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Emilia-Romagna

Le mafie nel pallone. Recensione al libro di Daniele Poto

Il giornalista, collaboratore di Libera, indaga il rapporto tra la criminalità organizzata e "il gioco più bello del mondo"

di Vittorio Martone


BOLOGNA - Che le luci eccessive di troppi riflettori abbaglino, piuttosto che rendere la visione più chiara, è un vecchio adagio spesso utile da ricordare. Ed è proprio dai luccicanti e abbaglianti palcoscenici del calcio italiano di serie A che muove i passi la ricerca di Daniele Poto e del suo libro "Le mafie nel pallone. Storia dell'illegalità diffusa nel gioco più truccato del mondo" [edizioni Gruppo Abele. Torino 2010. pp. 243 - € 14,00]. L'approccio all'indagine sul "gioco più bello del mondo" e sui suoi intrecci con la criminalità organizzata rompe da subito un muro, squarcia l'abbaglio, partendo dal presupposto provato che proprio lo scintillante mondo del calcio professionistico italiano e mondiale sia uno spazio di grande interesse per le mafie. E infatti Gianni Mura, nella sua prefazione al testo, scrive e sottolinea: "Una cosa è innegabile: dove c'è un pallone, uno stadio, una squadra di calcio ci sono soldi. Molti, moltissimi soldi. Ma il pallone è anche strumento di consenso e di potere. Basterebbe una sola di queste tre presenze per attirare le mafie, come il miele attira le mosche".

Squarciato l'abbaglio, il viaggio di Poto si sviluppa per strade che di volta in volta si addentrano sempre più nelle periferie, negli scantinati e nei seminterrati del calcio italiano. Terre come la Campania con i club in mano ai casalesi, la Calabria con il Crotone nel mirino della 'ndrangheta, la Sicilia e il Palermo nelle trame di Cosa Nostra e l'ex isola felice lucana con il caso del Potenza calcio: luoghi dove l'infiltrazione appare ormai una realtà inevitabile. Lì dove più numerosi sono i coni d'ombra dentro cui nascondersi, lì si scoprono stretti legami tra criminalità organizzata e sistema calcistico, legami che costituiscono l'ampia e insospettata base dei grandi scandali che periodicamente affollano le pagine dei quotidiani quando intaccano la superficie del più alto professionismo. In questo sottobosco l'autore si muove descrivendo i casi con dovizia di particolari e testimonianze, ricucendo le reti di un "sistema" che, nella ricerca del consenso, del potere e del danaro, sfacciatamente non tiene in conto la necessità di nascondersi neanche nelle più piccole realtà dove "tutti sanno tutto di tutti".

Dopo questo viaggio l'autore si concentra sulle altre storie di calcio e di mafie, "storie dimenticate" che vengono da tutta Europa e dal mondo e che lasciano il segno nel mostrare come il "modello" italiano non sia unico e isolato. E dopo questa visione in profondità che si allarga poi ad ampio raggio sul sistema mondiale, il viaggio di Daniele Poto non può che approdare a un'analisi conclusiva del rapporto del calcio con le droghe (e la cocaina in particolare), affidato alla penna di Sandro Donati, autore con Libera del dossier "Coca nera" sui dati reali di produzione e sequestro di cocaina nel mondo. Un rapporto che arriva al coinvolgimento delle più alte sfere del calcio non solo nel consumo ma addirittura nel narcotraffico, come mostrano i casi della Liga spagnola e i sospetti sulla Premier League inglese, e che pure sembra troppo spesso essere ridimensionato da dirigenti e media dello sport. "Che le istituzioni sportive - scrive Donati - non abbiano alcuna capacità o voglia di ridimensionare il problema del doping nello sport è ormai chiaro da tempo, ma che assistano passivamente alla crescente criminalizzazione del calcio questo è davvero troppo".

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