UNDICI tocchi. Sono quelli che servono a Maradona per segnare quello che è passato alla storia come il gol più bello del secolo. Il numero dieci che parte da dietro la metà campo, dribbla mezza difesa avversaria, portiere compreso, e mette la palla in rete per la doppietta che permette all'Argentina di battere l'Inghilterra, qualificarsi alle semifinali e vincere il mondiale di Messico '86. Undici tocchi sono anche i capitoli del fumetto di Paolo Castaldi "Diego Armando Maradona" (Becco Giallo. Sommacampagna - VR, 2012. pp. 208. € 15). Undici capitoli per altrettante storie legate alla vita del "pibe de oro", dai campi polverosi di Villa Fiorito, il sobborgo di Buenos Aires dove imparò a dare i primi calci al pallone al trionfo in nazionale. Non solo. Castaldi non si accontenta di disegnare la cronaca della vita e delle imprese sportive di Maradona ma gira intorno alla storia del campione che tutti conoscono per osservarlo da punti di vista insoliti.
Ecco allora che la partita Juventus-Napoli del 1986, vinta da Diego e compagni per 3-1 viene vissuta attraverso gli occhi di Francesco Coppola, napoletano emigrato in cerca di lavoro a Casale Monferrato, operaio della Eternit, affetto da asbestosi, malattia provocata dall'inalazione di fibre di amianto. La rimonta e la vittoria degli azzurri non vale solo lo scudetto ma è la rivincita della gente del sud, degli operai sulla squadra dei padroni. In un altro episodio (un altro tocco) viene raccontata una partita di beneficenza giocata da Maradona insieme ai ragazzi di una squadra locale in un campo fangoso della periferia di Napoli. Stavolta a parlare è Carmine Gianfelice, difensore centrale incaricato di marcare Diego, il suo idolo. Un'occasione - scrive Castoldi - per raccontare una storia ambientata ad Acerra ma dove "nessun uomo era stato ammazzato, nessun camorrista arrestato, nessun ragazzino malmenato".
Tra gli undici tocchi compare perfino dio. Dio in persona, o come lo chiama Maradona "il barba" che, dietro una porta dello spogliatoio, prima della storica partita con l'Inghilterra, chiacchiera col numero dieci dell'albiceleste davanti a un bicchiere di vino. Ecco spiegata (e giustificata) la "mano de dios", il famoso colpo di mano con cui Diego portò il risultato sull'uno a zero prima di raddoppiare col "gol del secolo". Un tocco di mano che valse la qualificazione ma che, soprattutto, permise all'Argentina di battere gli inglesi dopo appena quattro anni dalla guerra delle Falkland. "Un tocco di mano - si legge - ma nella mia anima sento che è stato un tocco della giustizia. Una splendida giocata!".
Insomma, un santino (un po' retorico) del "più grande calciatore della storia" che "è andato oltre il calcio", che "è stato per prima cosa un uomo", "che ha preso un semplice pallone e lo ha trasformato nel riscatto di una città intera [...], in un moto rivoluzionario che ci dice di lottare [...] a fianco di chi è più debole"? C'è anche dell'altro, quando si accenna alla cocaina e al doping, e due pagine interamente nere ricordano che "pure un re a volte può cadere". Eppure il libro, con i suoi disegni a matita colorati d'azzurro, resta un atto di amore incondizionato. Resta la devozione religiosa di fronte al genio che "ha preso un pallone e lo ha trasformato in poesia" e a cui si perdona tutto perché, come disse lo stesso Maradona, "il pallone non si sporca. Mai".