LA PRIMA mossa è quella di raccontare un delitto, o almeno una situazione che gli assomiglia molto. Estoril. Domenica, 24 marzo 1946. In una stanza del piccolo Hotel Inglaterra viene trovato un uomo morto, "sprofondato in una poltrona". In mano lo straniero, che si scoprirà registrato con il nome di Aleksandr Aljechin, nato in Russia ma con cittadinanza francese, stringe un astuccio di legno mentre tutto intorno a lui e "sul letto disfatto, si contavano disordinatamente i pezzi di una scacchiera".
"Nella fase d'apertura sono necessari metodo e attenzione. Fin dalle prime mosse può delinearsi l'intera struttura della partita". Questo è uno dei consigli che José Raul Capablanca - scacchista cubano nato a L'Avana nel 1888 e morto a New York nel 1942, campione del mondo di scacchi dal 1921 al 1927 - impartisce nel suo manuale "Il primo libro degli scacchi" (Mursia. Milano, 1998. € 16,00 - pp. 190). Sembra avere seguito alla lettera questa lezione lo scrittore Fabio Stassi per l'apertura di "La rivincita di Capablanca" (minimum fax. Roma, 2008. € 11,50 - pp. 203), romanzo in cui viene narrata - senza obblighi di fedeltà al reale - la storia del campione cubano e della sua rivalità con l'amico russo (noto per essere fuggito dalla rivoluzione d'ottobre per unirsi poi alla causa nazista).
"Ordine e metodo si riveleranno essenziali per progredire", spiega ancora Capablanca nel suo manuale. E infatti dopo questo attacco il romanzo di Stassi torna indietro nel tempo - a Rio Preto. Martedì, 11 marzo 1941 - all'inizio di una partita con uno sfidante americano durante la quale i ricordi di una vita torneranno ad affollare la mente del campione. Nei 62 capitoli che seguono si sviluppa il racconto dall'infanzia cubana che segna la scoperta della passione per gli scacchi all'affermazione internazionale, dalle avventure amorose alla nascita dell'amicizia con Aljechin, dalla scoperta della malattia all'incontro fondamentale e salvifico con una donna. La partita sta per chiudersi ma, prima che Capablanca riesca a giocare l'ultima mossa, quella vincente, la mano viene bloccata da un ictus.
"Nei finali, dopo che le donne sono state cambiate e rimangono solo uno o due pezzi minori insieme ai pedoni, portate il Re al centro della scacchiera". Il "re", il protagonista di questo romanzo, nel finale a sorpresa invece svanisce. Al suo posto ritroviamo un minuscolo giocatore di scacchi alle prime armi che dal maestro cubano ha imparato a memoria una partita. È quella con cui ci si dovrà rigiocare una rivincita, quella mai concessa da Aljechin a Capablanca dopo la vittoria del russo, nel 1927 a Buenos Aires, in una partita lunghissima che contò alla fine 6 vittorie per Aljechin, 3 per Capablanca e 25 patte. È con questa partita che si chiude l'ultimo capitolo del romanzo di Stassi, il numero 64, come le case che compongono una scacchiera.
L'autore, nella nota in calce al testo, afferma di avere scelto questa struttura: "Forse perché per me i romanzi hanno più a che fare con la geometria e la matematica degli scacchi che con quella cosa indefinibile e sfuggente che chiamiamo letteratura. Sono un duello di aperture e di finali, e strategie segrete, e sacrifici di pezzi". Confrontando il gioco, la letteratura e la vita, e i principi cui tutte queste cose rispondono, sembrerebbe giusto rispondere a Stassi ancora una volta con un insegnamento di Capablanca, derivato da una disquisizione sulla scuola scacchistica "ipermoderna": "Non sono cambiati tuttavia i principi strategici. I principi strategici fondamentali sono infatti immutabili, benché le modalità della loro applicazione possano non essere sempre le stesse".