di Vittorio Martone
BOLOGNA - Quarant'anni, un'esperienza nella Uisp che risale al 2006 come "uomo delle classifiche" nell'attività di comunicazione dell'allora Lega Ciclismo Uisp Ferrara. Da allora tanti passi nella politica e nell'associazione dello sportpertutti, come membro del direttivo estense prima, fino all'elezione nel 2008 nel consiglio Uisp Emilia-Romagna, per poi diventare consigliere del Comune di Ferrara prima e presidente della Uisp Ferrara poi, chiudendo questo iter con la presidenza del consiglio della Uisp Emilia-Romagna. Questo il profilo di Enrico Balestra, che dopo queste esperienze si candida alla presidenza della Uisp regionale, in vista del congresso in programma (rigorosamente online) domenica 14 febbraio dalle 9 alle 13,45. Con lui, a pochi giorni dall'appuntamento che lo vedrà investito di questa nuova responsabilità, un'intervista per analizzare il contesto problematico in cui si troverà a operare e le prospettive future.
Aprendo il tuo programma elettorale parti da una riflessione sulla necessità di andare oltre il semplice "cambiare forma mantenendo la propria natura". Cosa intendi con questo spunto?
"La parola chiave per me è sicuramente evoluzione. Lo scenario relativo a questo momento storico ci consegna la necessità di affrontare un processo di questo tipo, sicuramente in ritardo rispetto ai bisogni reali della società, che erano peraltro preesistenti rispetto alla pandemia. Anche nel percorso formativo di Semi-in-aria (svoltosi nel febbraio 2020, N.d.R.) era ricorrente la consapevolezza del bisogno di certe scelte, che ci permettessero di adeguare ai tempi il nostro modello, peraltro inserito in un più ampio modello sportivo, quello italiano, già di per sé non più adatto alla società in cui viviamo. Adeguatezza e adattamento, quindi, sono concetti chiave, noti a chi vive nel mondo sportivo e sa che spesso non vincono le squadre più forti, ma quelle che riescono ad adeguarsi al contesto. Noi abbiamo orgoglio per ciò che Uisp rappresenta, per la sua storia, ma serve un'evoluzione che non ci lasci bloccati nelle paludi del mondo sportivo che ancora non riesce a modernizzarsi. A maggior ragione adesso".
Parli anche della necessità di essere attori, anche protagonisti, del nuovo welfare. In che modo credi che questo possa realizzarsi?
"L'esperienza dei nostri comitati e del regionale ci consegna una frattura. In Emilia-Romagna, una delle regioni più avanzate, il tema della coprogettazione è culturalmente affermato. E la Uisp rappresenta un punto di riferimento per le istituzioni. Abbiamo costruito ed ereditiamo un modello che si potrebbe esportare. Ma se ragioniamo sulla pandemia - e l'abbiamo visto nei ristori e nelle chiusure - il mondo sportivo ha subito una sconfitta epocale. Si è dimostrato che l'interesse è incentrato sul capire come gli eventi tornano a offrire spettacoli al pubblico, mentre il preminentne interesse nazionale sarebbe stato quello di difendere il movimento delle persone. Penso alle polemiche sui runner all'inizio del lockdown: quella polemica racconta che il diritto a correre è criminalizzato, mentre la passeggiata del cane è ammessa, non riconoscendo quindi l'attività motoria e sportiva di una persona come una necessità. Il tutto mette in evidenza una sconfitta totale. E questo si è visto anche nella fase delle riforme promosse dal Ministero dello Sport, con un Parlamento in difficoltà nel riconoscere un sistema sportivo diverso. E però riconoscere questa sconfitta vuol dire per noi ripartire dalle esperienze territoriali, che hanno rappresentato un principio di riscossa colto solo in parte".
A cosa ti riferisci con questa riscossa parziale?
"Intendo dire che se avessimo avuto la prontezza di adattare la nostra proposta sportiva, parlando ai cittadini, non solo agli sportivi di base, forse avremmo tutelato ancora di più la popolazione. Questa è una delle capacità che devono stare nel nostro percorso di evoluzione".
Un'evoluzione che necessita però di adeguata formazione. Temi che il quadro, anche economico, determinato dalla pandemia, possa portare a una contrazione di questo settore?
"Lo temo, perché nei momenti di crisi fai fatica a trovare le risorse. Penso però che il punto di partenza sia la consapevolezza della propria adeguatezza o meno al concetto di evoluzione, da cui far innescare un processo dinamico. Processo che in seconda battuta deve portare a una battaglia culturale, che va fatta dentro e fuori della Uisp. Noi siamo un'associazione che vanta un fare democratico. Una democraticità da cui derivano lungaggini (che sono ben accette se in cambio c'è la piena rappresentanza di ogni istanza) senza che però siano compensate da reale vivacità associativa. E sul fronte invece delle nostre strutture aziendali, abbiamo un altro problema opposto: essere attraenti e attrattivi senza dinamiche di coinvolgimento che ti permettano di trattenere le risorse umane migliori. Partire da un'analisi onesta anche di queste dinamiche è la precondizione per cercare risposte condivise. Io ho delle mie idee, frutto di un confronto fatto anche con un gruppo dirigente che ha condiviso con me questo percorso di candidatura. Adesso ci sarà da lavorare perché questo diventi terreno di un impegno collettivo".
Nel tuo programma parli anche di nuova centralità delle periferie, riflettendo su una diversa strutturazione dell'offerta sportiva. Cosa immagini nello specifico?
"La consapevolezza è che nelle aree urbane lo sport si sta affermando come un segmento di mercato, legato al benessere, in cui il nostro modello rischia di essere più fragile. Bologna e Reggio Emilia rappresentano realtà in cui siamo significativamente presenti anche nei centri urbani. Ma la domanda di Uisp sarà sempre più forte nelle periferie. Abbiamo quindi un segmento di attività complicato, ignorato dal mercato perché non conveniente, ma nel quale si gioca un pezzo del welfare. Laddove non arriva il mercato ci dovrebbe arrivare l'ente pubblico, sostenendo attori strategici come siamo noi. E questa riflessione peraltro deve tenere conto di come cambieranno ulteriormente le cose dopo la pandemia. Altra cosa sul tema delle periferie: noi siamo abituati a contarci sulla base del numero di tessere, sulla consistenza organizzativa. Però in realtà la nostra dimensione è legata anche a una tradizione territoriale e politica. Essere dirigente sul fronte di una periferia può essere più probante e difficile, specie se quella periferia ha una Uisp locale con minore tradizione. Per me è centrale scegliere cosa misurare, andando a individuare le competenze e dando loro modo di diffondersi. Ho vissuto in Emilia-Romagna l'esperienza del dirigente Uisp, consapevole di quanto lo stesso ruolo potesse essere difficile fuori confine. Ora vorrei valorizzare le esperienze migliori, anche se minoritarie. Per smettere anche di giocare la partita dello sport sociale in difesa, confrontandoci anche con un declino dell'entusiasmo nel campo associativo".
Parlando di crisi e di entusiasmi calanti, ritieni che questa situazione possa portare ogni periferia ed ogni territorio a chiudersi maggiormente in sé e nella difesa dei propri interessi, anche in ambito Uisp?
"La frustrazione accumulata rischia di tramutarsi anche dalle nostre parti in campanilismi. Questo è un timore di cui avere consapevolezza e che dobbiamo affrontare. Che vinca un egoismo o una lacerazione è un rischio. Serve un progetto politico che riesca a giustificare l'unità con progetti credibili, accettando l'interesse del singolo e dimostrando come un progetto comune può portare nel tempo cose positive e moltiplicatori per tutti. Chi ha il lusso di fermarsi a ragionare ha modo di dimostrare l'importanza dell'unione. Noi dobbiamo ripartire da qui, da una rapida riflessione. La sfida non è solo organizzativa ma politica, paragonabile a quella su come tieni in piedi l'Europa".
Una sfida politica che riguarda proprio il concetto di sopravvivenza. Pensi che la Uisp sia pronta?
"Esattamente come capita all'Italia, credo che anche la Uisp, se potesse fare debito e non cambiare, probabilmente lo farebbe. Metaforicamente, noi ci dobbiamo pensare come un paziente di fronte al suo medico, che gli fa un'analisi impietosa del suo stato di salute, dicendogli che o cambia stili di vita o andrà incontro a un intervento invasivo con lunga riabilitazione o a rischi ancora più grandi. Con il terrore del paziente noi dobbiamo attivarci per un cambiamento radicale, che genererà anche sofferenza, ma che nel lungo termine ci garantirà la sopravvivenza. Dovremo affrontare le fatiche oggi per i benefici domani".
Sia per la tua esperienza, in Uisp e non solo, nel tuo programma c'è grande attenzione sul tema della comunicazione, in termini di relazione con il socio e come opportunità di crescita.
"I peggiori nemici che abbiamo in giro per il mondo - in termini di rischi anche per la vita democratica dei paesi - curano la profilazione delle persone, l'analisi del tempo che si trascorre su internet, delle piattaforme. Il ritardo che Uisp ha su questo terreno potrebbe essere incolmabile di fronte a un soggetto commerciale che volesse un giorno creare "la Amazon dello sport". Prima di arrenderci di fronte a quel rivale, noi oggi dobbiamo compiere passi - e molti - per gestire i vantaggi che gli strumenti digitali ci possono dare. E li dobbiamo fare rapidamente. Poi uno dei passaggi fondamentali è anche insegnare al nostro apparato un corretto utilizzo di questi strumenti, per davvero, anche per fare resistenza civile. Un pezzo della formazione deve riguardare come ti insegno ad essere alfabetizzato digitalmente".
Sempre sul piano dell'innovazione, hai parlato di Uisp come di un incubatore di imprese del Terzo Settore e del benessere. Puoi spiegare meglio questa tua visione?
"Parto dalla fotografia di casi già presenti, quelli di società sportive che vengono ad affiliarsi e sono dirette da giovani professionisti che hanno idee, le più svariate, dallo sport associato allo studio delle lingue alle palestre autoalimentate per consentire il risparmio energetico. Mondi ben lontani e diversi dalla semplice squadra di calcetto. Questo rivela il nostro essere attrattivi per chi vuole fare sperimentazione in ambito associativo per poi magari arrivare ad un ambito più di impresa. Tutte queste esperienze vanno da noi trattate come start-up, mettendole in condizione di diventare presto un'impresa, con la consapevolezza che quello dell'impresa non è il nostro ambito ma che, sulla base del cammino iniziale fatto insieme, può rimanere alla Uisp un capitale di idee e di coprogettazione da spendere nelle relazioni con la Pubblica Amministrazione".
E torniamo allora alle istituzioni pubbliche, in chiusura. Il rapporto con la Regione Emilia-Romagna che erediti è fatto di fiducia, credibilità, prossimità. Come immagini lo sviluppo di questa relazione?
"L'Emilia-Romagna ha rappresentato nella storia di questo paese un modello. Se l'Emilia-Romagna è così, la Uisp è dentro questo modello con mani, testa e piedi. Veniamo da una lunga relazione che in questi anni è anche maturata. Molti temi sulla trasversalità delle politiche siamo riusciti ad affermarli. Come ad esempio con le linee guida stilate da noi sui campi estivi e accolte dalla Regione. Idem per gli eventi sportivi sostenibili e senza dimenticare il tema dei diritti di genere e l'inclusione. Tutti contesti che rivelano la nostra presenza con vitalità nel Terzo Settore. Sul fronte istituzionale, continueremo con questa contaminazione e trasmissione di saperi, consapevoli che le istituzioni devono mantenere competenze interne per un ruolo di controllo a supporto della coprogettazione e sussidiarietà, senza sostituzioni di sorta".