Comitato Regionale

Emilia-Romagna

Il lavoro psicologico nelle tendopoli

Intervista ad Alice Bragagni, psicologa dell'Asl Ferrara attiva nel campo di Cento. Qui con un lavoro di rete tra servizi territoriali e sociali si punta a garantire consulenza continuativa

La tendopoli sul campo di atletica di Cento - Foto di Matteo Angelinidi Vittorio Martone

 

leggi il reportage "Un terremoto nello sport" nell'ultimo numero di Fuori Area


FERRARA - Via dei Bersaglieri a Cento è la strada attorno alla quale si sviluppa l'area sportiva del comune della provincia ferrarese. Di fronte alla piscina, gestita dalla società Uisp Acqua Time di Davide Gilli, che dopo il terremoto del 20 maggio ha subito danni al tetto che ora necessita di essere rifatto, c'è il campo di atletica. In questo spazio il comitato Uisp di Ferrara svolgeva principalmente attività di atletica e cricket, disciplina molto in voga visto l'elevato tasso di migranti dal sud-est asiatico presenti in zona. Migranti che costituiscono anche l'80 per cento degli occupanti della tendopoli che la Protezione Civile ha allestito proprio sopra il campo di atletica. Qui incontriamo per la prima volta Alice Bragagni, psicologa dell'Asl di Ferrara che opera da volontaria all'interno della tendopoli nell'ambito di una rete operativa che coinvolge i servizi territoriali dell'Asl e i servizi sociali. Con lei abbiamo poi parlato per capire come opera uno psicologo all'interno di una tendopoli e quali esigenze si presentano tra gli occupanti del campo.

Alice, negli incontri con le persone che hai finora svolto nel campo, quali sono i principali disturbi e sintomatologie che hai riscontrato?
"In prevalenza ho visto mamme che chiedevano una consulenza psicologica per i loro bambini, per capire se si stavano comportando in modo giusto con loro e cosa fare per aiutarli a superare questo momento. Ho visto poi adulti che chiedevano rassicurazioni per capire se le cose che provano e avvertono sono normali. Tra gli adulti si riscontrano soprattutto disturbi di intensa paura, panico, ansia, difficoltà nel sonno, stato di allerta costante, difficoltà di concentrazione e senso di confusione e disorientamento, difficoltà o rifiuto a entrare nelle abitazioni e sul luogo di lavoro, inappetenza. Un malessere generalizzato quindi. Tra i bambini invece carenza di sonno, agitazione, irritabilità, iperattività, necessità di mantenere la vicinanza e il contatto corporeo con i genitori".

In che modo le persone raggiungono il tuo "studio", che è collocato all'interno della tenda dell'infermeria?
"In prevalenza sono loro che vengono a cercare me. Nelle prime settimane ero presente al campo tutti i giorni, mattina e pomeriggio, sabato e domenica compresi. Questa presenza costante e continuativa serviva proprio a garantire un intervento tempestivo in caso di bisogno. Adesso c'è anche un altro gruppo di psicologi che ha iniziato l'attività nel campo, per sviluppare gruppo di sostegno psicologico differenziati per fasce d'età. I volontari della Protezione Civile mi hanno sempre aiutato a organizzare le condizioni logistiche per il mio intervento".

Come si gestisce un "setting" in un contesto come quello della tendopoli?
"Le persone hanno un gran bisogno di sfogarsi e di parlare. Ovviamente il setting cambia, siamo all'interno di un tendone del presidio sanitario in cui spesso può capitare anche che i volontari debbano entrare per prendere del materiale. Nonostante questo sono sempre riuscita a gestire bene gli spazi proprio grazie alla loro collaborazione. Ci vogliono quindi flessibilità ed elasticità. Tutto è molto differente rispetto all'approccio in ambulatorio. Tutto è finalizzato a cercare di rassicurare e non ti trovi a lavorare con persone che hanno determinate psicopatologie ma con persone comuni che all'improvviso si trovano a dover gestire le conseguenze di eventi destabilizzanti".

Quali sono i principali obiettivi del vostro intervento?
"Favorire lo sviluppo di modalità e strategie per fronteggiare lo stress. Noi facciamo interventi per contenere l'ansia, esprimere i propri disturbi emotivi, esternarli, dar loro nome. Si tratta quindi di un approccio finalizzato alla rassicurazione e alla normalizzazione, per aiutare le persone a riprendere il controllo della propria vita".

Credi che la proposta di attività ludico-motoria all'interno dei campi possa dare un contributo in tal senso?
"L'attività fisica e ricreativa, ovviamente calibrata, ha già normalmente una ricaduta positiva rispetto allo stato psicofisico delle persone. A maggior ragione in queste circostanze può avere grande utilità".

Con che frequenza le persone che hai incontrato tornano a richiedere un consulto?
"È difficile fare delle generalizzazioni. Per alcuni si chiude con una sola consulenza mentre per altri ci sono nuovi colloqui. Se poi si presentano necessità di intervento continuativo le persone che fanno richiesta vengono inviate ai servizi sul territorio, attraverso quello che è proprio un lavoro di rete".

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