Comitato Regionale

Emilia-Romagna

Ripensare la società nella migrazione

La recensione al romanzo/inchiesta del giornalista Vladimiro Polchi intitolato "Blacks out".

La copertina di 'Blacks out'

 

Vladimiro Polchi
Blacks out

Laterza
Bari, 2010
144 pagine
€ 15






di Francesco Frisari


"Sciopero selvaggio. Il paese a rischio paralisi. I migranti avvertono: 'Senza il voto non torniamo a lavorare'. In esclusiva sul nostro giornale parla Aly... Fiacco. Meglio un attacco ancora più serrato. 20 marzo. Ore 0.01. È il caos, anzi la paralisi. I cantieri edili si fermano di colpo. Chiudono le fabbriche. Vuoti i mercati ortofrutticoli. Tra le famiglie si scatena il panico: scompaiono badanti, colf, babysitter...".

Cosa succederebbe se i 4 milioni e mezzo di stranieri presenti nel nostro paese scomparissero improvvisamente, scioperassero tutti insieme nello stesso giorno, senza preavviso? Il giornalista di Repubblica Vladimiro Polchi con il suo libro "Blacks Out" decide di condurci per le strade di Roma e quelle più tortuose dell'informazione, quindi anche per quelle di tutto il nostro paese, in questo ipotetico giorno. Costruito a metà fra romanzo e libro di inchiesta, Blacks Out è la storia di come Valentino Delle Vedove, giovane giornalista ovviamente precario di un grande quotidiano romano, provi a scoprire, in tempo per la chiusura serale, perché tutti gli immigrati non siano andati a lavoro.

Preti (sì, anche la chiesa cattolica ha molti "lavoratori" stranieri), calciatori, le badanti che si occupano ormai di una famiglia su dieci, braccianti, baristi, operai, infermieri: improvvisamente la società si scopre se non nuda quantomeno scoperta e quasi paralizzata. Polchi intreccia il racconto romanzesco, la dissoluzione del mistero (perché nessuna associazione di immigrati risponde al telefono? Cosa sono quei manifesti neri con scritto sopra "Blacks Out"? Quanto durerà questo sciopero? Come hanno fatto ad organizzarsi senza che nessun organo di informazione lo sapesse? Viviamo vite così parallele pur condividendo gli stessi spazi?) con una serie di dati reali e statistiche sulla condizione dei migranti, interviste a veri sindacalisti, sociologi, studiosi del settore, inserendo e commentando documenti ufficiali ed estratti da giornali. Questo reciproco scambio fra finzione e realtà che Polchi inscena privilegia però la dimensione dell'inchiesta, con un taglio generale molto attento ai dati, ai numeri, come a farci fare i conti su quale sia il reale impatto che l'immigrazione sta avendo e avrà sulla nostra società. Questo sottrarsi della dimensione romanzesca sembra in parte un sottrarsi dell'autore stesso, un evitare di approfondire il suo coinvolgimento personale, che pure viene più volte alluso. Polchi/Delle Vedove sembra tradire un possibile senso di colpa rispetto alla situazione dei migranti che così ben conosce, come noi tutti fa parte di una società che ne dipende (al mattino si sveglia non trovando la colf), ma tale tema non viene praticamente mai messo a fuoco. Anche se cerca nel suo lavoro di dar loro voce, di rappresentarne le istanze - non è un caso che nel giorno dello sciopero nessuno risponderà alle sue chiamate, gli affiderà le sue parole - tentando di evitare il semplificatorio buonismo, sembra che non riporti mai propriamente a sé, alla propria condizione e alle proprie relazioni la questione dell'immigrazione, non facendo così emergere sulla propria pelle bianca non solo le interdipendenze ma le contraddizioni che le nostre situazioni di "privilegiati" generano (un precario con la colf). Anche i brevi intermezzi, alcuni più riusciti di altri e che forse avrebbero potuto avere più respiro, che ci forniscono degli scorci sulla vita dei familiari del protagonista come di alcuni suoi amici migranti, sembrano pensati più per fornire ulteriori prove di come le nostre vite siano profondamente intrecciate e interdipendenti (non è forse questa la natura della società? Eppure non è una riscoperta da poco) che per scavare nella dimensione individuale di queste relazioni.

La forza e la debolezza del libro è tutta qui: grazie a questa riuscita invenzione letteraria dello sciopero dei migranti (ripresa in parte dal film del 2004 "Un giorno senza messicani" di Sergio Arau), Polchi ci mostra in modo documentato e preciso (segue alla fine una bibliografia) come la nostra vita concreta (dalla nostra spesa all'organizzazione familiare) dipenda dai moltissimi lavoratori immigrati che pure lasciamo a margine della nostra società, senza diritto di voto, nemmeno amministrativo, preda di caporali e del lavoro nero, vittime di violenze e razzismi che dilagano di anno in anno. Allo stesso tempo questa stessa struttura di dati e documenti rimane a volte fredda e un poco statica, l'invenzione letteraria di partenza non viene sfruttata né approfondita con risvolti narrativi e sembra svanire per lunghi tratti nel corso del libro per lasciare spazio alla sola dimensione sociologica.

Fra i grandi pregi di questo libro va però sottolineato come sia stato uno degli ispiratori del reale sciopero dei migranti del primo marzo scorso, a riprova non tanto che la letteratura, o la scrittura in genere, anticipi la realtà, ma piuttosto contribuisca a ripensarla, a progettarla e speriamo anche a cambiarla.

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