Comitato Regionale

Emilia-Romagna

Lo sport al tavolo della riforma

Per storia, soggetti coinvolti e leggi il mondo dello sport italiano rappresenta uno scenario complesso. Ne hanno discusso insieme Vincenzo Manco e William Reverberi, presidenti Uisp e Coni Emilia-Romagna

di Vittorio Martone e Fabrizio Pompei

dal numero 3 di Fuori Area (novembre 2012)

 

William Reverberi e Vincenzo Manco, presidenti Coni e Uisp dell'Emilia-RomagnaBOLOGNA - Dall'unità d'Italia ad oggi la Repubblica ha avuto solo due volte un ministero dello sport: dal 2006 al 2008 durante il governo Prodi con il dicastero affidato a Giovanna Melandri; dal 2011 ad oggi con Piero Gnudi nel governo Monti. Questa non è l'unica ambiguità dello sport italiano. Lo Stato ne ha sempre delegato la gestione a un ente pubblico, il Coni con le sue federazioni. Basandosi sul modello del Comitato olimpico, spesso in aperta concorrenza, nel tempo sono nati numerosi enti di promozione sportiva (Eps). Ad oggi sono 16, con storia e orientamento ideologico diversi l'uno dall'altro. La Uisp, con un milione e 300 mila tesserati, 20 comitati regionali e 164 territoriali, è quello più strutturato. A complicare ulteriormente le cose è intervenuta la riforma del titolo V della Costituzione, che identifica lo sport, assieme ad altre materie, come competenza sia dello Stato che delle Regioni. Chiude il quadro una legge, la numero 91 del 23 marzo 1981, che non definisce rigorosamente il professionismo sportivo, determinando la necessità per molti atleti, anche olimpionici, di ricorrere ai corpi delle forze armate per vedersi garantito uno stipendio. La necessità di sedersi attorno a un tavolo per discutere di questi problemi e ipotizzare soluzioni è stata al centro del dibattito che abbiamo organizzato tra Vincenzo Manco e William Reverberi, rispettivamente presidenti della Uisp e del Coni Emilia-Romagna. Un'intervista che ha fatto emergere inaspettati punti in comune e l'esigenza di un disegno collettivo per rilanciare lo sport italiano.

Partiamo dal vostro giudizio sulle politiche dell'attuale ministero dello sport.
W.R. "Mi aspettavo qualcosa di più. Il ministero, pur senza portafoglio e in un particolare momento economico, non ha fornito una visione chiara di dove si vuole arrivare. Ci si è limitati a parlare delle risorse e dello sport nella scuola ma non si è speso in atti concreti per sostenere le società sportive, anche in materia di norme sul lavoro, e non sono state fornite linee guida da trasferite sul territorio. Quindi rimane da capire il futuro e creare un modello di sport che risponda alle esigenze delle giovani generazioni. Qui entra in gioco la politica. In questa regione c'è voluto un terremoto per pensare investire sugli impianti sportivi, che sono una questione primaria. E la politica c'entra pure per gli stanziamenti, per evitare che lo sport gravi solo sulle famiglie. Siamo quasi arrivati alla scadenza di questo governo: ora mi auguro che chi si candida presenti un documento con il proprio progetto sul mondo sportivo".
V.M. "Si deve ripartire dal tema dello sport di cittadinanza che va strutturato così: il governo con il suo ministero delinea le politiche pubbliche per lo sport e passa alle Regioni la programmazione sul territorio. Dentro questa prassi rientra il sistema sportivo attuale con il Coni, gli Eps, le federazioni e le società sportive. All'esperienza Melandri riconosco una volontà riformista sulle questioni sportive; a questo governo invece l'inaspettate scelta del ministero e la convocazione del Tangos (Tavolo nazionale per la governance nello sport, ndr), ma rimane l'assenza di una visione delle politiche pubbliche per lo sport. Proprio quando più che mai c'è bisogno di definire chiaramente lo sport olimpico e quello di cittadinanza. Il Coni in tal senso quest'anno ci ha dato un ulteriore strumento, Il Libro Bianco dello Sport Italiano, che riporta all'attenzione due dati: un ritorno nel nostro Paese al 40% di sedentari e la consapevolezza che il 75% dei costi dello sport grava solo sulle famiglie".

William Reverberi, presidente del Coni Emilia-RomagnaRimaniamo sul tema ministero. Con Prodi ci fu l'associazione di politiche giovanili e attività sportive; in questo governo invece si è associato lo sport al turismo. Come avete letto queste deleghe?
W.R. "Come decisioni che si riferiscono a un modello d'individuazione per aree tematiche che ha fatto il suo tempo. Questo governo si è posto l'obiettivo di superare la crisi, intervenendo anche sullo sport partendo da dove si può produrre ricchezza e ponendo al centro il rapporto con l'economia. Un discorso che Coni ed Eps hanno in mente da tempo. Ma l'economia e il legame con il turismo non devono essere il fulcro: lo sport va inteso come stile di vita alla luce di un orizzonte più ampio".
V.M. "Prendo ad esempio la legge 14/2008 della Regione Emilia-Romagna sulle politiche giovanili. In quel testo le società sportive vengono riconosciute come centri di aggregazione giovanile: lì è stato compreso che lo sport è non solo attività motoria ma anche strumento per creare comunità. Dalle ultime amministrative ereditiamo due esperienze: l'assessorato allo sport del comune di Milano che intreccia le deleghe sulla qualità della vita e il benessere; quello del comune di Napoli con l'associazione a giovani, pari opportunità e sanità. Il ministero di Gnudi sembrava legato alla potenziale ricaduta turistica delle Olimpiadi di Roma o alle Universiadi. Per quanto ci riguarda questi eventi non sono l'unico elemento degno d'attenzione".

In fatto di grandi eventi sportivi, come valutate le Olimpiadi di Londra e la mancata candidatura di Roma per quelle del 2020?
V.M. "Londra è un esempio positivo sulla certificazione della sostenibilità ambientale di un grande evento. Sulle criticità non voglio cadere nei luoghi comuni - Torino ad esempio ha beneficiato moltissimo delle Olimpiadi invernali - ma spesso tali investimenti non creano strutture fruibili dalla cittadinanza. L'altro elemento critico è il fatto che il medagliere resti ancora il principale strumento di valutazione della cultura sportiva del Paese".
W.R. "Da atipico presidente del Coni ero fra i pochi a insistere sull'idea che, con una situazione economica così difficile, il nostro ente avrebbe dovuto togliere al governo l'imbarazzo di dover decidere. O forse avrebbe avuto ancora più senso spostare nel tempo la candidatura. Concordo sui due filoni di valutazione delle Olimpiadi di Londra. A me è piaciuto l'ambiente generale così come la partecipazione alle Paralimpiadi. Il dato più forte è la caduta della barriera tra 'normodotati' e diversamente abili e mi auguro che a Rio si parli di Olimpiadi per tutti, senza distinzioni rispetto a chi è 'normale'. La questione del medagliere è tutta da affrontare".

Vincenzo Manco, presidente della Uisp Emilia-RomagnaParliamone. Finite le Olimpiadi il presidente del Coni Gianni Petrucci ha dichiarato: "Siamo nel G8 dello sport. Nella classifica della competitività (quella del 'World economic forum' di Davos, ndr) invece siamo al 42esimo posto [...]. Quello che fa l'Italia sono miracoli". Cosa vera, però dei 36 singoli atleti andati a medaglia, 29 appartengono ai corpi sportivi delle forze armate. Osservazioni?
W.R. "Dobbiamo innanzitutto identificare le discipline e gli atleti arrivati sul podio. Alcuni singoli hanno raccolto molti premi, altri erano già medagliati a Pechino. Quindi nel complesso il movimento non ha prodotto tante nuove eccellenze. Infine, è vero, la maggior parte dei premiati a Londra sta nelle forze armate. Anch'io trovo inusuale che per raggiungere il massimo livello si sia 'costretti' a svolgere attività in questi corpi e che non si riesca a mettere in condizione le nostre società sportive di far crescere gli atleti al proprio interno. Questo sarebbe doppiamente educativo: valorizzerebbe le società e permetterebbe ai ragazzi premiati di essere da esempio per gli altri".
V.M. "L'abbandono delle società di provenienza è un fenomeno che appartiene a tutto lo sport professionistico e riguarda la mercificazione dei campioni, che si preconfezionano da una parte e poi si portano altrove. Così viene meno il radicamento dell'atleta alla società e di questa alla realtà locale. La promozione sportiva invece non la scopriamo ogni quattro anni: sta tutti i giorni sul territorio".

E come si potrebbe garantire la permanenza degli atleti nella società di provenienza?
W.R. "Sbaglieremmo a mettere in contrapposizione i due mondi. L'obiettivo deve essere farli convivere. Perché le forze armate alla fine garantiscono un futuro che le società sportive oggi non possono assicurare. Il problema riguarda il rapporto tra sport e lavoro. Quindi, invece di demonizzare le diverse realtà dobbiamo far crescere sinergie guidate dall'ente pubblico nel quale tutti vorremmo e dovremmo riconoscerci, in quell'idea di programmazione proposta prima da Vincenzo. In regioni come la nostra siamo riusciti a lavorare assieme e il buono stato del movimento sportivo in Emilia-Romagna ne è testimone. Poi certamente, ogni volta che ci incontriamo, Vincenzo ed io dobbiamo recitare il gioco delle parti altrimenti non finiamo sul giornale".
V.M. "Concordo che non deve esserci antagonismo. Ma il gioco delle parti presuppone che il cambiamento complessivo passi dalla guida delle politiche pubbliche. Su questo ho tre osservazioni. Primo: il riconoscimento del volontariato sportivo, visto che oggi le società sportive non accedono a questi centri servizi. Secondo: le agevolazioni fiscali, perché gli Eps riconosciuti dal Coni devono essere sottoposti a un'attenta verifica. Terzo: nella riforma del titolo V si riconosce lo sport come competenza regionale, per cui se il 75% del bilancio complessivo di una regione è investito nella sanità, si può decidere di spostare parte di quelle risorse sulla pratica sportiva e sull'impiantistica. Anche così si fanno crescere le società".

Foto di Matteo AngeliniUn rapido inciso sull'impiantistica. Quali sono le vostre posizioni?
W.R. "Io non vorrei che si costruissero campi più corti e palestre più piccole, che poi alla fine non permettono la pratica delle discipline codificate. Vorrei impianti utilizzabili con le regole tradizionali da aprire a tutti anche per attività ludico-motoria".
V.M. "Io credo che non sia più tempo, a meno che non parliamo di impiantistica olimpica, di affidare l'omologazione al Coni. C'è un'impiantistica di base di cui la gente ha bisogno: impianti di nuova generazione che non hanno le volumetrie regolamentari".

Forze armate sì o no? Quando si parla di professionismo emergono molte contraddizioni dello sport. Deriva tutto da una legge inattuale come la 91/1981?
V.M. "Uno dei meriti del ministero Melandri era l'aver creato una commissione per riformare quella legge. Se in aprile si presenta un governo che vuol ricostruire eticamente, politicamente ed economicamente il Paese quella è una delle cose da rivedere. Bisognerà farlo nella prospettiva della nuova normativa sul lavoro, tenendo però presente che il movimento sportivo, soprattutto oggi, agisce da ammortizzatore sociale e su base volontaria".
W.R. "Vero. E certi obiettivi non possono basarsi sul volontariato. Per questo bisogna studiare insieme una riforma. A Reggio tanti anni fa venne pubblicato un libro (Lo sport servizio sociale. 25 anni di politica sportiva democratica a Reggio Emilia 1945-70, ndr), scritto da Giulio Bigi, allora assessore allo sport, e Angelo Burani, presidente del Centro sportivo italiano di Reggio Emilia. Lo leggo e lo rileggo e il fatto che gli autori fossero un dirigente comunista e uno cattolico mi è sempre d'insegnamento".

Proviamo ad analizzare nel dettaglio le contraddizioni interne della legge 91. Il primo articolo afferma che "l'esercizio dell'attività sportiva [...] è libero". Il secondo lo contraddice nella misura in cui sancisce la delega al Coni e alle federazioni dell'organizzazione dello sport. Se va ipotizzata una riforma, sarà necessario partire da qui?
W.R. "Ecco il punto di arrivo: il tema è la delega. Io credo che la casa comune possa continuare ad esistere ma in forme diverse da quelle attuali. Prima di tutto bisogna capire se l'Italia avrà o meno un ministero dello sport. Perché, in caso, sarà il ministero a dover indicare la direzione. Io credo però che la delega abbia prodotto anche degli effetti positivi. La realtà odierna è un condominio che ancora deve esprimere la reale rappresentanza delle forze che sul territorio promuovono la pratica sportiva".

Foto di Matteo AngeliniIn attesa di un ministero dello sport parliamo del progetto di autoriforma del Coni. Volendo essere critici si potrebbe dire - riportando anche il parere di Graziano Delrio, sindaco di Reggio Emilia e presidente Anci - che questa è piuttosto una riorganizzazione. Quale evoluzione si potrebbe ipotizzare per questo percorso?
W.R. "Era giusto adeguare la struttura organizzativa e la missione del Coni alle nuove esigenze della società. Non mi sento di condividere però i termini in cui questo adeguamento si è manifestato. Innanzitutto sul piano umano: le nostre strutture sono formate da volontari e credo che quantomeno sarebbe stato opportuno un confronto invece di calare una riforma dall'alto. Io mi auguro che il prossimo quadriennio porti la nuova dirigenza del Coni a ripensare la struttura sul territorio sulla base di quella che sarà la riorganizzazione istituzionale, ad esempio delle province. È un discorso da tenere aperto: non sono tra quelli contrari alla riforma perché timorosi che gli enti di promozione possano avere dei guadagni. Poi, economicamente, può darsi porti dei benefici, ma certamente non ce ne saranno per il movimento sportivo e per gli enti locali".

L'ipotesi di riforma complessiva dello sport italiano presentata dalla Uisp l'ha chiarita prima Manco: un'agenzia dentro la conferenza Stato/Regioni al servizio di un ministero, con dentro tutti i soggetti del movimento sportivo con pari dignità. Qual è la proposta del Coni?
W.R. "Io non rappresento l'ipotesi di riforma del Coni ma credo che oggi si sia chiusa una fase della storia sportiva di questo Paese. C'è un punto su cui ci troviamo d'accordo: tutte le istituzioni chiamate a governare il territorio devono mettersi attorno a un tavolo con le forze che rappresentano il movimento sportivo per un progetto di riforma. Noi dell'Emilia-Romagna lo proponiamo da tempo. Credo poco alle decisioni di vertice. Penso al libro di cui parlavamo, che racconta di come fu costruita la politica sportiva del comune di Reggio Emilia con il concorso di forze che allora era difficile far collaborare, e sostengo che il processo debba essere simile".

Foto di Matteo AngeliniIl progetto di costruire insieme per due colossi come Coni e Uisp, con ramificazioni territoriali e regionali, federazioni e leghe, vuol dire anche confrontarsi con le rivendicazioni di autonomia di tutti i vari livelli di queste strutture. Come si gestiscono queste dinamiche?
W.R. "Non conosco la realtà delle leghe Uisp. Conosco quella delle federazioni, che autonomamente debbono scegliere chi avere come referente. Ognuno di noi è geloso giustamente di quello che ha costruito, nel bene e nel male. Si tratta di verificare chi vuole scrivere assieme questo nuovo libro dello sport italiano. Deve venire meno un po' di centralismo e si deve sviluppare il territorio. Forse però è venuto il momento di cambiare alcuni uomini. Non sono uno di quelli che dice che si deve rottamare ma la mia generazione deve fare un passo indietro e stare pronta, nel giorno in cui i giovani daranno la prima testata, a sorreggerli. Questo non lo si può fare dalla mattina alla sera con un accordo tra i vertici".
V.M. "Rispetto al rapporto Coni/federazioni e quello Uisp/leghe c'è una distinzione formale: le nostre leghe non sono riconosciute come soggetto giuridico autonomo mentre le federazioni sì. Questo fa emergere contraddizioni che noi abbiamo anche evidenziato nella famiglia Coni. Mentre il tesseramento Uisp spetta al territorio, quello Coni è compito delle federazioni. Ecco perché le federazioni non riconoscono pienamente la delega al Coni. Noi poi, tra gli Eps, siamo l'unico ad avere delle leghe e quindi una struttura speculare a quella del Coni. Il che ci ha storicamente identificato come il 'Coni rosso', visione che ancora persiste".

Nel rispetto ognuno della propria storia ponete entrambi l'accento sulla necessità di collaborare. Negli anni Ottanta la Uisp aprì la stagione dello "sportpertutti" facendosi portatrice di un'egemonia culturale. Se il tema è fare sistema, la Uisp come si pone di fronte a soggetti diversi che oggi rivendicano un'appartenenza a questo mondo?
V.M. "Lo sportpertutti va interpretato dalla Uisp come idea della comunità. La centralità del cittadino, il miglioramento del benessere con la pratica motoria, i diritti tutti, la multiculturalità, le politiche per i giovani e per la terza età: tutto questo è sport di cittadinanza. Nell'odierna logica plurale, chiediamo che quella paternità ci sia riconosciuta senza farne questione di proprietà. Per questo il Coni fa bene ad affermare, nella prima pagina del suo Libro bianco, che nello sport c'è lo sportpertutti. Nel cambiamento, però, vogliamo essere uno degli attori principali che agisce insieme agli altri".
W.R. "Dobbiamo avere coraggio di innovare senza rinnegare la storia. Il Coni è stato il ministero dello sport di fatto. Gli Eps sono nati con quel modello. Poi i tempi sono cambiati. Proviamo allora, e perché no proprio in Emilia-Romagna, a ipotizzare insieme un altro modello per far crescere nei praticanti sportivi la libertà di fare quello che vogliono, garantendo gli spazi, contemporaneamente educando a trovare un modo di stare assieme. Professionisti e amatori devono stare vicini, convivere".

William Reverberi e Vincenzo Manco, presidenti Coni e Uisp dell'Emilia-RomagnaLo sport di cittadinanza incrocia il diritto di cittadinanza. Coni e Uisp sono investiti, in manieradiversa, dalla gestione dell'accesso alla pratica sportiva dei migranti di seconda generazione. Le federazioni del Coni non possono però tesserare i non cittadini, mentre nella Uisp non c'è alcuna restrizione. Che lavoro di pressione sul legislatore possono fare insieme questi due enti?
W.R. "Semplicemente chiedere una legge che affermi che chi sta sul nostro territorio e frequenta le nostre scuole, indipendentemente da dove viene, è a tutti gli effetti cittadino italiano. La legge però va fatta in modo da non permettere il commercio di bambini identificati come potenziali promesse dello sport".
V.M. "Credo anch'io che questa sia solo una questione legislativa, specie per le federazioni che stanno nel Coni. La Uisp, che non è un ente pubblico, può decidere in totale autonomia, infatti rivendichiamo che da noi giocano le persone e non i cittadini. Ma il lavoro per un rapido cambiamento di questa legge è un interesse in comune".

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