hooligan - non si fa mai menzione degli aspetti positivi e aggregativi del tifo, la cui componente fondamentale è la passione. Una passione nata dalla classe operaia, che ad esempio nel quartiere del West Ham è composta al 60% da gruppi 'etnici', da migranti: neri, asiatici, indiani... e tutti sono uniti da una cosa comune, la passione per la propria squadra, che si trasmette di generazione in generazione, senza una connotazione politica. Un ambiente molto diverso da quello razzista e violento che viene sempre descritto dai media".

In Europa, così come in Italia, le presenze negli stadi sono però diminuite, e molti dei gruppi storici che animavano le curve si stanno pian piano dissolvendo. "Io non nego che ci sia una componente violenta nel tifo e che sia necessario contrastarla in maniera intelligente ma negli ultimi anni il calcio, da sport popolare quale era, si sta trasformando in uno sport per classi abbienti, con seggiolini imbottiti e biglietti costosissimi, senza la possibilità di seguire le partite in piedi e di riunirsi con i propri gruppi. Questo ha allontanato la classe lavoratrice dalle curve, così come la scelta di spalmare le partite su diverse giornate per guadagnare dai diritti televisivi: per una persona che lavora così è impossibile andare a seguire le partite!"

Il calcio, secondo Pennant, è strettamente connesso con la società e dovrebbe continuare ad esserne parte: "Gli stadi ad esempio, non vengono più costruiti all'interno dei quartieri e vicino alla gente - specifica lo scrittore - ma lontani dalle città, come a sottolineare la distanza che si vuole mettere tra il mondo dorato dei club e quello proletario dei tifosi, come se si volesse cancellare quella parte di società che, dicono, crea solo problemi. Per un fan il rapporto con il club è come un matrimonio, lo si segue anno dopo anno, indipendentemente dagli acquisti e dai risultati, sempre con la stessa passione, spendendo anche cifre consistenti per seguire la squadra o comprarsi la maglia ogni anno. Per i club i tifosi stanno diventando solo una fonte di guadagno, non vengono rispettati, è questo è sbagliato perché il club non può prescindere dal rapporto con i tifosi, non può fare a meno della loro devozione".

Impossibile passare una giornata con Cass Pennant e non parlare della tessera del tifoso, argomento che anima il dibattito delle curve italiane nell'ultimo anno e che in questi giorni, all'apertura della campagna abbonamenti, sta diventando sempre più "sentito". "La tessera del tifoso, così come è pensata, è più uno strumento di controllo che di sicurezza, un ulteriore modo di allontanare la gente dagli stadi. Anche in Inghilterra qualche tempo fa era stata proposta una cosa del genere - racconta Pennant - ma i tifosi inglesi sono riusciti a fermarla. Io vi invito a fare altrettanto. Come? Unendosi, facendo rete in maniera intelligente, studiando un'azione comune da portare avanti per protestare contro questo provvedimento. In questo modo si può fare pressione sulla classe politica per poter cambiare il corso delle leggi. Io credo che anche i club torneranno a comprendere l'importanza di un tifo passionale e incondizionato per la propria squadra".

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