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Figlio, se tu lo hai sognato, io l'ho vissuto

Uno sguardo sul mondo calcistico e favoloso di Osvaldo Soriano, rilfettendo sulla condizione dell'uomo come essere pensante che poggia su piedi fatti per molto più che il semplice camminare.

La copertina di 'Pensare con i piedi'

 

Osvaldo Soriano
Pensare con i piedi

Einaudi
Torino, 1997
216 pagine
€ 10,50

 

 

 

 

 

 

 

di Francesco Frisari

 

Diceva Gianni Brera che il rischio, nello scrivere di sport, è che insieme ai muscoli si gonfino le parole. Osvaldo Soriano, forse uno degli "scrittori di calcio" più famosi e letti (vedi la raccolta "Fútbol"), questo rischio sembra non correrlo. Nelle sue pagine non c'è retorica che monta ma piuttosto uno strano sentimento, nostalgico e fantastico insieme, che avvolge le parole stesse, gli dà un loro verso schietto e diretto pur con tratti mitici e utopici, che riporta a palloni che rotolano, a un veloce gioco di gambe come ai sogni dei ragazzini appena entrati
in area di rigore.

Già il bel titolo della sua raccolta di racconti "Pensare con i piedi" dice parecchio al riguardo. Per trovarne una sorta di bizzarro antecedente - che di certo farebbe piacere al figlio di Butch Cassidy, William Brett-Cassidy, arbitro-pistolero di un mondiale dimenticato che al posto dei cartellini propina passi dell'Etica di Spinoza (ci torneremo) - si potrebbe pensare al filosofo Feuerbach che criticava il maestro Hegel perché aveva poggiato l'uomo sulla testa, spingendolo invece a rimetterlo sui suoi piedi e alle sue condizioni materiali. E i piedi di Soriano sono quelli di un autore che nella prima parte della raccolta, la più viva e sentita, si rimette sui propri passi, verso la materia fondante del ricordo, tornando all'infanzia nell'estrema e sperduta provincia argentina, vissuta seguendo il padre impiegato ministeriale, così come ai primi calci nei campetti polverosi di deserto, a cercare fortuna, vittorie e ragazze. Qui un buon ingegno e una discreta struttura del racconto - sì, insomma, c'è anche abbastanza testa nei piedi - si mischiano con il gusto e la sincerità, seppur con qualche finta e posa da scrittore gaucho, di una conversazione da bar di altri tempi e della voce un poco triste ma ormai cresciuta di un figlio che ricorda il padre scomparso, e forse nella distanza finalmente compreso e amato. È l'Argentina di Perón, il generale che ogni Epifania fa un regalo a mezzo posta ai bambini, che premia di persona i giovani vincitori della Copa Infantil Evita, fra cui un affascinato piccolo Soriano, cannoniere della squadra, mentre il padre, burbero e tenace, strepita contro questo potere sornione che lo minaccia e che invece il figlio, bambino, non disdegna. Ma il figlio cresce, fra zuffe, primi amori, allenatori scaltri o folli, ceffi da aerea di rigore e prostitute da romanzo - ogni tanto lo stereotipo, nel panorama umano e letterario sudamericano, è a portata di aggettivo, ma nel Soriano della memoria anche i "tipi" hanno un'anima, una su tutti Geneviève - e riesce a guardare il padre con affetto e genuina sorpresa. Il padre appunto: questo inventore e viaggiatore che fa l'ispettore generale delle acque e prova diligentemente quanto inutilmente a sanzionarne sprechi e abusi, che lo vuole meccanico o ingegnere e si ritrova e accetta un figlio calciatore, addirittura scrittore, che dopo l'infatuazione peronista scavalca a sinistra l'opposizione paterna al peronismo - il padre era yrigoenista, dal bellissimo nome di un ex presidente liberale e progressista - e si avvicina a rojos e anarcos. In tutta questa prima parte il calcio è un tenero e vissuto contrappunto di questo incontro con i sogni, delusi, del padre e la sua crescita da bambino a ragazzo, un calcio delle origini e dell'origine, di un'Argentina desolata, ruvida e tenera insieme.

La seconda parte della raccolta, per rimanere alle immagini calcistiche, è invece una fantasiosa mischia, un fallo di confusione, non più sul campetto di perdenti e poveracci ma sul piano più grande, e in ipotesi nobile, della storia. Soriano decide infatti di riscrivere la storia, anzi Un'altra storia, dell'indipendenza dell'Argentina dalla dominazione spagnola. Torna indietro ai primi dell'Ottocento e qui la nostalgia del ricordo e dell'origine della prima parte diventa la fantasia della propria fondazione, mitica qui in ogni senso, e allo stesso tempo molto umana. Dalla mischia e riffa di nomi, fatti ed eventi, invenzioni e realtà che Soriano tratteggia, esce, palla al piede, di fantasia e malinconia, la storia del comandante Belgramo, delle sue sconfitte e gioie e dei suoi amori impossibili, e il romanzo d'appendice diventa così storia patria.

La terza parte, che porta lo stesso nome del libro, è quella più propriamente calcistica, con sprazzi ancora di calcio delle origini e dell'infanzia, ma soprattutto dedicata a un calcio altro, fantastico e immaginato, un calcio compiutamente mitico perché sognato e ironico. Da Il rigore più lungo del mondo, interrotto per una zuffa fra le due miserabili squadre che pure si giocano il prestigio e la coppa della Valle e battuto dopo una settimana di vicende tragicomiche e surreali fino alle storie del mondiale "dimenticato" del 1942 - c'era la guerra - in Patagonia, in cui gli indios mapuches, in una partita senza regole, porte e un campo preciso sconfissero la Germania nazista, sotto gli occhi stralunati e ignari di calcio, ma non di pistolettate e filosofia, dell'arbitro Brett Cassidy, figlio di Butch.

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