Comitato Territoriale

Bergamo

Correre liberi in Palestina

Dopo il tour italiano dei traceurs palestinesi e la solidarietà espressa dagli omologhi italiani con il video Gaza Parkour is my team(in occasione dei bombardamenti del 2012),Uisp-Peace Games Gaza Parkour Teamsi sono incontrati di nuovo e questa volta nella striscia di Gaza scavalcando uno dei confini più difficili al mondo.

L'occasione è stata quella del Festival di scambio e trainingorganizzato dal Centro italiano di scambio culturale “Vik”, che ha visto Uisp-Peace Games come riferimento per il parkour.

A raccontarci l'esperienza Federico “Gato” Mazzoleni formatore Uisp e presidente dell'associazione Parkour Wave, che con l'altro formatoreFabio Flow Saraceni e due accompagnatori ha vissuto questa intensa esperienza:

Com'è stato entrare a Gaza?

“L'ingresso nella striscia è stato molto difficile, ma i problemi maggiori li abbiamo incontrati al reimbarco da Tel Aviv -spiega- con controlli decisamente scrupolosi per scoraggiare un ritorno futuro e fantomatici “problemi” con i bagagli, che probabilmente non ci saranno mai più riconsegnati”.

Dopo i recenti bombardamenti qual'è la situazione dei territori?

“Interi quartieri sono rasi al suolo, acqua e luce sono razionate, nella notte si sente l'eco dei missili israeliani sparati in mare per tenere lontane le imbarcazioni; eppure -sottolinea- le persone sembrano lontane dalla guerra e resistono con allegria, curiosità e voglia di vivere”.

Da un punto di vista più strettamente sportivo?

“A Gaza abbiamo trovato terreno fertile e grande entusiasmo, basti pensare che insieme a noi si sono allenati una settantina di ragazzi, ma anche una filosofia molto lontana dalla nostra. Il Parkour -fa sapere- si sviluppa prima di tutto su un metodo di allenamento e sulla sfida con se stessi, mentre i ragazzi palestinesi spesso lo intendono come una disciplina acrobatica di strada in cui primeggiano solo i più dotati e il cui obiettivo primario è la performance. Questo purtroppo porta a prendersi rischi senza un'adeguata preparazione, non è un caso se quasi tutti i free runner di Gaza abbiano subito almeno un infortunio grave”.

Per quanto riguarda la questione di genere?

“I praticanti che abbiamo incontrato erano tutti uomini, eppure grazie al fatto che tra di noi c'era una ragazza siamo riusciti a scardinare molti pregiudizi. Non solo -racconta- dopo un primo imbarazzo per la “donna che si allena con gli uomini” ha conquistato il loro rispetto, ma grazie a lei   durante la visita all'università di Al-Aqsa siamo riusciti a coinvolgere anche alcune ragazze e fare un allenamento in cui il cerchio femminile e quello maschile erano fianco a fianco

Questo viaggio è da intendersi come una bella esperienza o come l'inizio di un percorso?

“Adesso ho bisogno di far sedimentare un po' le emozioni, ma sono convinto che il parkour sia un ottimo strumento per modificare un modello di sport poco inclusivo e fondato sulla performance. Sono tornato a casa soddisfatto perché credo che una decina di ragazzi abbiano recepito il messaggio che volevamo trasmettergli, adesso -conclude- vorrei tornarci tra un anno per capire cosa è nato da quello che abbiamo cercato di seminare”

 

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