Comitato Regionale

Emilia-Romagna

La forza e la violenza. Doppia natura, un'unica storia

Recensione al film "A history of violence" di David Cronenberg.

La locandina del film 'A history of violence'di Francesco Frisari

(da Area Uisp n. 12)


Ci sono differenze importanti nella vita delle parole, che sono differenze della vita di pensieri, opere, azioni ed emozioni e tutto ciò che è la vita degli esseri umani - li conoscete? io a volte non lo so proprio. In particolare c'è una differenza che ci mette dinanzi agli occhi l'abate Dinouart, che in un suo trattatello dedicato a L'arte di tacere insiste sulla differenza fra (il parlare) molto e troppo, differenza ovvia quanto lo è saper usare questi due avverbi, ma che serve ogni tanto recuperare. Ci permette infatti di pensare il rapporto fra forza e violenza,
fra la molta energia, il vigore fi sico e mentale, le capacità e doti umane che, anche nella loro condivisione e unione - la forza lavoro - ci permettono di resistere o avanzare, di giocare senza scopo così come di raggiungere degli obiettivi - Will Eisner chiamava tutto ciò in un suo bel fumetto sugli anni della Grande Depressione La forza della vita - e un utilizzo di queste stesse caratteristiche come forma di sopraffazione, coercizione e aggressione della vita e del pensiero proprio e altrui. La violenza è il troppo, l'eccesso di quantità e qualità, di appropriatezza e di fi ni, della forza stessa - in molti, troppi casi le forze armate, come riportano le cronache, ricorrono ad "un uso eccessivo della forza" che nasconde anche scopi eccessivi. In tali casi esse perdono dunque di legittimità e con un effetto verità diventano violenze armate.

La rappresentazione, la messa in scena e in parola di un tale eccesso è complessa, non si tratta di rappresentare molto, né troppo, ma il troppo stesso di un qualcosa che è molto umano, che precede addirittura il molto, e che insieme vorremmo esserci estraneo. David Cronenberg, regista concentrato da anni su corpi e pulsioni, ci riesce nel suo "A History of Violence", un fi lm del 2005 che racconta di Tom, un uomo ritiratosi in una quieta e docile America rurale, tutto lavoro e famiglia, fi nché l'imbattersi in due ladri e assassini spietati non ne rivela la natura e la storia. Sotto le loro efferate e insensate minacce - perché uccidere una donna se l'obiettivo è solo una rapina di pochi spiccioli? Solo per spaventare gli altri presenti o perché la violenza di un furto non può che richiamare altra violenza? - reagisce infatti con grande prontezza e forza d'animo quanto fi sica, li uccide così nel suo diner con destrezza e semplicità, con qualche schizzo di splatter (e annessa inquadratura) e una sorprendente freddezza, per diventare eroe locale e nazionale celebrato dai media. Tale improvvisa notorietà porta nel paesino il suo passato sotto l'aspetto di un mafi oso sfi gurato e annessi sgherri, che hanno riconosciuto nell'uomo un vecchio rivale, un certo Joey di Philadelphia che, per quanto Tom provi a negare di essere, sembra ripresentarsi e riaffi orare suo malgrado, contagiando il suo ambiente quanto l'arrivo della mafia. Cronenberg ci mostra infatti come in tale estrema condizione di paura e presentimento della tragedia, la forza riveli la sua condizione originaria di violenza nei corpi stessi, nel fi glio quindicenne che se prima rispondeva con ironia e sagacia verbale alle prevaricazione del bullo locale viene ora travolto dalla propria rabbia, dalle proprie mandibole che digrignano e dal respiro affannato, per scoprirsi capace di colpire con foga e furia. Così come nel sesso disperante, scabrosamente vero fra Tom che si rivela Joey e la moglie Edie (Maria Bello), un diverbio e aggressione che traboccano in attrazione, un incontro mancato però, poiché Tom è ancora in mezzo ad una transizione - la scena avviene sulle scale, staccatisi con freddezza i corpi la moglie sale e lui rimane accasciato, incapace di seguirla - ancora perso fra il sé che ha cercato di essere, il cambiamento e la moralità che ha voluto e la sua storia di violenza. Tom deve allora ritornare Joey - portando a compimento il processo scaturito dal primo omicidio nel diner, da quelle azioni così naturali e forti - e accettare la propria condizione per commettere tutti gli altri omicidi, ancor più necessari, per salvare moglie e fi gli dalle minacce del boss e se stesso dalla propria storia. A differenza da paese e famiglia che ne vengono perturbati, Tom/Joey abbraccia la propria violenza in modo lucido, freddo - ha tratti e occhi nordici di Viggo Mortensen - come un angelo sterminatore che deve recuperarsi dalla e alla dimensione del troppo agendo senza emozione. "Eri sempre il più matto" gli ricorda il fratello criminale rievocando i crimini passati: ebbene ora questa follia sembra avere un fi ne come la sopravvivenza della sua famiglia, adoperando la forza che è anche tremenda violenza, cercando un cambiamento là dove si era perso e in ciò che non può più negare. Solo così ci sarà la possibilità del ritorno a casa di Tom che è anche Joey, che ha vissuto e ucciso più volte, in un incontro nuovo di forza e violenza, dove il molto si è ritrovato nel troppo, dove l'uomo si è scoperto animale quanto angelo, padre-marito quanto killer, e seguendo la sottile linea fra queste due nature può sedersi di nuovo al desco familiare non come il ritorno dell'eroe, ma come quello dell'uomo, sconfi tto tanto quanto vincitore.

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